In Italia esiste il “Piano nazionale impresa 4.0” volto a sostenere economicamente e fiscalmente le aziende di ogni tipo a trasformarsi in “Industry 4.0.” Come recita l’incipit al piano nel sito del ministero: “Il Piano nazionale Impresa 4.0 è l’occasione per tutte le aziende che vogliono cogliere le opportunità legate alla quarta rivoluzione industriale”.
Per chi volesse capire cosa prevede il piano e quali le principali azioni metta a disposizione, faccia riferimento al sito del ministero dello sviluppo economico.
Ci troviamo di fronte ad un fenomeno strutturale, che sta avendo e ha una portata rivoluzionaria nei processi lavorativi e appunto nella forma lavoro, con un impatto che si può esprimere in questi termini: “La Quarta rivoluzione industriale in Italia potrebbe infatti portare alla perdita del posto di lavoro del 14,9% del totale degli occupati, pari a 3.2 milioni, nell’orizzonte temporale di 15 anni”1.
Un’indagine di Mercer realizzata per il “Word Economic Forum” riporta che tra il 2015 e il 2020 circa 7,1 milioni di posti lavoro scompariranno nel mondo e di contro solo 2 milioni di posti di lavoro sono stati creati nelle diverse funzioni legate alle nuove tecnologie.
Di fronte a tutto ciò, non possiamo non riflettere su come la tecnica si affermi sempre più come un elemento non neutro, semplicemente da riconquistare e “riposizionare” in un contesto differente da quello esposto, ma come sia pienamente partecipe e concepita per realizzare un determinato soggetto, quando invece già da oggi potrebbe essere concepita e realizzata per liberare da costrizioni, aumentare la qualità della vita, creare lavoro e dignità con esso, nonché ridurre il tempo di lavoro ed aumentare quello di vita, ecc.
Inoltre, quello che non si vede è un piano complessivo che sia in grado di affrontare la situazione, soprattutto nelle sue conseguenze in termini occupazionali e sociali. L’unica strada che viene perseguita è la stessa che porta al problema, le parti datoriali ribadiscono l’aumento della competitività realizzata attraverso Industry 4.0 per creare nuovi posti di lavoro legati alle nuove tecnologie che suppliranno alla perdita degli attuali ed un modello sociale voluto dalla Ue, nei termini sopra esposti, realizzato ed in fase di realizzazione da tutti i governi che si sono succeduti in questo paese.
Occorre mettere in campo iniziative volte a favorire la comprensione del fenomeno nei luoghi di lavoro e l’aggregazione sociale. Ma anche realizzare un progetto complessivo, che disinneschi le più immediate e nefaste conseguenze, rivendicando, appunto il rifiuto culturale della logica di concorrenza tra lavoratori e nella vita e la solidarietà tra lavoratori.
A fronte della tecnologia che svolge il lavoro al posto nostro, rivendicare riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, per creare nuovi posti di lavoro.
A fronte della potenziale perdita di posti di lavoro rivendicare reddito sociale minimo, non soggetto ad alcuna prescrizione di condizionabilità. Contrattazione collettiva nazionale, come unica forma contrattuale. Rifiuto della scuola delle competenze (esclusivamente funzionale alle aziende, per una scuola dei saperi) e dell’alternanza scuola-lavoro.
Rivendicazione di contratti di lavoro a tempo indeterminato con retribuzioni non legate al risultato ed una legislazione che li renda tali. Annullamento del lavoro servile (neo-schiavismo delle campagne e nel settore logistico).
Ri-pubblicizzare i servizi pubblici. Rivendicazione di un nuovo stato sociale e annullamento del sistema di “Workfare”. Nazionalizzazione dei settori energetici e delle industrie strategiche, per un intervento razionale dello Stato in economia non più rivolto al sostegno del mercato e della concorrenza, ma per una redistribuzione delle risorse economiche a favore dei cittadini, dei lavoratori e delle fasce pauperizzate di questo paese.
Note:
1 Incentivi e formazione per creare occupazione con l’industria 4.0, Vittorio Da Rold, Il Sole 24 ore, 2 settembre 2017.
Prima parte: Industria 4.0. Rivoluzione tecnologica del lavoro o contro il lavoro?
Seconda parte: Industria 4.0. Il totalitarismo digitale
Terza parte: Industria 30. Come modellare il lavoratore “imprenditivo”
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