Tuttavia, se si considera la lunga vita del grande maestro (1867-1957), inquadrandone la biografia nel contesto storico, ci si rende conto che esiste una ragione più profonda della sua popolarità. Infatti, la vita di Toscanini s’intreccia e dialoga con i fatti che segnano la storia dell’Italia postrisorgimentale sino ai primi anni della Repubblica. Tali fatti, intrecciandosi agli eventi biografici, ebbero un ruolo importante nella sua formazione, soprattutto politica.
Arturo Toscanini nacque a Parma, nel quartiere di Oltretorrente, da una famiglia di modesti sarti. Il padre Claudio fece parte dei volontari garibaldini sino alla battaglia di Bezzecca, pochi mesi prima della nascita del figlio. Di idee repubblicane e anticlericali, Claudio Toscanini era schedato dalla polizia come sovversivo, uno dei tanti dell’Oltretorrente, quartiere operaio che molti anni dopo, nel 1922, fu l’ultimo baluardo a cedere, non agli squadristi ma solo all’esercito, in occasione dello sciopero generale contro le violenze fasciste del luglio-agosto 1922. In tale ambiente, Toscanini crebbe con idee socialisteggianti piuttosto confuse.
Dotato di una straordinaria memoria musicale che gli permetteva di dirigere senza partitura anche opere lunghe e complesse, Toscanini ebbe il battesimo del podio a diciotto anni quando, durante una tournée orchestrale in Brasile, in cui era partito come violoncellista, si trovò, in seguito a una serie di litigi interni all’orchestra e di contestazioni del pubblico, a sostituire, quasi suo malgrado, il direttore nell’esecuzione dell’Aida ottenendo uno straordinario successo.
Toscanini non attribuì grande importanza a quella vicenda che tuttavia si diffuse nell’ambiente musicale tanto che il 4 novembre 1886, a soli diciannove anni, esordì come direttore al Teatro Carignano di Torino. L’inizio di una carriera tra le più prestigiose era tracciato.
Il mondo musicale di fine ottocento, soprattutto nell’ambito operistico, era ancora caratterizzato da consuetudini discutibili che proprio Toscanini contribuì a far sparire: divismo esagerato dei cantanti, personalismo degli orchestrali e una visione dell’opera come intrattenimento piuttosto che come fatto culturale. Per esempio, in quel periodo, era frequente che gli orchestrali, scritturati individualmente, litigassero nelle prime prove sui posti a sedere che avrebbero dovuto occupare e il direttore doveva occuparsi anche di sedare questi alterchi a volte molto accesi.
Più nota la battaglia che Toscanini condusse per oltre un ventennio contro l’esagerata profusione dei bis delle arie popolari che, a suo dire, frammentavano il flusso dell’azione e della musica a vantaggio dell’egocentrismo dei cantanti e delle cantanti famose (incuranti di affaticarsi le corde vocali) e di un pubblico che viveva l’opera come un collage di arie celebri. Si trattava, evidentemente, del retaggio dei tempi delle “arie da baule”, cioè di arie in cui i singoli cantanti erano particolarmente abili e che a volte infilavano nello spettacolo anche se non facenti parte dell’opera rappresentata solo per compiacere il pubblico.
Un’altra battaglia di Toscanini fu quella per ottenere che durante lo spettacolo la sala fosse al buio e il pubblico non entrasse e uscisse a suo piacimento in qualunque momento. Infatti, sino a fine ottocento, si riteneva normale che il pubblico andasse a teatro con un atteggiamento più adatto a uno stadio, per applaudire solo le arie dei propri cantanti preferiti e magari fischiare i meno graditi, non preoccupandosi di entrare in ritardo e uscire quando si annoiava, magari parlando ad alta voce e scalpicciando.
Se Toscanini condusse questa battaglia in Italia, altri grandi direttori la fecero nel resto d’Europa, come per esempio Gustav Mahler che fu duramente contestato dall’aristocrazia viennese che non accettava che per sua decisione non si potesse accedere al teatro dopo l’inizio del concerto. Alla Scala, Toscanini dovette lottare per imporre la regola del buio in sala e perché le signore non indossassero cappelli che impedivano agli altri di vedere il palcoscenico. Infine, nei suoi primi anni scaligeri si assicurò la collaborazione di validi collaboratori che valorizzarono il ruolo della scenografia e dei nuovi sistemi d’illuminazione, dando un impulso nuovo e moderno alle rappresentazioni.
