Il vertice del G7 in Germania, propedeutico a quello della Nato iniziato ieri, ha prodotto un altro sostanzioso passo avanti verso la creazione di un blocco economico-politico-militare e l’archiviazione definitiva della “globalizzazione”.
Lasciamo perdere la stucchevole querelle aperta da Mario Draghi sulla “certa” esclusione di Putin dal prossimo vertice del G20 – è qualche mese che il “caro premier” inanella strafalcioni istituzionali – e occupiamoci dei principali risultati dichiarati: nuove sanzioni contro la Russia (“perché non deve vincere la guerra in Ucraina”) e un piano straordinario di investimenti infrastrutturali nei paesi in via di sviluppo.
Il settimo round di sanzioni, che ancora una volta aggirano l’ostacolo insormontabile del gas e del petrolio russi, di cui l’Europa – al contrario degli Stati Uniti, “autonomi” nel settore – non può proprio fare a meno, scorre via come i precedenti e avrà probabilmente gli stessi effetti minimi sull’economia di Mosca e molto seri per quella europea.
Le nuove sanzioni evidenziano comunque l’intenzione di approfondire il fossato a ridosso delle frontiere dell’Est (compito riservato, sul piano militare, al vertice della Nato) e cercare un impossibile isolamento di Mosca sul piano mondiale. Il vertice dei Brics, pochi giorni fa, ha mostrato al mondo come questo obiettivo sia fattualmente irraggiungibile, ma produca stravolgimenti sui mercati internazionali, disegnando nuovi e diversi campi di interesse e relazione tra i principali paesi del mondo “non occidentale”.
I quali costituiscono anche la metà dell’umanità, una quota rilevante del Pil mondiale (in costante e rapida crescita), ma soprattutto hanno il loro punto di forza nell’economia reale (produzione manifatturiera e materia prime), non in quella “di carta”, finanziaria.
Il “Build Back Better World” – il piano infrastrutturale – segnala invece la preoccupazione occidentale di restare isolato nel rapporto con i paesi in via di sviluppo.
Promessi per decenni, questi investimenti non sono mai arrivati. Al loro posto, com’è noto, ci sono state invece guerre, invasioni, golpe militari e/o “rivoluzioni arancioni” per realizzare praticamente un neocolonialismo aggressivo e di rapina.
La proposta cinese di una “Nuova via della seta”, accompagnata appunto da investimenti infrastrutturali e una banca asiatica a questi dedicata, oltre che da un approccio “win win” – orientato dal vantaggio reciproco – e senza strumenti militari, ha raccolto nel mondo soltanto successi e adesioni. Persino l’Italietta del Conte I – quello del governo “giallo-verde” – aveva sottoscritto un memorandum di intesa preliminare, poi stracciato con il Conte II a trazione Pd (più “euro-atlantico”, insomma).
Il piano Usa approvato dal G7 prova insomma a fare concorrenza, in modo da sottrarre consensi e alleanze.
Non sarà facile. In parte per l’antica consuetudine imperialista ormai inseparabile dal mondo “euro-atlantico”, in parte anche maggiore, però, per la scarsità delle risorse promesse: appena 600 miliardi. Che rappresentano comunque un raddoppio rispetto alle risorse ipotizzate soltanto un anno fa...
Le cifre impegnate dalla Cina erano già due anni fa quasi il doppio (1.000 miliardi), e si sa che in economia la quantità è anche qualità... Soprattutto perché molti progetti sono già operativi e dunque non soggetti ad incertezze sui tempi o i modi di realizzazione.
Un editoriale del China Daily – testata, diciamo, molto vicina al governo di Pechino – sottolinea con raffinata ironia i problemi che questo G7 crea, invece di risolvere quelli esistenti. Intanto alla stessa “globalizzazione”, che viene di fatto sostituita dal tentativo di creare “aree in competizione con altre”, e i cui confini sono ora disegnati dal sistema di pagamenti Swift (quello che rende possibili le sanzioni finanziarie, ma soltanto tra i paesi che lo utilizzano), oltre che da accordi e alleanze sempre reversibili. Persino gli insospettabili euro-atlantici dell’Istituto Affari Iternazionali sono insomma costretti a registrare l'“isolamento del G7”, e dunque dell’imperialismo occidentale:
E dire che proprio crisi ambientale e pandemia avrebbero dovuto “convincere” chiunque che il mondo può sopravvivere solo se si ci si avvia sulla strada della cooperazione, abbandonando quella della competizione...
Buona lettura.
