di Michele Giorgio – il Manifesto
«Siamo pronti a fare da
scudi umani pur di impedire l’avanzata turca». Arin Sheikhmous,
attivista di Qamishli, raccontava ieri ad Al Jazeera la mobilitazione di
civili e combattenti nei centri abitati curdi dopo l’annuncio di Trump
del ritiro delle truppe Usa dalla regione nordorientale della Siria. Centinaia di curdi si sono radunati davanti all’ufficio delle Nazioni Unite chiedendo protezione internazionale.
Altri stanno organizzando sit-in nelle aree di confine con la Turchia e
montano tende enormi a Ras al-Ain, Tal Abyad e Kobane dove troveranno
posto persone di tutte le età. Nel Rojava è allarme rosso.
I primi cannoneggiamenti turchi sono cominciati nella notte
tra lunedì e martedì e l’aviazione di Ankara ha colpito postazioni curde
al valico di Semelka. La paura è forte tra i civili. Si sa già
come è andata con le precedenti offensive turche: Scudo dell’Eufrate e
Ramoscello d’ulivo. Non impressionano i toni bellicosi di Donald Trump
che minaccia di «annientare l’economia turca» se le truppe di Ankara si
macchieranno di massacri e devastazioni dopo il ritiro dei soldati Usa.
Sono solo parole. Contro i curdi ci saranno anche i 14mila
uomini dell’Esercito libero siriano (Els, ora chiamato “Esercito
nazionale”), la milizia dell’opposizione siriana, addestrata dalla
Turchia e sponsorizzata dal Qatar. «L’azione turca rappresenta
una nuova speranza per il popolo siriano», ha commentato il portavoce
dell’Els Yusuf Hammoud. Questa milizia, ben sostenuta in passato
dall’Occidente, rimprovera a Trump di aver sospeso i finanziamenti nel
2017.
Erdogan sente di avere le mani libere. Trump ha abbandonato i
curdi che usava contro l’Isis. L’Europa da un lato chiede una soluzione
politica e dall’altro mostra comprensione per la «lotta terrorismo»
della Turchia. Perciò la «zona di sicurezza» turca, profonda chilometri,
in territorio siriano sta per diventare una realtà. Dopo il
2011 Ankara ha insistito per costituirla in modo da aiutare i “ribelli”
siriani e colpire il presidente Bashar Assad. Ora, dopo aver promesso
alla Russia alleata di Assad che non metterà a rischio «l’integrità
territoriale della Siria», la userà per insediarvi almeno uno dei tre
milioni di profughi siriani che la Turchia ospita nel suo territorio. E
per sbaragliare la Fds, le Ypg e le altre forze curde che considera
“terroriste” e per mettere fine ad ogni idea di federazione autonoma
curda.
Tutti i segmenti della società nella regione del Rojava –
curdi, arabi e siriaci – si oppongono all’offensiva turca che spaventa i
civili. I leader curdi cercano alleanze, consapevoli che l’esercito avversario è molto forte. Il
comandante delle Fds, Mazlum Abdi, ha detto al portale Rojava Network
Broadcasting, che si sta valutando «una collaborazione con il presidente
Assad, con l’obiettivo di combattere le forze turche». Damasco
da parte sua invita i curdi a «tornare nell’abbraccio della patria
siriana» per evitare di «sprofondare negli abissi». Intervistato dal
quotidiano Al Watan, il viceministro degli esteri siriano Faysal al
Miqdad si è rivolto ai leader curdi affermando: «Siamo pronti a
difendere la nostra terra e il nostro popolo ma (i curdi) non devono
abbandonarsi alla rovina». Damasco condanna la nuova probabile
invasione del suo territorio settentrionale. Allo stesso tempo è forte
dell’assicurazione ricevuta da Mosca che Erdogan non cercherà di annettersi
porzioni di Siria. «Gli analisti e i media occidentali
sembrano non rendersi conto che quanto accade è assolutamente
riconducibile al meccanismo di Astana» spiega al manifesto un alto
funzionario delle Nazioni Unite che ha chiesto l’anonimato «Russia,
Turchia e Iran hanno messo in piedi un processo che tiene conto degli
interessi di tutti e tre i paesi e che, a conti fatti, è quello che ha
prodotto in Siria risultati concreti sul terreno, a differenza della
conferenza di Ginevra. Se c’è un comitato costituzionale in via di
formazione in Siria, con rappresentanti del governo e delle opposizioni
lo si deve ad Astana, non a Ginevra. E non è un caso che l’inviato
speciale dell’Onu sia ora un osservatore quasi ufficiale di Astana».
All’interno di questo quadro i curdi non potranno far altro
che rivolgersi a Damasco e cercare una soluzione concordata con il
governo centrale sul futuro del Rojava e del nord est della Siria, ora
che gli Stati Uniti li hanno traditi e lasciati soli. Erdogan si accontenterà di una occupazione temporanea dei territori siriani lungo il confine? Pubblicamente Mosca e Tehran non approvano le mosse di Erdogan. Ma dietro le quinte le cose sono diverse.
Vladimir Putin si mostra tranquillo e il presidente iraniano Rohani non
si è stracciato le vesti per le intenzioni di Ankara. In realtà fatta
la zona cuscinetto nessuno potrà fare previsioni sulle intenzioni di
Erdogan.
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