Il primo periodo scaligero di Toscanini si concluse nel 1908, quando egli partì per assumere la direzione del Metropolitan di New York. In quella città, Toscanini incontrò un pubblico molto particolare, poiché il Metropolitan era un ritrovo dell’alta borghesia cittadina, ma le gallerie erano spesso affollate di immigrati europei, tra cui gli italiani, che avevano apprezzato la lirica nei loro paesi d’origine e che non la dimenticavano.
Il teatro newyorchese era, all’arrivo di Toscanini, in piena espansione, tanto che a causa della quantità d’impegni egli condivise la direzione con altri tre direttori d’orchestra, non mancando comunque di portare anche oltre oceano la sua forte carica innovativa. Giova ricordare che nel corso della sua carriera Toscanini diresse ben ventiquattro nuove opere in Italia e all’estero anche se non apprezzava particolarmente gli autori d’avanguardia e in tarda età dimostrò diffidenza verso i linguaggi musicali che sorsero a ridosso della seconda guerra mondiale e nel dopoguerra. Questo forse anche perché tali linguaggi non erano adatti al suo stile di dirigere a memoria. Nel 1915 Toscanini lasciò il Metropolitan e forse in quel momento pensò che la sua esperienza americana fosse conclusa.
Negli anni precedenti, durante uno dei suoi soggiorni in Italia, Toscanini aveva aderito alla Società di mutuo soccorso dei musicisti d’orchestra, per la quale aveva diretto due concerti di sottoscrizione presso il teatro del Popolo della Società Umanitaria, assai vicina al Partito Socialista. Al momento della scelta sull’entrata in guerra dell’Italia, Toscanini si schierò, come purtroppo molti intellettuali anche d’ispirazione socialista, con gli interventisti. A questa posizione contribuì l’idea che l’unità d’Italia, per cui aveva combattuto il padre, non fosse completa senza Trento e Trieste. La posizione di Toscanini, seppure non imperialista (era contrario alle imprese coloniali) era nazionalista. Durante la guerra, egli si adoperò nell’organizzazione di concerti a favore dei musicisti disoccupati a causa del conflitto e più tardi formò una banda che fu presente sui campi di battaglia; per questo fu decorato con la medaglia d’argento al valor militare.
Gli anni che seguono immediatamente la prima guerra mondiale sono quelli più oscuri, dal punto di vista politico, nella vita di Toscanini. Pur aderendo in gran parte ai principi del Partito Socialista, non ne condivideva la posizione avuta sulla guerra, tanto che cadde vittima dell’imbroglio di Mussolini. Come è noto, infatti, il futuro Duce fondò i Fasci di Combattimento agitando demagogicamente tematiche apparentemente favorevoli alle classi popolari e sfruttando la sua fama di ex militante socialista. Grazie alla mediazione del futurista Marinetti, Mussolini ottenne la candidatura di Toscanini nel “Blocco Fascista” alle elezioni del 1919.
Il futuro avrebbe visto i tre essere protagonisti di destini divergenti dopo la marcia su Roma, poiché Marinetti seguì il percorso di Mussolini sino all’estrema conclusione nella Repubblica Sociale, mentre Toscanini, resosi consapevole di cosa fosse veramente il fascismo, ebbe a dichiarare che se avesse avuto la forza di uccidere un uomo avrebbe ammazzato Mussolini. Tuttavia, le sue idee nazionaliste lo portarono ancora, nel 1920, a tenere un concerto a Fiume, durante la “reggenza italiana del Carnaro” di Gabriele D’Annunzio, che fu una vera celebrazione con tanto di manovre militari e di relativi feriti.
Toscanini trascorse gli anni venti in un susseguirsi di successi, sia alla Scala di Milano sia in Europa e segnatamente a Bayreuth, per il festival wagneriano e infine ancora negli Stati Uniti, dove riscosse ancora grande apprezzamento nonostante la fronda di alcuni compositori americani, primo tra questi Charles Ives, che non condividevano la sua scelta di non dirigere le opere dell’avanguardia locale. Ma fu proprio durante gli anni venti che i rapporti tra Toscanini e il fascismo si inasprirono.
