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06/12/2019

1/ L’industria 4.0. Rivoluzione tecnologica del lavoro o contro il lavoro?

Con la prima parte da oggi pubblichiamo sul nostro giornale quattro puntate di una analisi/inchiesta curata da Stefano Zai sull’industria 4.0. L’automazione, a livello mondiale, tra il 2015 e il 2020 ha distrutto 7 milioni di posti di lavoro e ne ha creati solo 2. Secondo una proiezione uscita su Il Sole 24 Ore, l’industria 4.0 in Italia tra il 2017 e il 2035 porterà alla scomparsa di 3,5 milioni di posti di lavoro. Si tratta di una sfida sul lavoro che va analizzata, compresa e ingaggiata con estrema determinazione. In questa prima parte vengono analizzate le connessioni tra lo sviluppo dell’automazione industriale e la divisione internazionale del lavoro che assegna al nostro paese un ruolo subalterno. Nelle prossime puntate verranno sviluppati quello che l’autore definisce come il “totalitarismo digitale”; l’industria 4.0 come rivoluzione del lavoro e delle sue forme ed infine i progetti del governo sull’industria 4.0 e come opporsi ad essi (redazione).

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Industry 4.0 è il termine impiegato per indicare la quarta rivoluzione industriale. Non è questo l’ambito per consentire una sua contestualizzazione storica e un confronto con le precedenti, ma una cosa è importante da sottolineare: Industry 4.0 sta avendo e avrà sui modi di produzione, sul lavoro per come lo abbiamo conosciuto, sulla rappresentanza sindacale, sulla società, sullo Stato, una portata rivoluzionaria tale da essere paragonabile, a mio avviso, solo alla prima rivoluzione industriale, dove l’umanità incominciò a trasformarsi da ciò che era stata per secoli, prettamente agricola e contadina, all’essere prettamente industriale. Quello in cui oggi ci stiamo trasformando è tutto da comprendere, non solo per capire verso cosa ci stiamo muovendo, ma per avere gli strumenti per affrontarlo.

L’aspetto che viene maggiormente enfatizzato ed evidenziato ai lavoratori e alla società intera dalle parti datoriali, da Confindustria, dalla Unione europea e BusinessEurope, è di Industry 4.0 come rivoluzione tecnologica, ma non è solo questo: è anche e pariteticamente una rivoluzione del lavoro e delle sue forme per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Viene descritta in larga parte dal punto di vista tecnologico, dimenticandosi (volutamente) che il secondo pilastro legato alla trasformazione del lavoro è ugualmente fondamentale.

Prima di entrare più a fondo in merito alle caratteristiche di Fabbrica 4.0 e sugli impatti che essa sta avendo e avrà nel mondo del lavoro, in modo particolare in termini di occupazione, è necessario provare a mettere a fuoco il contesto.

Il sistema economico-produttivo (anche finanziario, ma non lo prendiamo in considerazione in questo articolo) europeo si sta delineando come modello di un processo di centralizzazione senza concentrazione1.

Per dirla in parole semplici, si centralizza il business, ossia la parte amministrativa di alto livello, i profitti e la conoscenza (teniamo a mente questa parola, poi capiremo perché), ma le produzioni, le forniture, i processi intermedi, l’indotto, quindi il lavoro, sono parcellizzati, diciamo “liquefatti” in molteplici luoghi (reali e virtuali di produzione e lavoro) lungo le catene del valore globali ed europee e non più concentrati in solo luogo o regione. Queste porzioni produttive parcellizzate e distribuite sulla carta fanno riferimento a più centri, ma la realtà è che questi sotto-processi non sono in grado di reggere ad un elevatissimo livello di concorrenza e finiscono per riferire ad un unico centro, di fatto operando in una mono-committenza.

L’Italia fa parte a pieno di questo modello, in un processo che lega la macro regione del nord (Emilia – Lombardia – Veneto), con la propria industria manifatturiera di piccole medie dimensioni, alle catene del valore che hanno il proprio centro nel cuore della Ue (Germania in particolare).

Le catene del valore legate a questo centro sono i “cavalli” che devono correre per la competizione tra i vari poli economici globali. Il resto del paese è stato relegato a fornitore di servizi, turismo e fornitore di manovalanza precarizzata, flessibilizzata.

