A giudicare dai commenti di alcuni osservatori russi, la puntata di tre alligatori a Kiev non aveva obiettivi del tutto inutili, ancorché privi, per il momento, di solide basi. L’ambizione era quella di sottrarre un boccone saporito al pescecane che stava nuotando nella loro stessa direzione, ma con propositi alquanto diversi.
Si dice che i tre rettili europeisti abbiano cercato di allettare la iena ridens ucraina con la prospettiva di una concessione accelerata dello status di candidato membro della UE. Ma, osserva il polonista Stanislav Stremidlovskij, davvero Kiev è così interessata alla UE, oppure dispone di offerte più attraenti?
Appena poche settimane fa, Londra aveva ventilato l’idea di una alleanza politico-militare tra Gran Bretagna, Paesi baltici e Ucraina (e forse anche Turchia); idea avallata dalla rappresentante yankee nella NATO, Julianne Smith.
In questo senso, non è escluso che Bruxelles, offrendo l’adesione a Kiev (con tutto ciò che questo implica per la junta nazista, e soprattutto per le casse UE), tenti con ciò stesso di distoglierla dal disegno britannico, pericoloso sì per la Russia, ma anche per la UE, come ha osservato Sergej Lavrov, sorvolando diplomaticamente (è o no Ministro degli esteri?!) sulle ragioni tutte interne ai piani militari europeisti per temere tale pericolosa concorrenzialità britannica.
Non sono dunque del tutto campate in aria le ipotesi di future “alleanze tattiche” tra Mosca e Bruxelles, contro i disegni anglosassoni, per quanto maligna sia la comune fobia anti-russa dell’intero “Occidente collettivo”.
Per arrivare a questo, però, osserva ancora Stremidlovskij, appare decisivo un qualche blocco dell’Ucraina, che la “convinca” a venire a più miti consigli: quantomeno a un “Minsk 3”, che Kiev respinge oggi come satana (come se avesse mai rispettato i due precedenti “Minsk”).
Se a est, sudest e nordest – Russia e Bielorussia – la cosa non presenta problemi, non è così a ovest; mentre Romania e Ungheria possono esser persuase al blocco da Bruxelles, il settore nordoccidentale, vale a dire quello polacco, è a dir poco più ostico. Ecco che allora il primo passo da compiere è la soluzione della “questione polacca”.
Una questione che, a dire il vero, è già di per sé complicata dall’altra: quella dei futuri confini polacco-ucraini. Ora, nota Denis Baturin su Vita Internazionale, se l’Occidente, pur di evitare una propria “sconfitta collettiva”, è disposto a sacrificare l’Ucraina, o quantomeno parti del suo territorio, è ipotizzabile che si decida di assottigliare il Paese anche con una espansione della Polonia.
D’altronde, è di appena un mese fa l’annuncio di Vladimir Zelenskij di un progetto di legge sullo status speciale da concedere ai cittadini polacchi in Ucraina (accesso a cariche elettive, nomine in organi di governo statale e locale, incarichi in imprese strategiche statali, nomine a giudice ordinario e perfino di Corte costituzionale) e l’adozione, da parte della Rada ucraina, della legge su sedute comuni dei governi di Kiev e Varsavia; nonostante a fine aprile il Direttore dell’intelligence estera russa, Sergej Naryškin, avesse parlato di piani polacchi per il controllo politico-militare dei «propri territori storici» e l’introduzione di truppe polacche in Ucraina, col pretesto della «difesa dall’aggressione russa».
Naryškin ipotizzava che Varsavia possa schierare truppe in aree ucraine con minima o nulla probabilità di scontro con forze russe, con l’obiettivo reale di prendere il controllo di quei territori: i famigerati “Kresy Wschodnie” d’anteguerra.
In fin dei conti, al recente summit dei Ministri della difesa dei paesi NATO, il polacco Mariusz Blaszczak, discutendo delle «forme di sostegno all’Ucraina», ha detto apertamente che «il nostro obiettivo è di avere il confine sud-orientale con l’Ucraina, non con la Russia», perché «se la Russia prenderà il controllo dell’Ucraina, non si fermerà, andrà oltre, poiché l’obiettivo del Cremlino è ripristinare l’impero».
Arriva tardi, il Blaszczak: gli acuti apologeti italici di una «democrazia aggredita da una dittatura» lo vanno ripetendo da mesi; loro sì che la sanno lunga!
Dunque, ecco le profezie polacche di uno «Stato federativo polacco-ucraino»; e se a Varsavia c’è chi dubita della serietà di simili idee, altri notano come il Presidente Andrzej Duda abbia già concesso la cittadinanza polacca ad alcune migliaia di stranieri e nulla impedisce che possa fare lo stesso con masse intere di profughi ucraini, gettando con ciò le basi per una “unione polacco-ucraina”.
Ora, tornando al digrignare di denti dei tre alligatori nella palude ucraina, c’è da dire che a Ovest – come scriveva una settimana fa su IARex.ru l’osservatore Mikhail Ošerov – si possono rilevare tre diversi gruppi di posizioni politiche europee sulla questione ucraina: Polonia e Repubbliche baltiche sostengono incondizionatamente Kiev e sono decise a combattere, come si dice, “fino all’ultimo ucraino”; Germania e Francia dicono di tendere a una pace russo-ucraina, anche con alcune perdite territoriali per Kiev, mentre Budapest e Roma parlano (davvero?!?) di immediata conclusione della pace.
Queste posizioni sono legate in particolare alla questione su quale soluzione territoriale sia preferibile e vantaggiosa per le casse europee, in termini di parti del territorio ucraino in futuro controllate dalla Russia e, conseguentemente, se appaia prioritario infliggere il maggior danno economico a Mosca, o cercare di risolvere i propri «problemi economici e sociali legati alla crisi economica, energetica, alimentare e migratoria».
Perché è ovvio, scrive Ošerov, che una grossa fetta «dei futuri problemi finanziari dei paesi europei sarà data dalla necessità di alimentare e finanziare il territorio dell’ex Ucraina» che non ricadrà sotto il controllo russo.
E se per Varsavia, che già così è la maggiore destinataria di fondi dal bilancio UE, non rappresenta un problema aggiungervi la “sponsorizzazione” del pezzo di Ucraina risultante dal conflitto, ecco che per Berlino e Parigi, «che già pagano le spese polacche, l’emergere di un nuovo mendicante permanente comporterà un aumento significativo dei futuri esborsi finanziari».
Paradossalmente, la variante ottimale per Francia e Germania sarebbe il completo controllo russo di quella che diverrebbe la “ex Ucraina”, con il conseguente esborso tutto a carico delle casse del Cremlino.
Perché, che diamine, dare quante più armi possibile alla junta nazista è un affare, e anche grosso, per le “patrie” industrie; ma dopo, quando si tratterà non più di incassare, ma di aprire la borsa, sarà bene che lo facciano altri, mentre “noi”, in cambio, gli offriamo l’opportunità di farci sconti sul gas.
La guerra è un affare; ma anche la “pace” non scherza.
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