La popolarità del direttore era all’apice e Mussolini avrebbe voluto farne un ambasciatore musicale del regime, desiderio che Toscanini non aveva nessuna intenzione di assecondare. Iniziò così una lunga serie di schermaglie e di polemiche incentrate soprattutto sul rifiuto di Toscanini di dirigere, in apertura o in chiusura dei concerti, l’inno fascista Giovinezza e a volte anche la Marcia Reale (che era, peraltro, al tempo, l’inno italiano).
Già nel dicembre del 1922, quando l’Italia era un paese formalmente ancora “democratico”, alcuni giovani fascisti presenti alla Scala la sera di Sant’Ambrogio chiesero insistentemente a Toscanini di far eseguire Giovinezza. Il direttore, per rifiutare, dapprima usò il pretesto di non avere mai provato tale canzone con l’orchestra ma alle insistenze dei giovani ruppe la bacchetta e uscì imprecando dalla buca. In seguito, la storia delle richieste (e delle intimazioni) a Toscanini di dirigere l’inno fascista ebbe una quantità di altre puntate, in cui lo scontro fu evitato con fantasiosi stratagemmi, tra cui quello di far eseguire l’inno fascista da una banda nel foyer del teatro, oppure l’idea del maestro di trasformare una rappresentazione in una “prova”, quindi in un avvenimento non formale.
Essendo la famiglia reale meno rigida del governo fascista, o solo più interessata ad assistere ai concerti che non all’esecuzione di Giovinezza, si verificarono anche casi in cui essa si presentò in veste non ufficiale, oppure, come fece la Regina Elena, dispensò il maestro dall’eseguire la Marcia Reale in modo da evitare i conseguenti incidenti su Giovinezza.
In ogni caso, i rapporti tra Toscanini e il regime diventavano sempre più tesi. Mussolini arrivò a convocare il direttore nella Prefettura di Milano per fargli una scenata sul suo “cattivo comportamento”. Secondo il racconto di Toscanini, egli rimase in piedi, immobile, durante lo sfogo del dittatore, senza profferire parola, fissando un punto nero sul muro, e, quando il Duce ebbe terminato, se ne andò senza salutare. In occasione di un concerto a Berlino, Toscanini fu invitato a una festa in suo onore nella sede locale dei rappresentati del Partito Fascista. Secondo un informatore anonimo, il maestro dapprima declinò l’invito perché troppo stanco. Quindi, in seguito alle insistenze affinché inviasse un telegramma di conferma delle ragioni della sua assenza (cioè la stanchezza), sbottò rispondendo che non sarebbe andato poiché era antifascista, detestava il fascismo, che Mussolini era un dittatore e che pur di non venir meno a queste convinzioni sarebbe stato disposto a non tornare mai più in Italia. La dichiarazione fu trasmessa personalmente a Mussolini e da allora fu aperto il dossier dell’ufficio politico su Toscanini che arrivò in seguito a contare centinaia di pagine.
I tempi per lo scontro aperto tra fascisti e Toscanini erano ormai maturi. Nel maggio del 1931 il maestro si offrì di andare a Bologna per dirigere un concerto in memoria del compositore Giuseppe Martucci di cui aveva grande considerazione. Il concerto purtroppo coincideva, a insaputa di Toscanini, con l’inaugurazione della Fiera nazionale di Bologna, che prevedeva delle celebrazioni organizzate dal Partito Fascista.
Anche in questo caso si aprì una faticosa trattativa politica sull’esecuzione della Marcia Reale e di Giovinezza, che sembrò arrivare a una conclusione soddisfacente, anche perché i gerarchi del regime comunicarono che non avrebbero partecipato alla serata a causa di altri impegni. In realtà Toscanini, come scrisse in seguito, era caduto vittima di un’imboscata, poiché all’arrivo in teatro fu atteso da un folto gruppo di squadristi capeggiato da Leo Longanesi che aveva coniato il famigerato slogan “Mussolini ha sempre ragione”. Richiesto di dichiarare se avrebbe eseguito Giovinezza, Toscanini ripose negativamente e fu aggredito dagli squadristi ricevendo una gragnola di schiaffi e pugni, riuscendo infine a sottrarsi al pestaggio grazie all’aiuto dell’autista e dell’amico Emilio Muggiani, che fu peraltro duramente picchiato.