Attenzione, però, il Nord non è omogeneo e per stare nelle sopracitate catene del valore la competizione è schiacciante, si scarica sempre più la competizione sul lavoro (precarizzazione e flessibilizzazione), molti attori industriali di piccole dimensioni non riescono e tutto questo sta producendo una forbice tra ricchi e poveri sempre più ampia.

Il sistema economico-paese in parte rientra nel modello europeo appena descritto, mentre il resto è stato e viene “dato in pasto” alle multinazionali extra Ue, che si fondano su modelli economici di valorizzazione differenti da quello europee (vedi la Cina e le vie della seta o gli Stati Uniti di Trump, ecc.), interessati a conquistare fette di mercato, con tutte le conseguenze che questo comporta.

Ex-Ilva, Alitalia, ecc., tanto per citare alcuni esempi. Un modello industriale non esiste: un processo di deindustrializzazione per la maggior parte del paese e un modello acefalo per le regioni del nord, agganciate alle catene del valore sopracitate, che in qualsiasi momento ti possono sganciare o rimodellare a piacimento. Un processo complessivo che non governiamo come paese e a maggior ragione come lavoratori, che trova il suo fondamento nella nostra adesione all’Unione europea.

In un modello economico Ue di questo tipo, centralizzato ma non concentrato, è evidente che gioca un ruolo fondamentale la tecnologia. Ecco perché è fondamentale Industria 4.0., che consente la “non concentrazione” dell’apparato produttivo, l'automazione in parte o completamente delle produzioni per operare h24, la connessione dei vari punti globali in cui la produzione è “sparpagliata”, la velocizzazione e la distribuzione dei prodotti (logistica), la circolazione dei fattori produttivi e delle informazioni.

Ma al contempo la medesima tecnologia realizza la centralizzazione di ciò che è considerato il delta necessario per potere concorrere a livello globale. Uno dei pochi e possibili fattori rimasti su cui il capitale europeo e occidentale sta puntando per riuscire ad avere ancora profitti, in un contesto di manifattura e produzione reale al palo dal 2008 con la crisi: le informazioni. I dati che racchiudono la conoscenza con cui oggi è possibile valorizzare e concorrere. I dati che racchiudono la descrizione di ognuno di noi, i gusti, gli orientamenti dei lavoratori-consumatori, che poi devono essere riutilizzati nel business.

Quindi, Industry 4.0 si basa e si sviluppa su due pilastri fondamentali. Il primo è quello tecnologico: Industry 4.0 come rivoluzione tecnologica. Il secondo è Industry 4.0 come trasformazione delle forme del lavoro, una rivoluzione in senso neoliberale dello stesso, che si contestualizza in una rivoluzione neoliberale più ampia di matrice politico-ideologico-sociale.

Industry 4.0 come rivoluzione tecnologica 2.

Industry 4.0 come rivoluzione tecnologica è caratterizzata da:

Produzione additiva3. L’emblema dell’industria 4.0 è la stampante 3D (tre dimensioni) che ha dato il via alla cosiddetta manifattura additiva, cioè una modalità produttiva che consente la realizzazione di oggetti (componenti, semilavorati, prodotti finiti, ecc.) ottenuti producendo e sommando strati successivi di materiale (appunto con la stampa 3D) e ciò contrasta con quanto accaduto fino ad ora in molti ambiti della produzione tradizionale, in cui si procede per sottrazione dal pieno (tornitura, fresatura, ecc.). Si tratta di un’evoluzione fondamentale nella più ampia tendenza alla digitalizzazione della manifattura che si realizza attraverso il dialogo tra computer e macchine, grazie alla condivisione di informazione (tra macchine, tra persone, tra macchine e persone) resa possibile, tra l’altro, dall’ormai consolidata diffusione di internet.

Si identificano due caratteristiche della produzione additiva centrali per comprenderne le potenzialità di sviluppo:

a) consentire di produrre oggetti disegnati con geometrie complesse non altrimenti realizzabili in un unico pezzo con le tecniche tradizionali, modificandone la struttura costruttiva con un minore impiego di materie prime, maggiori prestazioni, utilizzando materiali diversi da quelli oggi in uso;

b) fare sì che i costi di realizzazione di varianti rispetto ad un modello base siano sostanzialmente molto ridotti, in quanto si cambia il software non più la linea, la macchina, lo stampo, ecc. Si viene così affermando un nuovo modello industriale manifatturiero legato alla personalizzazione del prodotto, cioè alla “personalizzazione di massa” delle produzioni, con un impatto sul lavoro dettato dall’esubero di manodopera, completa assenza dell’uomo in questi processi produttivi (una piccola villetta residenziale nelle sue parti strutturali già può essere costruita con la totale assenza dell’uomo) ed una flessibilizzazione del lavoro rimasto che si dovrà adeguare, nei modi, nei tempi e nei luoghi (le stampanti 3D si possono spostare facilmente, l’applicazione edile ne è un esempio).

