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30/06/2022

Draghi, il “commissario euro-atlantico” che si mangia i partiti

Occuparsi della politica italiana comporta diversi rischi. Il primo, e più comune, è quello di immergersi e restare nel gossip. Ossia in quella ridda di parole, dichiarazioni, ammiccamenti, smentite, che fanno diventare “la politica” un succedersi di faccende personali tra individui chissà perché piovuti in Parlamento o al governo.

Il secondo – certamente più grave – è quello di non vedere la realtà dei rapporti di potere che sovrintendono alle dinamiche politiche nazionali.

Bisogna perciò in qualche misura ringraziare il sociologo Domenico De Masi che, intervistato da Il Fatto, ha reso nota la pressione di Mario Draghi su Beppe Grillo affinché facesse in qualche modo fuori Giuseppe Conte da “capo politico” dei Cinque Stelle.

Per la cronaca, la smentita di Draghi è arrivata solo 12 ore dopo, quando lo “scandalo” era ormai esploso. Il che, per le abitudini di qualsiasi governo o partito, equivale ad un’ammissione, più che a una smentita. “Atto dovuto”, insomma, ma non convincente...

Come i nostri lettori sanno non siamo mai stati teneri né con i Cinque Stelle, né con Giuseppe Conte, né con Beppe Grillo. Ma certo quel movimento aveva raccolto – in modo deviato e banale, “populista” nel senso più deteriore – una domanda di rappresentanza politica di interessi sociali che gli altri partiti non potevano coprire.

E quel pochissimo che erano riusciti a fare nei due governi presieduti da Conte – un reddito di cittadinanza ampiamente al di sotto delle necessità, un “decreto dignità” che non ha neanche sfiorato lo strapotere delle imprese sui lavoratori, ecc. – è stato comunque vissuto con un fastidio immenso dal mondo delle imprese e dai poteri europei.

Nel nostro piccolo, avevamo visto subito che “l’ascesa di Draghi a Palazzo Chigi” era il suggello di un’operazione di restaurazione condotta dalla borghesia europea – che comprende anche la fascia più “elevata e internazionalizzata” di quella italiana – con l’obiettivo esplicito di “ridisegnare” il modello produttivo italiano in funzione delle filiere produttive continentali.

Nonché di revisionare pesantemente la struttura istituzionale dello Stato a suon “riforme” collegate agli obiettivi del PNRR.

Era stato quindi abbastanza facile vedere in Draghi un “commissario” che avrebbe cercato fra l’altro di selezionare una nuova classe politica, pescando tra i più “affidabili” e “disponibili” delle varie formazioni in sfacelo, cui affidare il compito di mantenere la nave sulla rotta fissata.

La stessa ricostruzione che fa oggi Marco Travaglio di quest’ultimo anno e mezzo parla giustamente di “operazione golpista”, elencando come e quando PD, Lega e Cinque Stelle sono stati smontati e rimontati nel modo più adatto allo scopo.

Per questi ultimi, in particolare, lo smontaggio deve arrivare fino all’eliminazione. Facile capire che Luigi Di Maio è stato “convinto” piuttosto rapidamente, e che anche Grillo – in crisi di idee – oscilla continuamente tra continuità e liquidazione di un’esperienza troppo “tenera” per reggere nel mare infestato di squali.

I punti che ci sembrano rilevanti, per un’opposizione popolare degna di questo nome, sono almeno due.

Il primo è come funziona il potere, in questo continente. Telefonare a Grillo perché si liberi di un suo “collaboratore” prestigioso (due volte presidente del consiglio, comunque lo si giudichi) rivela un metodo. Che consiste nel rovesciamento completo tra poteri esecutivi, decisionisti, e dialettica politica, quella che dovrebbe esistere tra popolazione e Parlamento, per il tramite di partiti, ecc.

La frase agghiacciante con cui Draghi si è rifiutato di subordinare le sue scelte sull’invio delle armi in Ucraina al voto dell’aula, né ora né in futuro («Impossibile: vorrebbe dire che il governo è commissariato dal Parlamento»), è l’esplicitazione di una cultura tecnicamente golpista. Che esclude categoricamente che possano esser fatti valere interessi diversi da quelli dominanti.

È la dichiarazione di morte per quella “democrazia parlamentare” di cui ci si riempie la bocca ogni volta che, non a caso, bisogna fare la guerra a un nemico.

Il secondo punto, fondamentale nei prossimi mesi, è che non ci può essere nessuna contaminazione possibile tra qualcuno dei “partiti” che si riconoscono nell’”euro-atlantismo” capitanato da Draghi (tutti quelli presenti in Parlamento, a parte alcune frange sparse dell’ex galassia grillina) e il movimento sociale-politico che va componendosi faticosamente per creare un’alternativa pacifista, ambientalista, di giustizia sociale.

E se, a sinistra, è per tutti scontato che non si possa né debba interloquire con il fascioleghismo, è meno chiaro – per alcuni – che questo non può avvenire neanche con il PD. Ossia con il comitato elettorale che più di tutti è profondamente sintonizzato sull’euro-atlantismo guerrafondaio.

Siamo in tempi di guerra, il potere che sorride lo fa per nascondere la dentatura da predatore.

È ora di liberarsi delle subculture dei decenni passati. Quelle fermentate sull’illusione che la Storia fosse finita e che restasse solo da “aggiustare” le storture più evidenti.

Chi si illude, non ha futuro.

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