L’Hotel Brun, in cui Toscanini soggiornava e in cui si era rifugiato, fu assediato dai fascisti urlanti e iniziò una trattativa per garantirne l’uscita da Bologna, che fu conclusa attraverso la mediazione del compositore Ottorino Respighi. In piena notte, Toscanini e sua moglie lasciarono Bologna in direzione di Milano, poiché il Federale della città, Arpinati, aveva detto di non poter garantire l’incolumità del direttore sino all’alba. Mussolini, informato dei fatti, rispose di essere contento della lezione data a Toscanini, esempio per tutti quei “musicisti cafoni”. Il Duce ordinò alla prefettura di Milano di ritirare i passaporti della famiglia Toscanini, di porre sotto sorveglianza l’abitazione e di intercettarne telefonate e corrispondenza.
L’aggressione a Toscanini ebbe enorme risonanza in tutta Italia ma anche nel mondo. In Italia si ebbero molte manifestazioni spontanee e alla Scala fu gridato, durante lo spettacolo “Viva Toscanini”. Le attestazioni di solidarietà giunte da tutto il mondo superarono le 15.000, Béla Bartόk, uno dei compositori al momento più importanti, fece approvare una risoluzione di protesta alla Nuova Società Musicale Ungherese. Negli Stati Uniti ci furono manifestazioni di solidarietà delle organizzazione dei lavoratori, dai presidenti delle Università di Yale, di Harvard e di Chicago e anche da parte del filosofo e pedagogista John Dewey.
Ai fatti italiani seguì ben presto la rottura con il festival wagneriano di Bayreuth. I rapporti tra Toscanini e gli organizzatori del festival, in particolare Winifred Wagner, moglie di Siegfried, figlio del compositore, erano già piuttosto tesi dal 1931, poiché il direttore riteneva, a ragione, che il festival fosse stato trasformato in un evento di propaganda nazista. È noto che la famiglia Wagner era nazista e coltivava stretti rapporti con Hitler, tanto che si narra che il Mein Kampf fu scritto sulla carta fornita al capo del NSDAP proprio da Winifred durante la detenzione seguita al fallito “putsch della birreria”, nel 1923.
I rapporti tra Toscanini e il gruppo dirigente di Bayreuth si ruppero quando i nazisti presero il potere e diversi direttori d’orchestra come Bruno Walter e Otto Klemperer e molti altri musicisti furono impediti a lavorare e dovettero lasciare il paese poiché ebrei od oppositori politici o entrambe le cose. Toscanini aderì a un appello di musicisti e intellettuali che denunciava tali persecuzioni e chiese che il suo nome fosse posto in cima alla lista dei firmatari. La conseguenza fu che tutte le incisioni di Toscanini e degli altri aderenti all’appello furono vietate in Germania e bandite dalla radio tedesca.
Dal 1933, Toscanini non accetto più di dirigere a Bayreuth e ruppe le relazioni con i Wagner. Resta da comprendere come a Toscanini, che era un grande ammiratore di Wagner, sfuggisse il nesso politico tra il nazismo e l’opera del compositore tedesco, feroce antisemita e precursore di molte idee naziste. Tuttavia si sa come l’idea che la musica sia separata dalla politica e che le opere di Wagner siano da ascoltare come “pura musica” riesca ad avere ancora oggi sostenitori anche tra alcuni dei musicisti più importanti, tanto che la questione resta purtroppo ancora, incredibilmente, controversa.
Gli anni successivi, sino a tutto il periodo della seconda guerra mondiale videro Toscanini impegnato, oltre alla sua attività professionale, in diverse iniziative a favore della Croce Rossa e dei musicisti in difficoltà a causa degli eventi bellici. Oltre oceano sostenne diversi compositori ebrei e antifascisti italiani, come Mario Castelnuovo Tedesco e Vittorio Rieti, espatriati in America, di cui diresse le opere, mentre ad altri offrì sostegno finanziario.
Un altro episodio molto significativo si verificò nel 1942, quando Dmitrij Šostakovič compose la Settima Sinfonia detta “di Leningrado”, che si proponeva di celebrare la resistenza dei cittadini sovietici all’assedio tedesco e di incitare civili e militari alla lotta per liberarsi dell’occupazione nazista. La Sinfonia fu un grande contributo morale per i combattenti di Leningrado e divenne il simbolo musicale della Resistenza sovietica ma più in generale di tutte la forze antinaziste nel mondo. Una fotografia di Šostakovič che sorveglia, in tenuta da pompiere, che il tetto del Conservatorio di Leningrado non prenda fuoco, fu pubblicata sul Times. La partitura microfilmata riuscì ad arrivare avventurosamente negli Stai Uniti, dove Toscanini volle subito dirigerla in un concerto radiotrasmesso che servì anche a raccogliere fondi da inviare in Unione Sovietica. Il maestro vedeva in quella Sinfonia un’opportunità di rendere più saldi i rapporti tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica nella lotta antinazista e scrisse a Šostakovič invitandolo in America, cosa che il compositore non poté fare a causa della situazione bellica.
