Sullo sfondo di guerre sotto i riflettori e guerre dimenticate, dello stravolgimento degli ecosistemi, assordante è il silenzio, escluse parole retoriche oramai prive di significato, rispetto a quanto si sta consumando quotidianamente nella grande catena di montaggio del mondo del lavoro.
Continua la conta dei morti, dei feriti, dei casi di irregolarità, si racconta lo sfruttamento con reportage e articoli, ma in pochi casi si prova a dare una visione organica del modello e dei suoi dispositivi.
Drammatizzare e raccontare sono strumenti utili soltanto se ciò genera una riflessione e una volontà collettiva di mettere a disposizione i saperi per smontare quanto sta avvenendo in termini di impedimento dell’agibilità del diritto e del superamento del vissuto, dentro e fuori i luoghi di produzione di merci e servizi.
“Alcuni giorni fa Alessandro Alberani, il Direttore Logistica Etica Interporto Bologna, ha finalmente chiarito qual è il significato politico della sua nomina. In occasione di un incontro in Prefettura, in linea con il suo passato alla CISL, Alberani ha fatto sapere che stanno lavorando per far rientrare il settore della logistica nella legge 146 che prevedere tempi più lunghi e procedure più complesse per proclamare gli scioperi.
L’obiettivo, ha detto senza pudore, è impedire scioperi e blocchi dei lavoratori e delle lavoratrici dei magazzini, in maggioranza migranti e richiedenti asilo”[1].
Queste dichiarazioni ci dicono apertamente che parlare di “filiere etiche” è accettare che esiste una quota fisiologica di lavoratori e lavoratrici che deve vivere in condizioni di sfruttamento, di ricattabilità, di nocività e insicurezza.
Un qualcosa di necessario per mantenere in piedi i settori dell’economia, un velo strappato dal fenomeno della mancanza di personale nel settore del turismo, un segreto di Pulcinella esploso grazie alla misura, a seconda dei punti di vista, controversa e critica del “reddito di cittadinanza”, ossigenante in un Paese dove non esiste un salario minimo legale.
Le dichiarazioni si scontrano contro il muro dell’oggettività. Dal rapporto annuale 2021 dell’Ispettorato nazionale del lavoro emerge come l’Emilia Romagna sia al primo posto per “Illecite esternalizzazioni di mano d’opera” in materia di appalti (1696 lavoratori coinvolti e 75% di coop irregolari).
I dati generali sugli indici di irregolarità dello stesso rapporto ci dicono: 62,3% di irregolarità, 82,3% di irregolarità previdenziali, di 92,5% irregolarità assicurativa. Oltre 480.000 lavoratori e lavoratrici irregolari (di cui 20.000 circa in nero).
A fianco a questa realtà indagata, a cui si aggiungerebbero gli indicatori sulla sicurezza e salute (1.221 morti, 555.236 infortuni complessivi e 55.288 denunce di malattie professionali +22.8% – fonte INAIL), nella sola provincia di Modena tra il 2018 e il 2020 si sono contati 481 processi penali per fatti connessi all’attività sindacale.
Questo probabile astruso discorso vuol evidenziare come senza una critica organica a questo modello normativo-sociale, i temi del lavoro diventano frammentari, speculari a quelle che sono state fino ad oggi le politiche del lavoro, con le ripercussione inconfutabili di indebolimento dei diritti e dell’agibilità sindacale.
Storicamente la salute nei luoghi di lavoro è stata percepita come bisogno reale soltanto dopo decenni di lotte in cui si è consolidato un insieme di strutture e norme in difesa dell’occupazione, di un giusto e degno salario, fino alla messa in discussione totale del sistema fabbrica, dei processi e dell’organizzazione del lavoro (esperienze: Comitato Politico degli operai di Porto Marghera; Convegno sindacale Torino 1970; nascita dei gruppi omogenei) [2].
Trattare le tematiche del lavoro con saperi iperspecialistici e frammentati, rinunciando alla loro socializzazione e ignorando le esperienze di chi sul proprio vissuto subisce questa condizione non fa altro che spianare la strada al modello che sta nelle dichiarazione del Direttore Logistica Etica Interporto Bologna.
Attualmente è assente un legame tra la direzione politica degli enti deputati al controllo e alla tutela delle condizioni di lavoro e il mondo del lavoro sindacalizzato o meno. Esiste un bisogno di creare collegamenti, ma questo bisogno vede un indebolimento in termini sia di risorse sia di approcci culturali e metodologici che molto spesso nascono distorti e orientati verso il filo-aziendalismo già a partire dalla scuola e passando poi, per le università dove si formano scienziati e tecnici.
Il conflitto nei rapporti di classe nasce a prescindere da questo legame, ma alimentarlo con saperi e strumenti da mettere a disposizione storicamente lo sposta a favore di una o dell’altra parte.
L’ergothanatos è la politica che si sta adottando nei luoghi di lavoro, continuando a spremere e fidelizzare i tutelati e frammentare e isolare quelle componenti prive di tutela o cariche di esplosività conflittuale. Morire o lasciar morire è il paradigma che va rifiutato e rovesciato. Per fare ciò occorre azionare quel residuo della “capacità umana vivente”, unica scheggia fuori dalla messa al valore totale.
Chiedere giustizia a cose accadute è accettare di non avere un freno su una strada in discesa che termina su un precipizio. Questo vuole essere un appello che vede la necessità di unire saperi ed esperienze dirette per portare a trovare gli strumenti molteplici per dare un’inversione di tendenza a questa storia narrata a senso unico, fatta di norme legate a processi e scelte politico-economiche a cui si dovrà per forza dare un volto e un nome.
In questo si inseriscono i temi della salute e sicurezza sul lavoro che devono compiere necessariamente questo passo di interconnessione con altri saperi se non vogliono essere feticcio retorico o strumento che nasce dal movimento operaio e si ritorcerà contro agli stessi protagonisti e protagoniste.
Note
1 https://www.coordinamentomigranti.org/2022/06/19/il-silenzio-etico-migranti-logistica-e-amministrazione-comunale/
2 http://effimera.org/contro-la-nocivita-operaismo-ed-ecologia-nel-lungo-68/
Fonte
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