Pronti a resistere ad oltranza all’esercito turco.
Lo dicono le Fds, le Forze democratiche siriane a maggioranza curda, che
dopo aver pagato con migliaia di morti e feriti, assieme alle altre
formazioni combattenti curde, la lotta contro lo Stato islamico, sono
state pugnalate alla schiena dalla Casa Bianca.
Nel corso della
notte l’Amministrazione Usa ha diffuso un comunicato in cui di fatto
approva e dà il via libera alle operazioni militari turche nel nord-est
della Siria, l’area che i curdi-siriani a partire dal 2015 hanno
liberato dallo Stato islamico con l’aiuto dell’aviazione statunitense.
“La Turchia avvierà presto la sua operazione nella Siria settentrionale a
lungo pianificata. Le forze armate degli Stati Uniti non supporteranno o
saranno coinvolte nell’operazione. Gli Stati Uniti, avendo sconfitto il
califfato territoriale dell’Isis, non saranno più nell’area immediata”,
si legge nel comunicato diffuso dopo la conversazione telefonica tra
Donald Trump e il presidente turco Erdogan. Trump ha poi ricordato i
finanziamenti Usa ai curdi. “I curdi hanno combattuto con noi, ma sono
stati pagati con enormi somme di denaro ed equipaggiamenti per farlo.
Combattono la Turchia da decenni. Ho tenuto da parte questa lotta per
quasi tre anni, ma è tempo per noi di uscire da queste infinite guerre
ridicole, molte delle quali tribali, e portare i nostri soldati a casa”,
ha scritto in un tweet il presidente americano.
Le truppe Usa, circa un migliaio nel nord della Siria, hanno già cominciato a smantellare le loro basi
e si preparano, non si sa bene se tutte e subito, a rientrare in
patria. Washington aveva accettato di pattugliare congiuntamente con
truppe turche la “zona cuscinetto” all’interno della Siria che Ankara
sta costituendo arbitrariamente. Ma la sua partecipazione al piano di
Erdogan è avvenuta con il freno a mano tirato e Trump messo alle strette
ha deciso di lasciare il campo agli alleati turchi vendendosi i curdi e
le loro aspirazioni.
L’offensiva dei comandi militari agli ordini di Erdogan si è fatta imminente,
potrebbe essere una questione di pochi giorni, forse meno. Ankara ha
già fatto fa sapere di essere pronta a colpire con ingenti forze i
“terroristi” così come abitualmente definisce i combattenti curdi. Ma l’altra parte non resterà a guardare malgrado la disparità delle forze in campo. “Se la Turchia rompe i patti siamo pronti alla guerra e a difendere i diritti del nostro popolo”, si legge nel comunicato emesso dal comando militare del “Rojava”, area amministrata dai curdi siriani del Pyd-Ypg che Ankara è decisa a cacciare dall’Est del fiume Eufrate.
Amarezza e rabbia attraversano in queste ore i centri abitati curdi.
“Gli Stati Uniti non hanno rispettato i loro impegni nel nord-est della
Siria e, ritirandosi, trasformeranno l’area in una zona di guerra”, ha twittato Mustafa Bali, portavoce delle Fds,
“nonostante l’accordo sul meccanismo di sicurezza e la conseguente
distruzione delle nostre fortificazioni, le forze Usa non hanno
rispettato le loro responsabilità... Ma le Forze siriane democratiche sono
determinate a difendere il nord-est della Siria a ogni costo”. Poco dopo Bali si è rivolto a Washington. “La nostra gente merita una spiegazione
a proposito dell’accordo sul meccanismo di sicurezza, della distruzione
delle fortificazioni e della fuga degli Stati Uniti dalle proprie
responsabilità”, ha detto riferendosi alle intese turco-americane.
Erdogan ha stretto i tempi e dopo aver ha annunciato, nel
fine settimana l’imminente avvio di un’operazione militare “aerea e di
terra” ad est del fiume Eufrate, ha aumentato le pressioni su Trump
dichiarandosi insoddisfatto dai progressi sui pattugliamenti congiunti
con gli Usa. La parola ora passa alle armi e a pagarne il costo saranno
i civili curdi siriani. Le Nazioni Unite hanno fatto sapere che si stanno preparando al peggio.
“Non sappiamo cosa succederà. Ma ci prepariamo al peggio”, ha
dichiarato il coordinatore Onu per le operazioni umanitarie in Siria,
Panos Moumtzis.
Mentre si attendono le reazioni di Damasco, la Russia alleata
della Siria ha precisato attraverso il portavoce del Cremlino, Dmitrij
Peskov, che il presidente Vladimir Putin non ha discusso con Erdogan i
piani militari della Turchia nel nord della Siria. “Il Cremlino
– ha detto Peskov – tuttavia è consapevole dell’impegno della Turchia
per il postulato dell’integrità territoriale e politica della Siria.
L’integrità territoriale del paese è il punto di partenza negli sforzi
per trovare una soluzione al conflitto siriano.
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