Nel settembre del 1943 Toscanini colse l’occasione di chiarire anche la sua posizione verso il re e Badoglio, con un testo Al popolo americano che fu pubblicato su Life, in cui denunciava che la monarchia aveva consegnato l’Italia ai fascisti e Badoglio era stato stretto compagno d’armi di Mussolini e quindi il governo americano non doveva assumerli come interlocutori rivolgendosi invece a coloro che avevano per anni combattuto il regime fascista.
L’attenzione di Toscanini al contributo decisivo dato dall’Unione Sovietica alla guerra antinazista si confermò nel 1943, quando lo US Office of war information decise di realizzare un film di propaganda dal titolo Hymn of the Nations da diffondere nelle regioni dell’Italia liberata. Il film doveva contenere brevi sequenze sull’attività degli esuli italiani negli Stati Uniti e la registrazione del famoso Inno delle nazioni di Verdi. Toscanini volle aggiungere The Star Splanged Banner, inno americano, ma anche l’Internazionale1. Il film fu in seguito distribuito con grande successo non solo in Italia ma in diversi paesi europei.
Volgendo le vicende della guerra a favore degli alleati, l’impazienza di Toscanini di poter tornare in Italia si faceva sempre più evidente. Con essa anche la voglia di poter salire ancora sul podio della Scala, il teatro che lo aveva incoronato come uno dei direttori più prestigiosi del mondo. E’ vero che in Italia c’era ancora la monarchia, che Toscanini riteneva responsabile del ventennio, ma si attendeva anche il referendum che avrebbe cacciato i Savoia. Inoltre, l’avvento al potere del partito laburista in Gran Bretagna lo aveva convinto che l’Europa fosse all’alba di importanti cambiamenti sociali.
Il maestro aveva ormai quasi ottant’anni quando poté dirigere ancora una volta alla Scala, l’11 maggio 1946, per un concerto interamente dedicato ad autori italiani. Tutte le fasi del ritorno di Toscanini in Italia furono accompagnate da grande entusiasmo e da un clima festoso e trionfale. La Scala era stata gravemente danneggiata dai bombardamenti americani dell’agosto 1943, ma a Milano si voleva rivedere vivere quel teatro, simbolo tanto importante per la città. La volontà di riaprire al più presto la Scala, un solo anno dopo la fine della guerra, fu la causa, in effetti, di una ricostruzione affrettata che ne compromise in parte l’acustica, ma in quella Milano ancora ferita dai bombardamenti, nessuno se ne accorse. Ci si accorse però che per richiesta di Toscanini erano state rimosse dalla Scala tutte le insegne dei Savoia.
Era una Milano povera di un’Italia altrettanto povera e distrutta, tanto che Toscanini portò con sé dagli Stati Uniti i ricambi delle corde per gli archi dell’orchestra e le prove con i solisti si svolsero a casa del direttore, perché alcune parti della Scala non erano ancora agibili. Toscanini dichiarò di avere voluto muoversi poco in città perché la vista della distruzione causata dai bombardamenti lo straziava. La sera dell’11 maggio il teatro era stipato ben oltre la capienza lecita, e, forse per la prima volta, un concerto fu ritrasmesso in piazza della Scala attraverso degli altoparlanti. Tutti i musicisti cacciati dalla Scala per ragioni razziali o politiche erano rientrati, su espressa richiesta di Toscanini, ai loro posti, primo tra tutti il direttore del coro, Vittore Veneziani.
Per una personalità come quella di Toscanini, la nomina a senatore a vita della Repubblica sembrava una cosa quasi scontata. Così, nel 1947 e poi nel 1948 a Toscanini fu fatto sapere che si stava pensando alla sua nomina ma egli comunicò al governo in via riservata che non avrebbe accettato. Tuttavia, nel 1949, il presidente Einaudi decise di nominarlo comunque senatore a vita. Toscanini inviò una lettera al Presidente in cui rifiutava l’incarico, non per un “atto scortese o superbo” ma per spirito di semplicità e modestia. Il rifiuto di Toscanini non mancò, tuttavia, di suscitare polemiche. Probabilmente il maestro, dopo tante battaglie, aveva, a più di ottant’anni, voglia di dedicare la sua ultima parte di vita ad altro che non all’impegno parlamentare.
