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28/11/2017

Meno nascite... Ma perché?

La benemerita Istat ha rilasciato il suo ennesimo report sull’andamento (negativo) della popolazione italiana. Da istituto statistico dà i numeri ma si guarda bene – specie dopo la successione di presidenti proni al potere politico degli ultimi anni – dal fornire spiegazioni che aiutino a far luce sulle cause.

E dunque partiamo dai numeri e vediamo di avanzare delle (robuste) ipotesi.

“Nel 2016 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 473.438 bambini, oltre 12 mila in meno rispetto al 2015. Nell’arco di 8 anni (dal 2008 al 2016) le nascite sono diminuite di oltre 100 mila unità”. Si tratta di un calo di quasi il 20% in un arco di tempo brevissimo. Per trovare andamenti così veloci bisogna probabilmente andare a vedere gli anni di guerra, quando milioni di uomini partivano “per il fronte” e una buona percentuale, poi, non tornava.

L’Istat, rilievi anagrafici alla mano, nota che “Il calo è attribuibile principalmente alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani. I nati da questa tipologia di coppia scendono a 373.075 nel 2016 (oltre 107 mila in meno in questo arco temporale). Ciò avviene fondamentalmente per due fattori: le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno numerose e mostrano una propensione decrescente ad avere figli”.

E qui la mano dell’ideologo estensore del report si sovrappone all’ottimo e duro lavoro dei ricercatori. Viene infatti abbozzata obliquamente una possibile “causa”: la “colpa” delle donne italiane in età fertile che sarebbero “poco propense” a fare figli.

La causa sarebbe dunque “culturale”, risiederebbe nella mentalità e nei costumi correnti. Vedremo dopo quanto falsa sia questa “ipotesi comportamentale”.

“La diminuzione delle nascite registrata dal 2008 è da attribuire interamente al calo dei nati all’interno del matrimonio: nel 2016 sono solo 331.681 (oltre 132 mila in meno in soli 8 anni). Questa importante diminuzione è in parte dovuta al contemporaneo forte calo dei matrimoni, che hanno toccato il minimo nel 2014, anno in cui sono state celebrate appena 189.765 nozze (57 mila in meno rispetto al 2008)”. Ci si sposa meno e, anche quando lo si fa, si fanno pochi figli. Il perché resta nell’aria, ancora accostato ai “comportamenti” umani, come se questi fossero slegati da qualsiasi causa materiale.

“Le donne italiane hanno in media 1,26 figli (1,34 nel 2010), le cittadine straniere residenti 1,97 (2,43 nel 2010)”. I numeri sono quelli, indubbiamente, ma accostarli in questo modo crea legami di significato e addirittura “prescrittivi” assai poco innocenti. Le donne straniere fanno più figli e questo dipende probabilmente anche da fattori “culturali”, nel senso che provengono in maggior parte da paesi in cui fare molti figli è un’assicurazione sulla possibilità che qualcuno resti vivo e perpetui la discendenza. Se le donne italiane non fanno altrettanto, però, non può dipendere solo dalla “cultura moderna”...

L’estensore del report ci prova comunque: “L’effetto della modificazione della struttura per età della popolazione femminile è responsabile per quasi i tre quarti della differenza di nascite osservata tra il 2008 e il 2016. La restante quota dipende invece dalla diminuzione della propensione ad avere figli.” Apprendiamo ancora una volta che l’invecchiamento della popolazione è – per tre quarti! – talmente avanzato che il numero di donne in età riproduttiva è molto più limitato di prima. Ma ancora una volta spunta la “propensione”. Sembra di sentire nelle orecchio un eco degli spot voluti a suo tempo dalla Lorenzin...

E allora proviamo noi ad avanzare qualche ragione decisamente più concreta.

La stessa Istat, infatti, ci informa regolarmente che un numero velocemente crescente di giovani cittadini italiani lascia questo paese. Siamo arrivati al punto che il flusso migratorio italiano verso altri paesi ha superato quello in ingresso, fatto di richiedenti asilo, profughi e “migranti economici”. I nostri emigranti, insomma, sono tutti “economici”.

Questa caratteristica, se fosse riconosciuta dall’anonimo estensore del report, dovrebbe suggerire che le cause della bassa natalità sono da ricercare proprio della sfera economica. La precarietà contrattuale che perseguita soprattutto i giovani (ma sempre più anche gli “anziani”) sconsiglia in genere di metter su famiglia e in primo luogo di generare figli, che vanno cresciuti, vestiti, nutriti, scolarizzati, curati, ecc. I bassi salari connessi alla condizione precaria aggravano il problema nascite come sa chiunque conosca il prezzo dei pannolini...

Ma cominciano ad esserci anche cause endocrinologiche in molte parti del paese. La fertilità maschile si va riducendo, e sono sempre più numerosi i casi di “giovani adulti” con carenze nella produzione di spermatozoi in salute (attivi, regolari, in quantità sufficiente, ecc).

Contemporaneamente, sempre più donne in età fertile riscontrano problemi di endometriosi.

Unendo i due fenomeni negativi si vede facilmente che si moltiplicano i casi di coppie giovani con problemi riproduttivi serissimi (a uno o entrambi i partner).

Ne consegue che una o due generazioni, già ridotte di numero rispetto alle precedenti, sottoposte alla falcidia dell’emigrazione, dei bassi redditi e delle difficoltà riproduttive, non possono far altro che “produrre” un minore numero di figli.

Forse è il caso di spiegarlo all’anonimo ideologo incaricato di “abbellire” moralisticamente i report dell’Istat. Ci sembra infatti che abbia una “propensione” a scambiare gli effetti per cause. E questo nuoce gravemente alla reputazione di una delle poche “eccellenze italiane” ancora in vita.

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