Inoltre, in alcuni settori, verrà scaricata buona parte dei costi produttivi delle parti datoriali ai consumatori, perché piazzeranno al consumatore stesso l’onere di stamparsi il prodotto (Barilla, ad esempio, sta pensando stampanti 3D da vendere al consumatore per stamparsi la pasta direttamente a casa, avendo profitto dalla vendita del software che realizza la forma della pasta e del semilavorato per stamparla, ma con un notevole risparmio nei costi di produzione).

“I.O.T., Internet of Things” – Internet delle cose: può essere definito come “rete delle apparecchiature e degli oggetti diversi dal computer connessi alla rete”. Per capire non c’è niente di meglio che citare alcuni esempi: “oltre 50.000 indirizzi IP, nodi intelligenti di una grande rete mettono in connessione ogni oggetto che entra in contatto con la filiera, facendolo dialogare con tutti gli altri: dal robot al componente più piccolo che scomparirà nel prodotto finito, la nuova Mercedes Classe E. A Stoccarda questo modello passerà alla storia come la prima auto “nativa digitale” del marchio. La vettura non è un “concept” ed è in vendita nelle concessionarie, è figlia della digitalizzazione della fabbrica”. […]

“La casa farmaceutica può inviare alla stampante 3D dell’ospedale le istruzioni per produrre il medicinale personalizzato”4.

In prospettiva, ma in un tempo neanche troppo distante, si definiranno filiere produttive e prodotti finiti in grado di autodiagnosticarsi, quindi non solo completa automazione della produzione, ma anche della sua manutenzione*. Vien da sé comprendere come si apra uno scenario potenziale di notevole perdita di posti di lavoro legati alla manutenzione della filiera produttiva stessa e del prodotto finito. Anche in questo caso come per la produzione additiva, si va nella direzione di connettere la linea direttamente con il consumatore finale, nel nuovo tipo di modello industriale legato alla personalizzazione del prodotto, personalizzazione di massa delle produzioni.

Si è qui osservato I.O.T. dal punto di vista delle produzioni, per dir così, ma I.O.T. coinvolge un aspetto fondamentale dal punto di vista della quotidianità stessa delle persone e della società. Le nostre case sono sempre più colme di prodotti “smart” (cose connesse alla rete, rese “intelligenti” dalla connessione, appunto), connessi con le filiere di produzione, la rete, i “social network” e noi stessi. Immediato comprendere quale sia la conseguenza: una completa profilazione delle nostre abitudini, ecc., che sviluppa controllo e soprattutto autocontrollo e un accumulo di dati da mettere a profitto.

Big data e cloud. Fabbrica 4.0 deve far viaggiare, monitorare ed immagazzinare dati. Dati, che devono appunto essere scambiati fra le cose (I.O.T.), fare funzionare le stampanti 3D, ecc. Quindi è già una realtà il “cloud computing” – cloud sta per nuvola, nuvola virtuale, nella quale si immagazzinano dati – un insieme di tecnologie che permettono tipicamente sotto forma di un servizio offerto al cliente, di memorizzare, archiviare elaborare dati, grazie all’utilizzo di risorse hardware e software distribuite e virtualizzate.

Ma soprattutto è già una realtà il Big data. Applicazioni, piattaforme, social network, ecc., realizzano la produzione di una massa enorme di dati, da gestire e rielaborare in informazioni anche in tempo reale, questo è il “Big data”. Fondamentale per un soggetto Industry 4.0, quindi, la gestione e rielaborazione di questa massa enorme di dati considerando che non tutti sono prodotti dal soggetto stesso. Inoltre, la gestione e rielaborazione del “Big data” rappresenta un business in sé, la nuova gallina dalle uova d’oro, chi ci sa “mettere mano” ed è in grado di rendere disponibile queste informazioni, diventa un operatore indispensabile alla nuova era industriale.