Lasciamo perdere la stucchevole querelle aperta da Mario Draghi sulla “certa” esclusione di Putin dal prossimo vertice del G20 – è qualche mese che il “caro premier” inanella strafalcioni istituzionali – e occupiamoci dei principali risultati dichiarati: nuove sanzioni contro la Russia (“perché non deve vincere la guerra in Ucraina”) e un piano straordinario di investimenti infrastrutturali nei paesi in via di sviluppo.
Il settimo round di sanzioni, che ancora una volta aggirano l’ostacolo insormontabile del gas e del petrolio russi, di cui l’Europa – al contrario degli Stati Uniti, “autonomi” nel settore – non può proprio fare a meno, scorre via come i precedenti e avrà probabilmente gli stessi effetti minimi sull’economia di Mosca e molto seri per quella europea.
Le nuove sanzioni evidenziano comunque l’intenzione di approfondire il fossato a ridosso delle frontiere dell’Est (compito riservato, sul piano militare, al vertice della Nato) e cercare un impossibile isolamento di Mosca sul piano mondiale. Il vertice dei Brics, pochi giorni fa, ha mostrato al mondo come questo obiettivo sia fattualmente irraggiungibile, ma produca stravolgimenti sui mercati internazionali, disegnando nuovi e diversi campi di interesse e relazione tra i principali paesi del mondo “non occidentale”.
I quali costituiscono anche la metà dell’umanità, una quota rilevante del Pil mondiale (in costante e rapida crescita), ma soprattutto hanno il loro punto di forza nell’economia reale (produzione manifatturiera e materia prime), non in quella “di carta”, finanziaria.
Il “Build Back Better World” – il piano infrastrutturale – segnala invece la preoccupazione occidentale di restare isolato nel rapporto con i paesi in via di sviluppo.
Promessi per decenni, questi investimenti non sono mai arrivati. Al loro posto, com’è noto, ci sono state invece guerre, invasioni, golpe militari e/o “rivoluzioni arancioni” per realizzare praticamente un neocolonialismo aggressivo e di rapina.
La proposta cinese di una “Nuova via della seta”, accompagnata appunto da investimenti infrastrutturali e una banca asiatica a questi dedicata, oltre che da un approccio “win win” – orientato dal vantaggio reciproco – e senza strumenti militari, ha raccolto nel mondo soltanto successi e adesioni. Persino l’Italietta del Conte I – quello del governo “giallo-verde” – aveva sottoscritto un memorandum di intesa preliminare, poi stracciato con il Conte II a trazione Pd (più “euro-atlantico”, insomma).
Il piano Usa approvato dal G7 prova insomma a fare concorrenza, in modo da sottrarre consensi e alleanze.
Non sarà facile. In parte per l’antica consuetudine imperialista ormai inseparabile dal mondo “euro-atlantico”, in parte anche maggiore, però, per la scarsità delle risorse promesse: appena 600 miliardi. Che rappresentano comunque un raddoppio rispetto alle risorse ipotizzate soltanto un anno fa...
Le cifre impegnate dalla Cina erano già due anni fa quasi il doppio (1.000 miliardi), e si sa che in economia la quantità è anche qualità... Soprattutto perché molti progetti sono già operativi e dunque non soggetti ad incertezze sui tempi o i modi di realizzazione.
Un editoriale del China Daily – testata, diciamo, molto vicina al governo di Pechino – sottolinea con raffinata ironia i problemi che questo G7 crea, invece di risolvere quelli esistenti. Intanto alla stessa “globalizzazione”, che viene di fatto sostituita dal tentativo di creare “aree in competizione con altre”, e i cui confini sono ora disegnati dal sistema di pagamenti Swift (quello che rende possibili le sanzioni finanziarie, ma soltanto tra i paesi che lo utilizzano), oltre che da accordi e alleanze sempre reversibili. Persino gli insospettabili euro-atlantici dell’Istituto Affari Iternazionali sono insomma costretti a registrare l'“isolamento del G7”, e dunque dell’imperialismo occidentale:
“a Elmau è poi soprattutto emersa in tutta la sua evidenza la solitudine del G7 e dell’Occidente. Sicuramente compatto al suo interno e solidale con l’Ucraina aggredita. Ma di fatto sostanzialmente isolato dal resto del mondo. E non è stata sufficiente la presenza al Vertice dei leader di Argentina, India, Indonesia, Sud Africa e Senegal a contrastare la sensazione che il G7 sia ormai diventato un club troppo esclusivo per potere ambire a svolgere un ruolo determinante nel rilancio di una governance globale.Chi isola chi? L’antica arroganza colonialista, rafforzata in 30 anni senza un “competitore simmetrico” sul piano mondiale, è emersa fin troppo nuda davanti al resto del mondo. E non si è resa neanche conto della crescita di interessi e forze tali da poter fare a meno della “protezione” occidentale. La “competitività”, insomma, ha prodotto condizioni che possono rovesciare gli antichi rapporti di forza.
