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23/06/2022

Showdown a 5 Stelle

La scissione della corrente di Luigi di Maio dal Movimento 5 Stelle segna una tappa importante nella storia del cartello elettorale fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Certo, molti sostengono che si tratti, più che di una tappa, di un capolinea caratterizzato dallo showdown, dalla resa dei conti tra l’attuale leader del movimento, ed ex presidente del consiglio, Giuseppe Conte e il ministro degli esteri, Luigi Di Maio.

Su quest’ultimo aspetto bisogna andarci cauti, i cartelli elettorali non hanno un fine vita preciso basta ricordare che, dopo le dimissioni di Umberto Bossi, la Lega toccò i minimi storici per poi, qualche anno dopo, arrivare oltre il 35 per cento alle europee. C’è un piano di fluttuazione per i cartelli elettorali, si pensi al PD arrivato oltre il 40 per cento per poi dimezzarsi in poco tempo, del quale bisogna sempre tenere conto in una situazione sociale in continua mutazione che esprime il voto secondo criteri di opinione molto volatili. Sicuramente oggi è difficile scommettere sul Movimento 5 Stelle, o sulla forma che magari assumerà in futuro, visto che da anni è in dinamica centrifuga e, al momento, non si vede un gruppo dirigente in grado di sostituire quello storico che, nel frattempo, ha imboccato mille direzioni.

Ma il punto più importante, al momento, è sottolineare come la resa dei conti nel Movimento 5 Stelle non sia tanto uno scontro tra cordate attorno a un leader ma soprattutto l’espressione della crisi di un modello cartello elettorale, il catch-all-party, il partito che prende voti da destra e da sinistra, accelerata dalla velocità con quale i pentastellati si sono trasformati da elemento antisistemico in elemento sistemico.

E qui basta ricordare che appena cinque anni fa l’attuale ministro degli esteri, oggi draghiano, dichiarava che, una volta al governo, il Movimento 5 Stelle avrebbe promosso un referendum sulla permanenza o meno dell’Italia nell’euro. La velocità con la quale non solo Di Maio ma anche, da posizioni differenti, altri esponenti pentastellati hanno cambiato posizione suggerisce qualche riflessione. Il primo aspetto che balza agli occhi è che, di fronte alla prova del governo e quindi di una alta complessità sociale, il cartello elettorale a 5 stelle non solo non fosse efficacemente strutturato ma soprattutto fosse espressione di aspirazioni e interessi troppo differenti. Per fare un esempio: il Movimento 5 Stelle, alle elezioni del 2018, è stato sia il cartello elettorale più votato dagli operai che dai piccoli imprenditori. Si tratta di due mondi difficilmente conciliabili, meno che mai senza una linea politica innovativa chiara, e infatti il crollo di consenso in entrambi i settori è stato verticale. È venuto così meno lo slogan principale sul quale è stato costruito il cartello elettorale pentastellato: essere né di destra né di sinistra che significa, appunto, conciliare interessi differenti e sul piano pragmatico, quello delle cose da fare. E, francamente, quando si prendono voti da una parte consistente della società che vuole più stato, o comunque maggiore protezione sociale, e da un’altra che vuole più mercato, o comunque liberalizzazioni nei servizi, diventa molto difficile trovare il bandolo della matassa del governo e del consenso. Soprattutto quando il governo è subordinato, come accade da diversi lustri, alla governance politica e monetaria delle istituzioni europee e impone scadenze, politiche e allocazione delle risorse.

La resa dei conti nel Movimento 5 Stelle lascia tutti questi, e altri, problemi sul campo e pone qualche interrogativo sul futuro degli elementi che si sono scissi. La corrente Di Maio sta diventando il primo, in ordine di tempo, partito draghiano del paese. Vista la crisi sociale, e la scarsa capacità di governarla da parte di Draghi, c’è da chiedersi quale peso elettorale possa avere il nuovo soggetto. Il futuro del Movimento 5 Stelle guidato da Giuseppe Conte, invece, è tutto da capire e, se materialmente possibile, reinventare. Con una scissione tra due elementi che non sembrano avere immediata presa nell’elettorato, il Movimento 5 Stelle, se continua questa situazione, lascia scoperto un enorme spazio di rappresentanza praticamente alla vigilia della campagna elettorale delle politiche 2023. Un aspetto non da poco per un paese nel quale la sovrapposizione di più crisi (oggi economica, energetica, idrica e persino di modello sociale) è ormai diventata norma e non più stato di eccezione.

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