Una guerra vera ha molte facce, oltre a quella brutale dei bombardamenti e delle trincee. E ci siamo completamente dentro.
Prendiamo una notizia che gira sui media italici con lo stesso rilievo delle confessioni di Fedez o di qualche altro personaggio dello spettacolo: “Ieri la Russia ha tagliato per la seconda volta le forniture di gas all’Italia dopo averle ridotte del 15% il 15 giugno scorso”.
Lo stesso accade in tutta Europa. Gazprom ha ridotto del 35% la fornitura all’Italia, ma anche l’Austria ha segnalato un calo. E oltre ai tagli alla Germania (-40%), ieri si è aggiunta anche la Francia.
Un’accelerazione che anticipa il tentativo dei paesi UE di emanciparsi rapidamente dalle forniture di Mosca, cercando alternative in qualsiasi aree del mondo purché facilmente raggiungibile. Ultimi in ordine di tempo Egitto e Israele.
Il presidente del Consiglio Mario Draghi, parlando ieri con la stampa italiana a Kiev, ha dichiarato: “I motivi per i tagli di forniture di gas che colpiscono quasi tutta l’Europa ci viene detto che sono tecnici. Una delle motivazioni è che la manutenzione richiede pezzi di ricambio che per le sanzioni non arrivano. La Germania, noi e altri ritengono siano bugie, che ci sia un uso politico del gas come del grano”.
Una banalità che ci si potrebbe attendere da un editorialista di Repubblica, non certo da un (sopravvalutato) genio della finanza globale.
Ma proprio queste banalità, pronunciate evidentemente per ragioni di propaganda, e per “tranquillizzare la popolazione”, rivelano molto sul come l’imperialismo euro-atlantico ha preparato e poi affrontato il confronto con il capitalismo oligarchico russo.
La necessità di “tranquillizzare” è scontata. I consumi italiani di gas nell’ultimo anno sono aumentati del 23%, mentre le importazioni dalla Russia sono scese del 41%; ma parallelamente sono aumentate le importazioni da altri fornitori (+7%). Le cifre indicano uno scarto ampio tra riduzioni e nuove entrate, che si traduce in una diminuzione delle scorte immagazzinate.
Al momento, la dipendenza dal gas russo si è ridotta da 40 al 24%. Il problema è che sostituire rapidamente anche la quota restante non è possibile (il mercato delle navi gasiere è “rigido”, e scarseggiano comunque i rigassificatori già installati), anche perché le scorte – come detto – sono insufficienti.
Se, com’è probabile, Mosca decidesse di tagliare completamente e a breve termine le forniture verrebbero a mancare fino a 28-30 miliardi di metri cubi di gas l’anno.
Uno dei massimi esperti del settore, Davide Tabarelli, di Nomisma, giudica che in autunno “Se mancherà il gas russo, un po’ di razionamento occorrerà farlo.”
Razionamento significa erogazione limitata, con priorità ai consumi delle imprese e dei grandi servizi infrastrutturali nazionali (ferrovie, telecomunicazioni, difesa, ecc.) e forte riduzione dei consumi a disposizione della popolazione “normale”. Col gas si fa l’elettricità, il riscaldamento, parte del combustibile per autotrazione, ecc. Uno scenario semi-bellico, insomma.
Comprensibile dunque che una classe dirigente irresponsabile provi a mettere il problema sotto il tappeto, incolpare “il nemico” per quanto dovesse avvenire e cercare di metter su un “piano alternativo” fatto di razionamenti e toppe.
Siamo in guerra, ripetiamo. E dovrebbero saperlo anche i Draghi di turno. In guerra “si mena” con le armi che si hanno.
E qui emerge netta la differenza tra questa guerra e quelle che l’Occidente neoliberista ha mosso al resto del mondo nel corso degli ultimi 30 anni (dalla caduta dell’URSS, insomma).