A Elmau quindi è apparso ulteriormente evidente che l’Occidente (plasticamente rappresentato dal G7) è riuscito a reagire in maniera compatta e unitaria alla guerra in Ucraina. Ma anche che questo stesso Occidente ha invece fallito clamorosamente nel tentativo di coinvolgere sulla sua linea (di condanna della Russia, di assistenza all’Ucraina e delle sanzioni) una platea più ampia di protagonisti sulla scena internazionale.”
E dire che proprio crisi ambientale e pandemia avrebbero dovuto “convincere” chiunque che il mondo può sopravvivere solo se si ci si avvia sulla strada della cooperazione, abbandonando quella della competizione...
Buona lettura.
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L’iniziativa del G7 per l’assistenza allo sviluppo vuole essere uno strumento di separazione
L’iniziativa del G7 per l’assistenza allo sviluppo vuole essere uno strumento di separazione
Decenni di globalizzazione economica hanno intrecciato i Paesi in modo così stretto che molte questioni che prima potevano essere affrontate dai singoli Paesi o da piccoli gruppi ora richiedono un impegno maggiore e più ampio da parte di molti più Paesi.
Nel panorama internazionale altamente globalizzato, profondamente trasformato dall’industria transnazionale, dalle catene di approvvigionamento e del valore, qualsiasi tentativo di invertire la tendenza si rivelerebbe costoso e poco realistico.
Molte sfide comuni e globali, come la ripresa economica, il cambiamento climatico e i rischi di sicurezza tradizionali e non tradizionali, aumentano l’urgenza di una maggiore sinergia internazionale in un mondo post COVID-19.
Il mondo, tuttavia, sembra essere sull’orlo di un’altra fase di divisione geopolitica.
Come hanno dimostrato il vertice dei BRICS appena concluso e il vertice del G7 in corso, i Paesi stanno pensando in modo molto diverso a come interagire in un mondo post-pandemia.
Come al 25° Forum economico internazionale di San Pietroburgo, dove il Presidente Xi Jinping e il Presidente russo Vladimir Putin hanno ribadito l’importanza di costruire un mondo democratico e multipolare, dove non ci siano egemonie e prepotenze. Nella loro dichiarazione congiunta, i leader dei BRICS si sono impegnati a lavorare per sviluppare partnership inclusive per una prosperità comune e globale.
Il modo corretto di procedere, hanno detto i leader dei BRICS, è che i Paesi lavorino insieme, piuttosto che l’uno contro l’altro.
È questa visione globale inclusiva che ha spinto la Cina a proporre di recente un’Iniziativa per lo sviluppo globale e un’Iniziativa per la sicurezza globale.
Purtroppo, i Paesi sviluppati la pensano diversamente. Al vertice in corso nel sud della Germania, i leader del G7 hanno presentato un’iniziativa di assistenza allo sviluppo, che avrebbe dovuto essere una buona notizia per i Paesi in via di sviluppo.
Nell’ambito del “Partenariato per le infrastrutture e gli investimenti globali”, e con un nuovo pacchetto di proposte – “Build Back Better World” – avanzate per la campagna elettorale del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, domenica i sette Paesi si sono impegnati a raccogliere 600 miliardi di dollari di fondi privati e pubblici in cinque anni per finanziare le infrastrutture necessarie nei Paesi in via di sviluppo.
Il fatto che ora stiano facendo sul serio, dopo che per tanto tempo non hanno mantenuto le loro promesse di finanziamento delle infrastrutture, dovrebbe essere una mossa gradita. Se non fosse che gli aiuti internazionali allo sviluppo vengono utilizzati per scopi geopolitici, per rivaleggiare con la Belt and Road Initiative proposta dalla Cina e compensare la presunta influenza cinese nel mondo in via di sviluppo.
Il leader cinese ha più volte invitato i Paesi occidentali ad aderire alla Belt and Road Initiative per migliorare il progresso umano nel mondo.
L’iniziativa del G7, tuttavia, andrà inevitabilmente contro l’ideale di sinergia globale e peggiorerà le divisioni geopolitiche, oltre ad ampliare i divari di sviluppo.
A lungo termine, quindi, renderà un cattivo servizio alla pace e alla prosperità mondiale.
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