Robotica. Quando si parla di robotica a tutti viene in mente la linea produttiva di autovetture, ormai esclusivamente composta da bracci robotici completamente automatizzati. Questa è già una realtà esistente, che Industry 4.0 andrà a sviluppare con sistemi sempre più autonomi, complessi ed interconnessi (I.O.T.). Ma questa, interconnessione a parte, sta ancora nell’automazione o automazione industriale, ed è già presente da numerosi anni nelle nostre fabbriche. Però, Fabbrica 4.0 quando pensa alla robotica, pensa a qualcos’altro. Un ulteriore salto di qualità. Industria 4.0 non parla di “normali sistemi robotici”, la nuova frontiera si chiama robot collaborativo, capace cioè di lavorare fianco a fianco con l’uomo, capace, cioè, di sostituire l’uomo.

Anche in questo caso per capire di cosa stiamo parlando, facciamo un esempio.

“ABB ha presentato da qualche anno, un robot veramente collaborativo: YuMi. YuMi è un robot umanoide, progettato per l’utilizzo per esempio nel montaggio di minuteria, in cui gli esseri umani e i robot eseguono congiuntamente le stesse operazioni. YuMi è l’abbreviazione di ‘you and me,’ cioè una collaborazione “tra me e te”. YuMi è stato sviluppato in primo luogo per far fronte alle esigenze produttive di flessibilità e agilità dell’industria dell’elettronica, ma verrà adottato sempre più in altri settori di mercato. YuMi è anche dotato di vista e tatto” 5 o KIVA robot di Amazon, impiegati nel settore logistico.

La conseguenza dello sviluppo dell’automazione industriale, nonché l’introduzione dei robot collaborativi, producono e produrranno, oltre un evidente esubero di manodopera, per quei pochi lavoratori che rimarranno la velocizzazione del tempo di lavoro, una completa dipendenza dai robot in quanto a metriche e movimenti (i movimenti del lavoratore sono ormai completamente dettati dalle macchine, con conseguenti problemi psico-fisici), saturazione totale del tempo di lavoro (lavoro continuo con l’eliminazione di fattori di riposo e dialogo con eventuale operaio vicino) e ovviamente ed in tendenza una totale sostituzione della macchina al lavoratore. Inoltre, non si sta creando una nuova fascia di lavoro qualificato che “sostituisca” o “subentri” ai lavoratori espulsi, non che la creazione di questa fascia giustifichi l’espulsione degli attuali lavoratori, anche perché il numero non sarà equivalente, ma evidenzia come in realtà non vi sia un piano complessivo relativo all’impatto di Industry 4.0.

Chi lavora con i robot racconta che già attualmente sono in grado di autodiagnosticarsi, solo ogni tanto si deve intervenire a risolvere un problema che proprio da soli non sono grado di risolvere (esempio di applicazione di I.O.T.). I robot si rompono spesso, producono numerosi scarti e c’è un incremento del lavoro mal fatto a danno del prodotto e anche dell’ambiente6.

Tutti gli aspetti esposti fino a questo punto e quelli che andiamo ad affrontare di seguito in merito al cambiamento della forma lavoro, realizzano un nuovo paradigma che da origine alla manifattura digitale\ fabbriche intelligenti, appunto le “smart factory”. (fine prima parte)

Note:

1 Cfr. “Non c’è tempo da perdere: come industria 4.0 cambierà il modo di produrre”, Matteo Gaddi, Nadia Garbellini 19 luglio 2019.

2 In riferimento ai concetti di produzione additiva, I.O.T., “big data e cloud”, robotica, “smart factory”, Cfr. “Nova Edu”, La fabbrica 4.0, collana de Il sole 24 ore.

3 Cfr. “La manifattura additiva. alcune valutazioni economiche con particolare riferimento all’industria italiana, Scenari industriali anno 2014, Centro Studi Confindustria.

4 “Nova Edu”, La fabbrica 4.0, collana de Il sole 24 ore.

5 “ABB svela il futuro della collaborazione tra uomo e robot: YuMi “, Automazione Integrata – la redazione, 10 settembre 2014.

6 In riferimento all’introduzione dei robot, Cfr. “La società artificiale”, a cura di Renato Curcio. Sensibili alle foglie, 2017.

Fonte

* qui forse si fa un passo troppo oltre la definizione in causa. Per autodiagnosi, infatti, si intende la capacità di un apparato di dire all'operatore cosa si è rotto nei suoi sistemi e come. L'autoriparazione è un passaggio successivo e più complesso. 

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