La notizia è che la Francia si polarizza. Alle elezioni legislative crescono la sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon e la destra post-fascista di Marine Le Pen. Il partito centrista di Macron non raggiunge la maggioranza dei seggi e il presidente dovrà quindi avviare una difficile trattativa con gli altri partiti di centro, e forse con la destra, per tenere in piedi il suo governo. Quello francese è un caso circoscritto o un segnale di svolta internazionale? Ne parliamo con l’economista Emiliano Brancaccio, uno dei più originali studiosi del capitalismo contemporaneo e delle sue dinamiche politiche, che con Mélenchon aveva avuto un interessante scambio qualche anno fa.
Professor Brancaccio, in Francia crescono la sinistra e la destra mentre il centro macroniano va in grande affanno. Come farà il presidente Macron a trovare una maggioranza che sostenga il suo governo?
Non so dire se riuscirà. Di sicuro proverà a fare quel che i cosiddetti liberali hanno sempre fatto per portare avanti le politiche del capitale nei momenti di crisi: chiederà sostegno alle forze conservatrici, in primo luogo ai gollisti. E se non basterà, non si farà scrupoli per raccattare qualche voto anche tra i parlamentari reazionari e post-fascisti.
Dovremo quindi dimenticare il Macron riformatore progressista e difensore dei movimenti di emancipazione civile?
Quel Macron non è mai davvero esistito, in gran parte è solo un’invenzione della propaganda mainstream. Del resto, i cosiddetti liberali progressisti tendono sempre a rimuovere un fatto documentato: chi punta come Macron a distruggere i diritti del lavoro non può mai risultare un vero difensore dei diritti di libertà, perché gli uni e gli altri vanno necessariamente di pari passo, o avanzano insieme oppure precipitano insieme. Ce ne accorgeremo anche stavolta.
Intanto, la sinistra guidata da Mélenchon cresce oltre le attese, con un quarto dei parlamentari eletti in assemblea nazionale. Qualche anno fa lei fu invitato proprio da Mélenchon a Parigi, a un dibattito sul cosiddetto “Plan B”, quando l’eurozona era in fibrillazione e si discuteva di come gestire un suo possibile tracollo. Il suo intervento all’epoca fece discutere. Perché?
Ero in disaccordo con la posizione dell’allora leader della sinistra tedesca Oskar Lafontaine, in quella sede rappresentata da Martin Höpner del Max Planck Institute. Loro sostenevano che in caso di precipitazione dell’eurozona basterebbe tornare al vecchio sistema delle monete nazionali e dei cambi fissi. Mi sembrò una posizione ingenua. Ricordai un insegnamento della storia: in condizioni di libera circolazione dei capitali, anche i sistemi a cambi fissi alla fine implodono. Per questo sostenni che il problema andrebbe posto in un altro modo. Bisognerebbe fare ciò che in Europa è considerato ancora indicibile: arrestare le indiscriminate scorribande di capitali da un paese all’altro, alla continua caccia di guadagni speculativi e alti profitti.
Come la prese Mélenchon?
Disse che avevo ragione io.
E adesso cosa dovrebbe fare Mélenchon, con una presenza in parlamento così ampia e la possibilità, forse non troppo remota, di puntare al futuro governo del paese?
Mélenchon e i suoi alleati hanno fatto un lavoro straordinario, ma mi sembra prematuro puntare al governo. Piuttosto, farebbero bene a sfruttare la forte presenza nelle aule parlamentari per avviare un lungo lavoro collettivo, di radicamento nella società e di chiarimento teorico. Hanno alcuni nodi da sciogliere.
Si riferisce al programma di politica economica della coalizione di sinistra? C’è chi lo reputa impraticabile.
In realtà quello di Mélenchon è un programma più moderato di quello che caratterizzò l’ascesa di Mitterand all’Eliseo nel 1981. Ma forse per questo presenta qualche incongruenza. Per esempio, fanno bene a puntare a un significativo spostamento dei carichi fiscali sui profitti e sulle rendite, ma per renderlo praticabile non devono esitare quando si tratta di impedire ai capitalisti di spostare liberamente le loro ricchezze all’estero, nei paesi in cui vengono tassati di meno. E ancora, fanno benissimo a lanciare un grande progetto di pianificazione ecologica, ma per renderlo fattibile debbono affrontare un problema non da poco, quello della proprietà pubblica dei mezzi di produzione principali, che hanno gli effetti più pesanti sull’ambiente.
Un altro nodo irrisolto è quello della posizione da assumere sulla guerra e rispetto alla Nato.
I parlamentari socialisti della coalizione potrebbero manifestare una certa sudditanza verso la linea oltranzista della Nato. Sarebbe un problema, bisognerebbe emarginare ogni forma di “codismo”. È necessario che la sinistra sviluppi un solido punto di vista autonomo rispetto alla guerra, critico sia verso il vecchio imperialismo espansionista degli Stati Uniti e dei loro alleati, sia verso la nuova aggressione imperialista della Russia e dei suoi sodali.
In pratica, lei sta dicendo che se vuole diventare una credibile forza di governo, la sinistra francese dovrebbe lavorare a una razionalizzazione del suo programma in senso più radicale. Va un po’ contro l’opinione prevalente sui media, che di solito ci dicono l’esatto opposto.
L’opinione prevalente sui media riflette solo gli interessi delle classi dominanti, che puntano sempre a reprimere ogni insorgenza e ad addomesticare i programmi di sinistra, fino al loro snaturamento. È accaduto proprio in Francia negli anni ’80, si è ripetuto in Grecia nel decennio scorso, avviene ovunque nel mondo. Per scongiurare un destino analogo, la nuova sinistra dovrà sciogliere i nodi del suo programma in modo da renderlo concretamente attuabile, oppure farà bene a tenersi alla larga dalle ambizioni di governo per inaugurare piuttosto una lunga stagione di radicamento e di lotte, nelle istituzioni e nella società. Questa biforcazione è inesorabile: vale per la Francia, come per tutti i paesi in cui la sinistra tornerà a mostrare la sua forza.
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