Il primo dell’anno, Kim Jong Un, che ancora ostinatamente non usa twitter, ha augurato un buon anno 2018 dalla Corea al suo sodale, il presidente Trump.
“The entire United States is within range of our nuclear weapons, a nuclear button is always on my desk. This is reality, not a threat. This year, we should focus on mass-producing nuclear warheads and ballistic missiles for operational deployment. These weapons will be used only if our society is threatened.”
Traduciamo letteralmente, perché le parole sono importanti. “Gli interi Stati Uniti sono raggiungibili dalle nostre armi nucleari, un pulsante nucleare è sempre sulla mia scrivania. Questa è realtà, non una minaccia. Quest’anno, dovremo concentrare i nostri sforzi sulla produzione in massa di testate nucleari e missili balistici, per dispiegarli operativamente. Queste armi verranno utilizzate soltanto se la nostra società è messa in pericolo”.
Sembra una minaccia seria. Soprattutto nell’ultima frase: non “se verremo attaccati”, ma “se la nostra società è messa in pericolo”. E’ un serio passo avanti. Ma: dovremo concentrare le nostre forze sulla produzione di massa di testate nucleari e missili balistici, vuol dire che non li hanno ancora. E che gli USA siano raggiungibili da armi nucleari, non è serio, in quanto smentito da tutti gli esperti in materia.
Le contemporanee offerte di distensione alla Corea del Sud, contenute nello stesso messaggio, fanno capire come la minaccia reale, quella contro i vicini raggiungibili, sia messa da parte. In sostanza, parole dette seriamente, ma contenenti minacce poco serie, segnali di timore, passi indietro importanti.
Dall’altra parte, utilizzando il suo ufficio stampa preferito, cioè Twitter, Trump replica a Kim: “Qualcuno in quel paese impoverito e morto di fame lo informi che anche io ho un pulsante nucleare, che è molto più potente e più grande del suo, e che il mio funziona!”.
Sono parole dette in maniera poco seria, usando un mezzo poco serio. Ma che in realtà contengono una minaccia seria, sia sull’inasprimento delle sanzioni, sia sull’utilizzo del famoso pulsante, che effettivamente sono due fatti reali e non ipotetici. Un caro vecchio amico mi ha ricordato le vecchie gare goliardiche a misurare chi l’aveva più lungo. “Orate gaudentes fratres Voi dite che il vostro è più lungo del nostro (campanello)... Misuramus... (campanello) E se il vostro è più lungo del nostro taglieremo un pezzo del vostro per aggiungerlo al nostro che così sarà più lungo del vostro”.
Detto fra buontemponi goliardi, nei tempi andati, poteva anche far sorridere. Detto da capi di stato, entrambi dotati di armamenti nucleari, ai tempi odierni, non ci fa sorridere per nulla. Da una parte, uno stato in realtà quasi inerme e in difficoltà, che continua a provocare lo stato più potente del mondo per rafforzare il proprio fronte interno. Dall’altra, lo stato più potente del mondo che la butta sulla goliardia, in mano ad un poco serio twittatore, mentre servirebbe un presidente normale qualsiasi che dovrebbe dire quello che disse Virgil Sollozzo a Michael Corleone nel Padrino: “Io voglio pace. Tuo padre sta male. Che ti serve? E smettiamola con tutte queste ca**ate”. Tanto Michael stavolta la pistola in tasca non ce l’ha.
Per fortuna Kim Jong Un non pare all’altezza di Michael Corleone, che parlava poco ed agiva molto e a colpo sicuro. Ma, purtroppo, Donald Trump non è neppure all’altezza di un Virgil Sollozzo qualsiasi. Non è più tempo di goliardia. E neppure di saghe sulla mafia degli anni quaranta. Servirebbero politici seri. Anche qualsiasi, ribadisco.
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