Che quello in Canada non sarebbe stato il solito noioso vertice del G7 lo si era capito già nelle scorse settimane. Il summit di Chalevoix di questo fine settimana vedrà palesarsi – pubblicamente e meno pubblicamente – lo scontro tra gli Stati Uniti e i suoi principali partner, infuriati dall’aumento unilaterale dei dazi su alluminio e acciaio. “Con il rischio che si consumi definitivamente la rottura di quel consensus che ha tenuto insieme per decenni i Paesi ricchi” commenta il Sole 24 Ore. Mentre il Financial Times parla di un “multilateralismo senza leadership americana”.
In realtà l’amministrazione Trump non sembra più affidare al G7 e ad altre istituzioni simili (Wto, Fmi etc.) il compito di riaffermare la leadership mondiale statunitense, piuttosto intende puntare sui rapporti bilaterali, dove pesano di più i rapporti di forza tra gli Usa e i suoi interlocutori. Secondo il Washington Post, Trump avrebbe definito il G7 “una perdita di tempo” e una “distrazione” rispetto alle trattative con la Corea del Nord, al punto da essere stato tentato di inviare al suo posto al vertice di Chalevoix il vicepresidente Mike Pence. Dall’agenda diffusa dalla Casa Bianca risulta comunque che Trump in effetti salterà gran parte della seconda giornata della riunione con gli altri capi di stato e partirà a metà mattinata sabato, subito dopo la riunione sulla parità di genere e prima della sessione sui cambiamenti climatici.
“Il sistema commerciale globale è un disastro. Trump sta cercando di aggiustarlo”, aveva dichiarato ieri Lawrence Kudlow, consigliere economico del presidente Usa, sfidando il dogma liberoscambista che ha uniformato la storia recente dal dopoguerra in poi.
Il vertice del G7, così come le altre “camere di compensazione” create in settanta anni (Fmi, Wto, Onu, Nato etc) da luogo di concertazione e di un consenso tra le maggiori potenze, si va delineando in un ambito di “confronto” sul tema delle tariffe, nel quale Trump punta a ottenere qualche vantaggio nei colloqui bilaterali – previsti con Emmanuel Macron e con Shinzo Abe – ma al costo di spaccare l’intero sistema di relazioni internazionali.
Si palesa così il rischio di un summit che si potrebbe concludere senza un comunicato congiunto, o con un comunicato non firmato da tutti, un fatto che segnerebbe la fine del G7. I partner europei e giapponesi, ha affermato Macron “non sono pronti a rinunciare a tutto per avere la firma” di Trump. “Sarebbe un errore rinunciare a tutto per questa firma”, ha poi aggiunto il presidente francese sottolineando come “il mercato delle altre sei nazioni del G7 sia più grande di quello americano”.
Qualche giorno fa un comunicato di condanna dei dazi aveva visto la firma di tutti i componenti del G7 – Stati Uniti esclusi, ovviamente – e potrebbe essere un assaggio delle conclusioni assai critiche di questo vertice. Si palesa dunque davanti agli occhi di tutti quella competizione globale tra poli “imperialisti” che tanto a lungo è stata negata, anche di fronte alle evidenze di tendenza. Una dimostrazione di quel “vecchio mondo che muore e del nuovo che stenta a nascere”.
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