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27/06/2022

Perché il Sud del mondo non è allineato all’Occidente

di Alberto Negri

Il vertice dei Brics, tenuto virtualmente in Cina, sancisce una nuova forma di non allineamento del sud del mondo da cui emerge con chiarezza che l’isolamento della Russia è solo occidentale. Basta guardare i numeri.

La Cina e l’India hanno aumentato copiosamente le importazioni di petrolio dalla Russia. A maggio Pechino ha importato ogni giorno 800mila barili di greggio russo via mare, il 40% in più rispetto a gennaio, cui va aggiunto quello che arriva attraverso l’oleodotto. Il petrolio degli Urali, finora venduto soprattutto in Europa, costa 30 dollari in meno rispetto al Brent.

Da gennaio a maggio il petrolio russo importato dall’India è passato da zero a 700mila barili al giorno. Gli Usa hanno chiesto a New Delhi, terzo consumatore al mondo di oro nero, di «non esagerare» con le importazioni dalla Russia ma il ministro dell’energia indiano ha replicato seccamente che l’India non può rinunciarvi. Il resto, come vedete, sono le chiacchiere europee e americane (soprattutto europee) sul price cap, il tetto sul prezzo del gas, che è la nuova araba fenice dei paesi importatori come Germania e Italia, attanagliati dalla crisi energetica generata dalle sanzioni a Mosca.

Nessuno dei leader di Brasile, Cina, India o Sudafrica – che con la Russia costituiscono i Brics, associazione con una geografia e una demografia assai alternative al G-7 – finora ha condannato Putin o imposto sanzioni a Mosca. Per trovare un riferimento all’Ucraina nel comunicato finale in 75 punti bisogna arrivare al ventiduesimo dove si afferma di sostenere «i colloqui tra Russia e Ucraina», un dichiarazione, ovviamente neutra e in linea con le precedenti.

Un non allineamento con l’Occidente che sembra quasi un «allineamento» con Mosca. Non è sorprendente: oltre all’astensione di molti Stati, soprattutto africani, sulle risoluzioni Onu relative all’Ucraina, nessun Paese non occidentale ha imposto sanzioni alla Russia. E tra questi aggiungiamo la Turchia, membro Nato, e Israele, contrafforte americano in Medio Oriente. Come fa notare il politologo di origini iraniane Trita Parsi, «i Paesi del sud del mondo considerano la Russia come aggressore, ma quando l’Occidente ha chiesto – in nome di un diritto internazionale che gli Usa hanno sistematicamente violato – di spezzare i legami economici con la Russia, si è scatenata una reazione allergica a catena».

Significativa la posizione del regime saudita che non solo non ha condannato Mosca ma punta sull’Opec+, il coordinamento con la Russia sul petrolio, e mantiene l’accordo militare con Mosca firmato nell’agosto 2021, definito «strategico» dal vice ministro della difesa saudita, il principe Khalid bin Salman.

Ed è proprio in Arabia Saudita (e in Israele) che si prepara ad andare in luglio Biden per incontrare anche il principe Mohammed bin Salman, da lui definito un “pariah” per essere stato il mandante dell’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nel 2018 dentro al consolato saudita a Istanbul. Una visita preceduta dall’abbraccio – ben descritto ieri sul manifesto da Michele Giorgio – tra Erdogan e il principe bin Salman: i due si odiavano per l’appoggio dei turchi ai Fratelli Musulmani ma oggi si rilasciano certificati di buona condotta pure agli assassini quando serve alla realpolitik e a incassare denaro.

In fondo Erdogan ha sostenuto l’Isis contro Assad, storico alleato dell’Iran sciita a sua volta nemico di Riad, si è dimostrato leale verso il Qatar nella lite con i sauditi, ha massacrato metodicamente i curdi e ha sostenuto Sarraj nel 2019 quando era assediato a Tripoli dal generale Haftar. Tutte «doti» spiccate di Erdogan con cui deve fare i conti Draghi nel suo prossimo viaggio in Turchia, un Paese che detta l’agenda in Libia e nel Mediterraneo orientale, posti da dove vorremmo portare a casa il gas perduto in Russia ma dove contiamo sempre di meno. Questa è la Turchia che si offre mediatrice tra Mosca e Kiev e continua a fare affari con Putin.

In realtà l’isolamento della Russia è relativo, non solo se si guarda al sud del mondo e ai Brics ma anche al Medio Oriente dove Putin è un interlocutore imprescindibile in tutte le crisi regionali essendo l’unica potenza a intrattenere rapporti regolari con l’insieme degli attori regionali, anche quando sono ai ferri corti o in guerra fra loro, basti pensare a Israele e Iran, agli Houthi e agli Emirati arabi uniti, alla Turchia e ai gruppi curdi.

Ma soprattutto in Medio Oriente e nel sud del mondo non sopportano il doppio linguaggio e la retorica dell’Occidente. Gli Stati Uniti, che con la Nato hanno bombardato la Serbia nel ’99, la Libia nel 2011, invaso prima l’Afghanistan (per abbandonarlo ai talebani nel 2021) e poi nel 2003 anche l’Iraq, sono davvero i più qualificati a invocare il rispetto del diritto internazionale? Anche gli Usa hanno usato bombe a grappolo, al fosforo e munizioni all’uranio impoverito.

Mentre i crimini dell’esercito americano in Afghanistan (70mila i morti civili) e in Iraq sono stati ampiamente documentati senza mai arrivare a nessuna condanna o sanzione. Per non parlare della Palestina occupata da decenni con il sostegno americano ma che, al contrario dell’Ucraina, non solleva nessuna solidarietà internazionale mentre i governi occidentali continuano a dare carta bianca a Israele.

Dobbiamo e possiamo continuare a isolare Putin l’aggressore e il massacratore dei civili ucraini ma, ogni tanto, isoliamo anche la nostra cieca e accanita ipocrisia, incomprensibile al resto del mondo.

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