Kabul come Saigon? L’Afghanistan come il Vietnam? Le comparazioni storiche – ma anche le immagini – dell’agosto 2021 hanno evocato in tutto il mondo quelle della precipitosa ritirata statunitense dal Vietnam nel 1975.
Paradossalmente solo i più tenaci antirussi hanno richiamato il ritiro – molto più ordinato – del contingente sovietico dall’Afghanistan sul ponte sul fiume Amur nel 1989. Per l’URSSS fu un episodio indicativo della disgregazione che già si annunciava in quell’anno nei paesi del Patto di Varsavia inclusi nello spazio di influenza sovietico alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Eppure tra l’intervento sovietico del 1979 e quello Usa/Nato del 2001, rimangono differenze sostanziali che adesso, finalmente e volendo, possono essere conosciute e analizzate in modo meno fazioso.
Ma per gli Usa e la Nato potrebbe significare altrettanto. E comunque così è stato percepito in gran parte del mondo. Una ritirata scomposta a simboleggiare una disfatta politica e militare dopo una guerra di invasione durata venti anni, dieci in più della presenza sovietica in Afghanistan.
Una crisi visibile di egemonia dell’unipolarismo Usa a trent'anni dalla fine della Guerra Fredda e dalla dissoluzione dell’URSS, ma anche la conferma dell’entrata del mondo in una nuova fase storica già palesata in quella estate del 2021 dalla pandemia di Covid che ha destabilizzato l’intero Occidente e fatto saltare le filiere internazionali della produzione.
Il costo della guerra in Afghanistan per gli Stati Uniti è stato enorme da ogni punto di vista: 992 miliardi di dollari in spese di combattimento; 83 miliardi di dollari spesi per costruire e addestrare le Forze Armate Afghane che si sono liquefatte in pochi giorni davanti all’avanzata dei Talebani; circa 2.500 militari Usa morti (ed un numero molto superiore di mutilati, circa 10 volte tanto); 443 miliardi di dollari spesi per assistenza ai reduci militari, oltre 240mila soldati statunitensi impegnati nel ventennio sul teatro di guerra, sono finiti nel cesso. Senza nemmeno parlare dei morti tra i civili afghani e dei crimini di guerra commessi e svelati nei War Logs di Wikileaks.
Gli “Afghan Papers” pubblicati dal Washington Post hanno messo in evidenza quello che era accaduto veramente e che sarebbe accaduto in Afghanistan ma che il governo Usa aveva secretato. In molti – anche qui in Europa e in Italia – non hanno mai trovato il coraggio di rimettere in discussione l’avventura militare afghana e si sono fatti andare bene la narrazione ufficiale statunitense. Un silenzio di tomba è sceso in Italia e in Europa sulla suicida complicità ventennale con l’avventura militare in Afghanistan.
Ma non esiste una sconfitta militare che non abbia ripercussioni all’interno come all’estero.
La riconquista talebana dell’Afghanistan pone infatti le basi per la vittoria del Grande Gioco del XXI Secolo in Asia centrale da parte di Cina, Russia e Iran, futuri possibili partner dell’Afghanistan, che ora è senza una forza che sia realisticamente in grado di minacciarne la sovranità nazionale, se a sua volta non viene minacciato. Forse per la prima volta nella storia contemporanea non sarà più solo uno “Stato cuscinetto” destinato ad essere attraversato o occupato da forze esterne che però si sono sempre dovute ritirare con le ossa rotta.
L’occupazione afghana era forse l’ultimo bastione di quella politica che prima voleva realizzare – fallendo – il “Grande Medio Oriente” sotto Bush jr., e poi – fallendo una seconda volta – il “Pivot to Asia” durante Obama.
Fallita la guerra afghana, anche la Nuova Guerra Fredda avviata dagli Usa contro la Cina e la Russia ha perso forza ma anche appeal tra alcuni potenziali alleati. Perché seguire ancora l’avventurismo e la supremazia degli interessi statunitensi? Su questo hanno cominciato a ragionare gli statisti più intelligenti ad ogni latitudine.
Nell’agosto del 2021 tutto il mondo occidentale è rimasto “stordito” dalla scoperta che la guerra e la narrazione Usa/Nato su essa era “un gigante dai piedi d’argilla“, che aveva messo in sollecitazione i legami di fiducia tra gli Usa con i propri alleati europei ma anche con quelli asiatici.
Ma la disfatta Usa/Nato in Afghanistan ha indubbiamente sollecitato su molti teatri la tentazione di approfittarne, inclusa la Russia, che in qualche modo vedeva “vendicata” dalla storia l’umiliazione del proprio ritiro del 1989 da quel paese.
Con gli Usa fuori dall’Asia Centrale dopo trenta anni di tentativi di installarvisi in modo permanente, lo scossone ai rapporti di forza mondiali e regionali è stato potente.
La “Nuova Via della Seta” progettata dalla Cina, viaggia e mette fine al progetto statunitense della “Silk Road Strategy” per l’Asia Centrale elaborata a metà degli anni Novanta da Washington, quando tutto il mondo sembrava a disposizione degli Usa e nessuno aveva la forza di opporvisi e la Casa Bianca puntava apertamente a tagliare fuori la Russia e l’Iran dai corridoi strategici ed energetici che dovevano collegare l’Asia Centrale con l’Europa e l’Occidente.
Con l’entrata dei Talebani a Kabul nell’agosto del 2021, e la precipitosa ritirata dei contingenti militari USA/NATO, una certa visione del mondo a egemonia statunitense ha perso la sua credibilità sotto gli occhi di tutti e da questo tonfo ha preso slancio la configurazione geopolitica verso un mondo effettivamente multipolare.
In Afghanistan tutti hanno visto palesarsi l’Occidentalis Karma. “O gli USA ridiventano una potenza economica, collegando la propria finanza ai settori core della sfida tecnologica, ancorandone la valuta, o perdono in partenza la sfida del futuro. Sono con le spalle al muro. Da qui ne deriva la difficile equazione politica su come ridefinire le proprie priorità in politica estera, senza che questo scateni un evidente effetto “rinculo” che ne mini eccessivamente il ruolo internazionale” scrivevamo su Contropiano il 18 agosto 2021.
Ma un impero che declina e che ha mostrato al mondo le “sue ferite” prima in Medio Oriente e poi in Afghanistan, non sarà mai disponibile a farlo se non ricorrendo a tutti i mezzi per impedirlo, inclusa la guerra. È accaduto per l’impero britannico e da tempo lo scenario è diventando il peggiore incubo per tutto l’establishment statunitense.
La guerra in Ucraina, per gli Usa, e per nemesi storica la Gran Bretagna, vorrebbe essere una chance per evitare tale scenario, con tutti i rischi che ne derivano se non si mette freno all’escalation.
Una guerra in incubazione da venti anni:
Vedi la prima puntata: La guerra contro la Jugoslavia nel 1999
Vedi la seconda puntata: Il conflitto in Georgia nel 2008
Vedi la terza puntata: La guerra in Donbass nel 2014
Vedi la quarta puntata: La guerra civile e gli interventi militari in Siria nel 2015
Vedi la quinta puntata: Gli Usa disdettano il Trattato INF sulle armi nucleari nel 2019
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