In un celebre saggio degli anni 2000, Licenziare i padroni?, Massimo Mucchetti, già editorialista del Corriere e Presidente della Commissione sulle Attività Produttive in quota Pd nelle passate legislature, racconta di un episodio tra Mussolini e Alberto Beneduce, Presidente dell’Iri.
L’Iri in quegli anni aveva rilevato aziende decotte facendo un regalo ai confindustriali. Beneduce doveva risanarle e poi rivenderle, tipica politica economica classista che socializzava le perdite e privatizzava i profitti. Al che Mussolini e Beneduce si resero conto che gli industriali non si volevano accollare le imprese dell’Iri. Mussolini si rivolse all’antifascista e socialista Beneduce con queste parole: ”lasci perdere Dottore, questi industriali sono dei coglioni, le aziende ce le teniamo noi”. Fu così che dalla socializzazione delle perdite si arrivò ai conglomerati pubblici, industriali e finanziari, che fecero la fortuna italiana nel dopoguerra.
Il grande marxista Pietro Grifone, nel capolavoro Il capitale finanziario in Italia, scritto al confino, descrisse l’Iri come conseguenza del massacro sociale ed economico attuato dal fascismo dal 1924 al 1929 con “quota 90” e l’ancoraggio della lira ai cambi fissi, che provocò immani distruzioni economiche sociali, a tal punto che si socializzarono enormi asset in perdita. Lo scenario del cambio fisso e della deflazione salariale simile a questi decenni in Italia.
E’ paradossale che a distanza di 80 anni si riproponga tale scenario. Il Corriere della sera il 27 maggio comunica che il “Piano B” di Paolo Savona prevede la nazionalizzazione della banca d’Italia, l’immissione di gran liquidità al sistema bancario per prevenire il collasso e, guarda un po’, la riproposizione dell’Iri.
L’Italia esce da dieci anni di deflazione con le ossa rotte, il 25% dell’apparato industriale perso, timidissimi segnali di ripresa che riguardano chi vive di export e che non coinvolgono più del 3% della popolazione. Lo scenario mondiale sta volgendo al peggio: sanzioni alla Russia, dazi di Trump, eurozona in rallentamento.
Le imprese italiane cercano un'àncora. I piccoli e medi imprenditori, scassati dalla crisi, vogliono la riproposizione dello “schema Beneduce” che consiste in: banche pubbliche, grandi imprese pubbliche che danno appalti e lavori al sistema delle Pmi, ricostituzione del mercato interno per pararsi dal probabile rallentamento del commercio mondiale, centralizzazione del risparmio (nuova Cassa Depositi e Presititi?) e mobilitazione del risparmio italiano ai fini dell’infrastrutturazione materiale ed immateriale del Paese, per aumentare la produttività totale dei fattori produttivi. Inoltre, le rivendicazione nazionali hanno come scopo quello di fronteggiare il sovranismo tedesco e francese che, nel frattempo, tesse alleanze internazionali e fa affari, dalla Russia alla Cina, un gioco che l’Italia si è preclusa in questi anni per non dar fastidio ad Usa e Ue. Il programma prevede un’alleanza di ferro con gli Usa e possibilità di manovra con paesi terzi. Con gli Usa si arriverebbe ad una partnership strategica che svii i dazi.
Ognuno per sé. Sul piano interno lo “schema Beneduce”, magistralmente descritto nei suoi saggi dal compianto economista Marcello de Cecco, provocherebbe un upgrade tecnologico con diffusione delle innovazioni al sistema delle Pmi del nord; inoltre ci sarebbero presidi produttivi nel Mezzogiorno dove si ricreerebbe un mercato di sbocco per i produttori del nord. E per questo i gialloverdi guardano alla Via della Seta.
Ancora una volta, gli interessi di classe della piccola e media imprenditoria (attenzione, ci sono anche grandi imprese nel gioco...) portano quest’ultima a far assumere alla struttura pubblica un ruolo direzionale che spinga e trascini il loro sistema.
80 anni e non sentirli...
Fonte
A livello macro ecnomico, quello esposto può anche essere un discorso interessante - al netto di contraddizioni insanabili come quella di fare accordi strategici con gli USA e poi guardare con bramosia alla via della seta, roba da schizofrenia geopolitica spinta... per non parlare di ridurre ancora una volta il sud a spugna della produzione industriale del nord - ma politicamente parlando i subalterni non se ne fanno un cazzo di iniezioni keynesiane per sostenere il capitale straccione di casa nostra.
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