Si è detto spesso – c’è ormai una letteratura sterminata sull’argomento – che quelle erano guerre asimmetriche, tra un attaccante ultra-potente che possiede il controllo dei cieli e dei mari e paesi debolissimi (ma sempre descritti come “nuovi Hitler”) che non potevano opporre una resistenza alla stessa altezza.
Ma si teneva conto solo dell’aspetto puramente militare. In realtà quei paesi non potevano neanche rifarsi con altre armi – come il petrolio o il gas, o altre materie prime – restando nudi e quasi indifesi sotto le bombe e i droni, isolati dal resto del mondo.
Quella in Ucraina è invece un guerra simmetrica, se la inquadriamo per quel che è: una guerra tra Russia e Nato. Ovvero un conflitto tra schieramenti che hanno armamenti dello stesso livello (con differenze anche notevoli in quantità e tecnologie). Ma al tempo stesso tra schieramenti che possono mobilitare altre risorse come “armi”, e che nessuno può illudersi di “confinare” nella solitudine.
Basta guardare... Nei primi giorni dell’invasione russa in Ucraina i paesi della Nato hanno messo in moto una serie di sanzioni economiche e finanziarie contro la Russia. Tecnicamente, il controllo del circuito dei pagamenti internazionali Swift (controllato dagli Usa) è usato come un’arma contro Mosca.
Un’arma che si è rivelata fin qui assai meno determinante del previsto, dato che il rublo è al momento la moneta che più si è apprezzata a livello mondiale.
L’area Nato ha insomma usato l’arma della finanza, che controlla abbastanza monopolisticamente, convinta che questa avrebbe fermato l’economia e ridotto le entrate russe, con le conseguenze immaginabili per la prosecuzione di un conflitto militare indubbiamente costoso in termini finanziari, oltre che di uomini e mezzi.
La risposta russa è arrivata ovviamente sui terreni che costituiscono i propri punti di forza: materie prime (gas in testa), fertilizzanti, ecc. Ossia merci fisiche, senza le quali l’economia globale – e in primo luogo quella europea – si ferma. Peggio ancora: sono immediatamente aumentate le richieste di forniture da parte di giganti asiatici come Cina e India, Pakistan ed altri paesi ancora.
Una risposta simmetrica sul piano della potenza, ma asimmetrica nel contenuto.
I prossimi mesi ci diranno quale delle due sia più efficace per fiaccare l’avversario, ma di certo i contraccolpi di un probabile razionamento energetico sono cosa che ci riguarda da vicino. Politicamente, socialmente, sindacalmente.
Sul piano – diciamo così – della propaganda spicciola, appare invece sorprendente la “sorpresa” con cui i Draghi e le varie Repubblica-Corsera hanno accolto queste “ritorsioni” russe.
Pensavano davvero che avrebbero potuto continuare ad libitum a inviare armi all’Ucraina, a disegnare sanzioni, e contemporaneamente ricevere gas (e altro) dalla Russia nel mentre si dichiarava al mondo di volerne fare a meno il prima possibile?
In un film di Sergio Leone (o Tarantino) il “cattivo” simil-Putin si sarebbe certamente lasciato scappare la battuta “e allora comincia a farne a meno adesso, coglione”.
Per riassumere: trenta anni di guerre asimmetriche, dove la Nato e alleati potevano fare quel che volevano senza registrare significative resistenze (qualche bomba nelle metropoli occidentali, al massimo, ma niente di rilevante, sistemicamente) hanno selezionato una classe dirigente incapace di “misurare” i rapporti di forza in termini realistici.
Come un bullo di 100 chili abituato a rubare le merendine ai bambini dell’asilo, che improvvisamente incrocia un altro bullo – solo un po’ meno forte – capace di fargli altrettanto male.
Prima riusciamo a liberarci di questi imbecilli violenti, meglio sarà per l'umanità intera. Ma soprattutto meglio per noi, lavoratori e poveri dell’Occidente neoliberista, ormai riguardati come bruti odiosi in qualsiasi parte del mondo, al pari dei “nostri dirigenti”...
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