di Chiara Cruciati - il Manifesto
Bruciano cartone e
dormono uno attaccato all’altro sotto le tende che la Mezzaluna Rossa
sta distribuendo da lunedì, ma di notte la temperatura è troppo bassa:
nella provincia iraniana di Kermanshah colpita dal sisma è ancora piena
emergenza.
I soccorritori hanno raggiunto i villaggi colpiti, scavato tra le
macerie e il numero delle vittime è inesorabilmente aumentato. Così come
quello dei sopravvissuti rimasti senza un tetto sulla testa.
Il bilancio del terremoto di magnitudo 7.3 che domenica sera ha colpito il confine tra Iran e Iraq ieri è stato aggiornato: 540
morti, 8mila feriti, 70-80mila sfollati, 15.500 case completamente
distrutte, 15mila danneggiate, sette città e 2mila villaggi gravemente
colpiti e sette comunità del tutto scomparse dalle mappe.
Il presidente Rouhani ha visitato la provincia nord-orientale e le
città che hanno subito i danni maggiori, Sarpol-e Zehab e Qasr-e Shirin.
Ha assicurato il massimo dell’assistenza, ma si procede a rilento per
l’interruzione delle strade e i blackout elettrici: intere zone sono
senza acqua e corrente e le frane hanno impedito per ore i soccorsi via
terra. Si è operato dal cielo, con gli elicotteri, ma molte comunità non
hanno ancora ricevuto tende, coperte, cibo.
La rabbia cresce insieme alla paura di non sopravvivere in simili condizioni. Rouhani ha promesso aiuti immediati e provato a rispondere alle polemiche che ruotano intorno al disastro: buona parte delle case crollate erano state costruite dal suo predecessore nell’ambito del mega progetto di edilizia popolare, Mehr Housing Project. Non solo abitazioni civili: hanno subito danni gravi ospedali, scuole, edifici pubblici.
Chi ha sbagliato pagherà, ha promesso il presidente. Poco prima il suo vice Jahangiri aveva annunciato l’apertura di un’inchiesta per il crollo delle case popolari volute da Ahmadinejad,
parte integrante delle sbandierate politiche a favore degli ultimi.
Quella edile non si è solo rivelata un fardello enorme per le casse
dello Stato, ma una bara per decine di persone.
Ora i sopravvissuti denunciano: quei palazzi erano malandati già da
tempo, alcuni avevano riportato crolli o danni ben prima del sisma di
domenica.
A pagare sono le famiglie più povere e le comunità più marginalizzate, come Kermanshah, a maggioranza curda, lontana dai piani di sviluppo delle grandi città e più povera della media nazionale.
Esplosione della corruzione, incremento del tasso di
inflazione del 40% e un buco nel bilancio statale che Rouhani ha
ereditato e tentato di tappare: a gennaio di quest’anno il
parlamento ha votato per stracciare il Mehr Housing Project, tra le
grida di giubilo di stampa e opinione pubblica, ma ci sono da terminare i
lavori iniziati. Prevedibilmente il progetto sarà archiviato a marzo
2018.
Eppure quel piano «gentile» (mehr in persiano significa gentilezza) è stata colonna portante della politica populista del presidente Ahmadinejad,
una colonna fallimentare soprattutto alla luce dell’obiettivo,
garantire una proprietà immobiliare anche ai più svantaggiati. A
guadagnarci sono stati politici corrotti che hanno ridotto il budget e
aziende appaltatrici che hanno rosicchiato il possibile dalla qualità
delle costruzioni.
L’idea alla base era utilizzare terreni statali per costruire
edilizia popolare e vendere attraverso mutui a 99 anni garantiti dallo
Stato: le banche facevano dunque da intermediarie tra Stato e costruttori, mentre – come spiega un articolo del Guardian del 2014 – la Banca centrale stampava più banconote per coprire le spese. Obiettivo: tirare su 17 nuove città e 1,5-1,8 milioni di unità abitative.
Dove? Fuori dai grandi conglomerati urbani, a poche decine di km in
alcuni casi, in mezzo ad aree semi-desertiche in altri, dove rimbombava
l’assenza di servizi. Da cui la necessità di costruire scuole, cliniche,
moschee, parchi. Una fase mai realmente partita a causa della
progettazione confusionaria e del preoccupante rigonfiamento dei costi.
Quattro anni fa era stato lo stesso governo Rouhani a denunciare le miserevoli condizioni del piano:
il ministro dello Sviluppo urbano, Akhoundi, aveva contato almeno
20mila nuove case popolari staccate dalle reti idrica, elettrica e
fognaria.
Subito erano stati previsti nuovi finanziamenti da 400 milioni di
dollari per completare i progetti già avviati, nell’intenzione di
chiudere prima possibile un progetto che ha ingurgitato miliardi per
consegnare ai più poveri delle strutture trasformate in un cimitero.
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