09/10/2019
Il lungo autunno della democrazia parlamentare
Ormai è fatta e non si potrà cambiare per chi sa quanto tempo (se si resta in “condizioni normali”, perlomeno).
I parlamentari sono stati ridotti di poco più di un terzo (da 945, tra Camera e Senato, a 600). Il che, di per sé, non sarebbe un problema di “democrazia” se non fosse per l’assurdità delle motivazioni addotte da chi – i Cinque Stelle – ne ha fatto una battaglia “identitaria”: “riduzione dei costi”, “maggiore efficienza”, e sciocchezze simili.
Non ci vuole molto a dimostrare che “ridurre i costi” di 109 milioni l’anno non risolve alcun problema per i conti dello Stato, visto che equivale a 1/600 di quel che si spende annualmente per gli interessi sul debito pubblico. Insomma, pesa molto di più la riduzione dello spread di soli 10 punti base (0,1%)... Se proprio si voleva “risparmiare” qualcosa, sarebbe stato più produttivo dimezzare gli stipendi.
Per quanto riguarda l’”efficienza”, poi, scappa da ridere. Da molti anni a questa parte la stragrande maggioranza dei parlamentari è ridotta a schiaccia-pulsanti, mentre le leggi vengono decise dal governo in carica e fatte passare a colpi di “fiducia”. L’attività principale consiste in genere nel conquistare un’inquadratura e una battuta all’uscita dei Palazzi, tra le troupe in attesa.
Insomma, che siano 600 o 945 non cambia praticamente niente.
I problemi che crea all’impianto costituzionale della rappresentanza politica sono invece numerosi. E quasi irrisolvibili, stante l’inconsistenza culturale e umana di questa masnada di peracottari che bisognerebbe chiamare “onorevoli”.
Il primo problema è il ridisegno dei collegi elettorali, ma è quasi una questione “tecnica” che ne nasconde di molto più politiche. A seconda dei risultati ottenuti nelle ultime elezioni, infatti, si può allargare un collegio includendo o escludendo aree territoriali che possono far vincere – nelle previsioni, sempre incerte – uno o l’altro degli “schieramenti”. I quali sono così “alternativi” tra loro da aver votato tutto all’unanimità (solo 14 contrari su quasi 600 votanti).
Il problema invece irrisolvibile è la “rappresentatività” del Parlamento che verrà eletto rispetto alla molteplicità degli interessi e delle figure sociali. È evidente che ci sarà meno spazio e che anche questo sarà ulteriormente occupato manu militari a seconda della legge elettorale che dovrà essere in ogni caso elaborata e approvata.
Non ci vuole molto a capire che una combinazione tra meno parlamentari, forte quota di maggioritario (otto regioni governate dalla destra hanno chiesto un referendum per abolire la quota proporzionale) e alta soglia di sbarramento restringerà la rappresentanza politica finale a due o tre “partiti” al massimo.
E si capisce dunque benissimo perché la riduzione dei parlamentari fosse tra i punti salienti del “Piano di rinascita democratica” della P2...
Rileggendo quel testo, in effetti, si vede che quasi tutte le “innovazioni istituzionali” degli ultimi 30 anni sono ispirate a quello schema autoritario e fascistoide, basta fare l’elenco:
– abolizione del Senato (la riforma Renzi-Boschi, bocciata col referendum del 4 dicembre 2016);
– abolizione delle province o perlomeno del loro carattere di enti elettivi (fatto! Dal governo Renzi...);
– inemendabilità dei decreti-legge (fatti dal governo e votati con la “fiducia”);
– “modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera all’inizio di ogni legislatura e può essere rovesciato soltanto attraverso le elezioni del successore” (è quello che di fatto pretendeva Salvini dal Papeete);
– “ripristinare il ruolo effettivo del sindacato di collaboratore del fenomeno produttivo” (fatto! con l’entusiasta collaborazione di CgilCislUil...)
Ecc.
Lungi da noi pensare che si stia realizzando un “piano oscuro” gestito da forze tutte perfettamente consapevoli di star cooperando per la sua riuscita. Ma si sta realizzando lo stesso. Anche se nella testa di chi ieri ha votato questa “riforma costituzionale” è molto più importante l’aver di fatto bloccato la possibilità di andare ad elezioni anticipate. Questa riforma potrebbe – potrebbe – essere annullata da un referendum popolare (che nessuna forza parlamentare chiederà...), richiederà i tempi necessari per il ridisegno dei seggi, la necessaria modifica ella legge elettorale, ecc. Insomma, si arriva almeno vicini alla fine naturale della legislatura (2023).
Insomma, si mette mano alla Carta Fondamentale per piccolissimi interessi di bottega. Ma proprio la ristrettezza dell’orizzonte va a coincidere con il processo oggettivo di concentrazione dei poteri in poche mani.
Se poi alziamo lo sguardo dalle miserie dell’Italietta a quelle di tutto l’Occidente, il quadro non cambia di molto. Più o meno avanzato che sia, a seconda dei diversi paesi, il processo di concentrazione dei poteri nell’esecutivo e svuotamento dei Parlamenti è generale. Basterebbe guardare alla Francia di Macron o alle contorsioni interne a Buckingham Palace...
Se ciò accade non è “grazie” ad una sorta di “P2 Spectre”, ma per una pressione della realtà economica e sociale tale da spingere “oggettivamente” in questa direzione. Più o meno nei termini previsti dallo studio condotto nel 1975 dalla nota Trilateral Commission, commissionato dalle élite più spregiudicate, e che dichiarava l’”eccesso di democrazia” come il nemico da battere.
Nell’Occidente capitalistico, insomma, è ormai compiuto un processo di spostamento del potere decisionale dai governi nazionali alle imprese multinazionali (industriali e finanziarie) e dunque tutto il sistema delle “democrazie parlamentari” è diventato superfluo.
Se non c’è molto da decidere, nella sostanza, quella macchina un tempo congegnata per trasformare i diversi interessi sociali in decisioni politiche nazionali – creando e trasformando meccanismi di rappresentanza – può servire al massimo per gestire il malessere sociale derivante da scelte su cui non si può legalmente retroagire.
Dunque si è messo in moto ovunque un processo che agisce su due piani: svuotamento materiale, oltre che funzionale, delle istituzioni elettive e trasformazione dei “leader politici” in attori pieni di carisma ma vuoti di progetto. Armi di distrazione di massa, non decision maker.
Se non per le quisquilie utili di giorno in giorno...
Un ruolo speciale lo giocano ovviamente i media che, a voler essere cattivi, ricoprono spontaneamente il ruolo che mr. Gelli aveva immaginato per loro: “Ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di “simpatizzare” per gli esponenti politici come sopra prescelti”.
Un esempio, dal Corriere di oggi, aiuta a capire. Si tratta di un editoriale di rara inconsistenza, scritto da uno dei due autori de La casta, Gian Antonio Stella. Il quale invita i governanti a non usare la riduzione dei parlamentari come “scalpo da mostrare alla folla”, ma ad “osare di più”. Che cosa? Licenziare più dipendenti possibile delle due Camere e ridurre i loro (alti) stipendi. Pur riconoscendo che, in effetti, grazie anche al successo del suo libro, negli ultimi 14 anni “i dipendenti di Montecitorio sono drasticamente calati da 1.873 a 1.063”.
In effetti, con dei consigliori così, la democrazia parlamentare non può che defungere.
Fonte
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