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25/06/2022

Aumenta lo shopping delle aziende straniere in Italia. Quantità ma non qualità

Gli ambienti finanziari lo salutano sempre come un dato positivo, ma è un dato che va sempre decostruito a dovere. Gli investimenti esteri in Italia nel 2021 sono aumentati dell’83% con 207 progetti di Ide (Investimenti Diretti Esteri) in più rispetto a prima. Nonostante questo incremento, la quota di Ide in entrata in Italia è ancora al 3,5% rispetto a Francia (21%), Regno Unito (17%) e Germania (14%).

A rilevarlo è un rapporto dell’EY Europe Attractiveness Survey 2022, una ricerca annuale che analizza l’andamento degli investimenti diretti esteri in Europa e le percezioni delle società a livello internazionale con l’obiettivo di indagare il livello di attrattività di ciascun Paese e individuare i principali settori d’investimento nel futuro.

Un paio di mesi fa aveva fatto scalpore la decisione delle multinazionale del farmaco Catalent di chiudere lo stabilimento di Anagni (quello che ha prodotto milioni di vaccini durante la pandemia) a causa delle lungaggini burocratiche della Regione Lazio. I peana e le lamentazioni sui troppi “lacci e lacciuoli” che ostacolano la libera impresa erano stati assordanti.

Ma, a quanto sembra, non sarebbero un ostacolo così insormontabile per gli investimenti esteri in Italia, forse i bassi salari di lavoratrici e lavoratori italiani sono un incentivo superiore al numero di pratiche da presentare.

Per i curatori del Rapporto e per gli ambienti dell’establishment economico, il merito sarebbe soprattutto del governo Draghi e delle garanzie che questo offre alla piena libertà d’impresa. In parte gioca anche la possibilità di intercettare i fondi del PNRR.

“L’Italia scala posizioni in termini di attrazione di investimenti esteri, posizionandosi nel 2021, per la prima volta dopo molto tempo, tra i primi 10 Paesi europei per numero di progetti di Ide. Dopo l’incremento degli investimenti registrato nel difficile anno della pandemia, il 2021 conferma il trend di crescita, con un segnale positivo di fiducia nelle prospettive di rafforzamento dell’economia italiana, legato anche al piano pluriennale di riforme perseguito dal Governo Draghi a partire da febbraio 2021” è scritto infatti nel rapporto.

Nel 2021 gli investimenti esteri provengono soprattutto da aziende degli Stati Uniti (28% ), seguiti dalla Germania (17%), che hanno superato quelli dalla Francia (12%) e il Regno Unito (7%). Si registra invece una flessione del 50% rispetto al 2020 degli investimenti provenienti dalla Cina.

Ma se andiamo a guardare i settori, ad attrarre parte degli investimenti esteri in Italia nel 2021 sono stati il settore software e servizi IT (con il 15% degli Ide totali dell’anno), i trasporti e la logistica (14%) e i servizi B2B (12%). I servizi B2B – Business to Business – sono scambi commerciali tra aziende associate alle transazioni commerciali elettroniche che avvengono tra queste ultime. Con esso di intende più genericamente parlare dei rapporti stabiliti tra aziende lungo la catena del valore.

Ma in crescita rispetto al 2020 sono soprattutto gli investimenti nel comparto agroalimentare e beni di consumo (+214% di numero di Ide), macchinari e attrezzature (+233%). Sono invece in calo proprio gli investimenti esteri nel settore elettronica (-25%) e telecomunicazioni (-57%). Insomma investimenti soprattutto nella distribuzione più che nelle tecnologie, ad esclusione di quelle legate alle transazioni tra le aziende.

Si conferma così uno status dell’Italia come area economica per i settori medio-bassi della catena del valore e nella divisione europea del lavoro, una visione ben leggibile anche tra le righe dell’impostazione del PNRR, come abbiamo avuto occasione di dimostrare nel convegno di Bologna del novembre 2021 e nell’ultimo numero di Contropiano rivista.

Sulla distribuzione territoriale degli investimenti esteri in Italia si conferma una sostanziale asimmetria. La quota prevalente va nel Nord-Ovest del Paese (54%) e nel Nord-Est (21%), che nel 2021 ha supera la quota il Centro Italia, che è diminuita dal 24% nel 2020 al 15% del 2021. Si registra un incremento di investimenti esteri nel Meridione (dal 4% al 10%), ma è evidente come rimanga ancora un consistente divario rispetto al resto del Paese, praticamente meno di un quinto degli investimenti esteri che vanno nel Nord/Ovest e la metà di quelli nel Nord/Est.

L’attrazione di investimenti esteri, insieme alla supremazia dell’export, sono due totem del modello liberista nell’indicare lo stato di saluto di una economia capitalista. In realtà possono indicare anche uno stato di subalternità che spesso coincide e convive con i bassi salari, la de-industralizzazione e la chiusura di attività industriali come abbiamo verificato nel nostro paese. Se i padroni esultano è bene non fare altrettanto, non siamo nella stessa barca.

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