Toscanini era ormai molto anziano e le sue idee e il suo stile di direzione non erano più al passo con i tempi. Dirigere a memoria si addiceva poco a un uomo così anziano e soprattutto alle nuove opere che caratterizzavano gli anni del dopoguerra, dove la dodecafonia era diventata, almeno in Occidente, la lingua franca dei compositori usciti dall’incubo del nazismo. Pur se amava discutere di tutto con tutti, Toscanini non comprendeva i nuovi linguaggi musicali del dopoguerra. Il suo ultimo soggiorno in Italia si concluse il 27 febbraio 1955, quando partì per l’ultima volta verso gli Stati Uniti. La mattina del primo gennaio 1957 fu colto da ictus, dopo avere festeggiato sino a tardi, con la famiglia, l’arrivo del nuovo anno. Si spense alcuni giorni dopo. Non gli fu mai rivelato che Guido Cantelli, il giovane direttore piemontese in cui Toscanini vedeva il suo legittimo erede, era perito il 24 novembre precedente in un incidente aereo all’aeroporto parigino di Orly.
Una vita come quella di Toscanini, straordinario musicista ma anche grande personaggio popolare, non può non suscitare forte interesse negli storici della musica e nei biografi. Già prima della sua morte, nel 1946, a opera di Andrea Della Corte, uno dei fondatori della critica musicale italiana, Toscanini è stato oggetto di biografia. Oggi, il più accreditato studioso di Toscanini è Harvey Sachs, che ha recentemente pubblicato una monumentale biografia che si propone anche, ma non solo, per la sua mole, oltre 1200 pagine, come un’opera d’assoluto riferimento sulla vita del grande direttore (Toscanini. La coscienza della musica, Milano, Il saggiatore, €69, trad, Valeria Gorla).
L’opera di Sachs si avvale, ampliandoli e ricontestualizzandoli, dei materiali già usati per una precedente biografia di Toscanini pubblicata presso la EDT di Torino nel 1981, ma anche per un libro di notevole interesse purtroppo non disponibile in lingua italiana: Music in Fascist Italy (Londra, Weidenfeld and Nicolson, 1987) e di una raccolta di lettere del maestro da lui curata (Nel mio cuore troppo d’assoluto, Milano, Garzanti, 2003). L’opera di Sachs ha diversi pregi che vanno oltre la vastità della documentazione, tra cui quello di leggere attraverso la vita di Toscanini la società musicale tra fine ottocento e prima metà del novecento, poiché, come abbiamo detto in apertura, è anche proprio attraverso l’intreccio delle vicende biografiche del grande direttore con i fatti storici che si possono cogliere le ragioni della sua popolarità e della sua grandezza.
Non manca, nel lavoro di Sachs, anche l’attenzione alle relazioni che Toscanini ebbe con i grandi personaggi del mondo musicale a lui contemporanei. Evidentemente, data l’ampiezza del testo, il lettore può perdersi a volte nella narrazione di fatti che possono apparire poco rilevanti, ma questo è il prezzo da pagare per un’opera che aspira alla completezza dell’informazione biografica. Inoltre, la grande accuratezza dell’indice analitico e dei nomi permette di usare il testo anche come una sorta di “Enciclopedia Toscanini”, andando a ricercarvi ciò che più interessa. Comunque, la stesura del testo è molto scorrevole e mai noiosa, soltanto, qualche volta, un po’ troppo scrupolosa nel descrivere eventi e fatti storici molto generali che probabilmente il lettore già conosce.
1 Per la verità l’ Internazionale era stata sostituita, come inno sovietico, proprio nel marzo del 1943 da Sojuz nerušimyi respublik svobodnich (Eterna alleanza di libere repubbliche) composto da Aleksandr Vasil’evic Alexandrov, che, per la parte musicale, è ancora oggi l’inno della Russia, ma con un testo riscritto nel 2000 da cui sono stati espunti i riferimenti al socialismo. Evidentemente Toscanini fece riferimento all’inno che conosceva cioè all’Internazionale.
https://www.youtube.com/watch?v=15Nht-_smm8
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