Il vertice di Bruxelles tra Unione Europea e CELAC si è concluso in pompa magna, pur confermando i contrasti tra europei e latinoamericani. Il comunicato finale sottolinea la necessità di porre fine al blocco contro Cuba e di rimuoverla dalla lista dei Paesi che sponsorizzano il terrorismo. Questo è certamente un risultato positivo e da sottolineare, ma si tratta di punti in qualche modo scontati, dato che storicamente l'intera UE ha votato all'ONU a favore della revoca del blocco illegale e unilaterale degli Stati Uniti contro Cuba.
Semmai c’è da evidenziare come, pochi giorni fa, il Parlamento europeo ha nuovamente votato una mozione di condanna molto forte nei confronti di Cuba, ma tre giorni dopo l'UE si è presentata alla CELAC per convincerli della linea politica comune. È perfettamente inutile sostenere che il Parlamento europeo è un'istituzione legislativa con una propria autonomia, poiché l'UE sostiene a livello governativo gli orientamenti di politica estera decisi dal PE. È solo in questa ipocrisia che risiedono l'arroganza europea e l'ingenuità (o in alcuni casi la connivenza) dei Paesi latinoamericani.
Su Kiev, tuttavia, è saltata l'attesa unanimità, poiché il Nicaragua si è rifiutato di firmare un testo che facesse riferimento alla "guerra contro l'Ucraina". La questione ucraina era al centro del disaccordo tra i due blocchi, ma Managua non ha ritenuto opportuno accettare un linguaggio che incolpasse la Russia del conflitto. La mancata firma del Nicaragua significa però che non si può parlare di un documento congiunto, almeno dal punto di vista formale.
La rottura dell'uniformità da parte del Nicaragua è stata benefica, perché non accettando il paragrafo sull'Ucraina, ha ricordato che l'UE è una parte belligerante e non un forum neutrale, essendo direttamente coinvolta con forniture militari, addestramento e sostegno politico, diplomatico e finanziario alle sorti del governo di Kiev.
Il governo sandinista aveva diverse ragioni per scrollarsi di dosso quello che sembrava soprattutto un diluvio di ipocrisia, un'operazione per nascondere la polvere sotto il tappeto. Il tentativo di Bruxelles è stato quello di richiamare all'ordine l'America Latina, che non ha firmato le sanzioni contro Mosca.
Non firmando, oltre a ricordarci come l'assottigliamento delle differenze dietro pressioni e promesse nasconda in sé un rapporto tra colonizzatori e colonizzati, Managua ha anche ricordato a tutti il ruolo attivo di Bruxelles nel golpe del 2014. Altrettanto noto è il ruolo truffaldino di Francia e Germania nel monitoraggio del piano di pace di Minsk, apertamente ammesso sia dalla signora Merkel che dall'ex presidente ucraino Poroshenko e poi da Zelensky.
Va ricordato che l'OSCE era il garante ufficiale, insieme a Russia e Ucraina, del rispetto degli accordi e che Parigi e Berlino, in particolare, dovevano garantire il rispetto da parte di Kiev dell'autonomia delle regioni separatiste. Ma entrambi hanno dichiarato che non c'era alcuna intenzione di far rispettare gli accordi; in nessun momento si è ritenuto necessario monitorare l'autonomia di Donetsk e Lugansk nel Donbass e il riconoscimento della Crimea come Stato indipendente affiliato alla Russia. Il piano è servito solo a far guadagnare tempo a Kiev per armarsi e addestrarsi in vista di un confronto militare con Mosca. L'ingresso nella NATO non è stato un passo immediato, perché è stata la NATO a entrare a Kiev.
In questo senso, Managua rifiutando il proprio consenso ha opposto un sovvertimento alla storia del confronto Kiev-Mosca e questo, dal punto di vista dell'igiene politica, non può che essere apprezzato.
In una valutazione più generale, si può certamente affermare che la CELAC ha poco da guadagnare da un rapporto politico più stretto con l'UE, perché Bruxelles non ha intenzione di aprire un dialogo politico che porti a un'agenda condivisa. L'idea dell'UE è quella di utilizzare l'America Latina per le fonti energetiche e la ricchezza di suolo e sottosuolo di cui ha bisogno per uscire dalla crisi economica e sociale, che è anche una crisi del modello produttivo.
L'interesse dell'UE per il continente latinoamericano è di avere una spina dorsale politica che sostenga il ruolo internazionale di Bruxelles, ma non il contrario (cioè sostenere le ragioni latinoamericane con gli Stati Uniti).
Ritiene che lo spazio aperto dalla crisi della leadership statunitense possa consentire un maggiore inserimento dell'Europa nello scacchiere latinoamericano, che è il sesto fornitore commerciale dell'UE (399 miliardi di dollari di scambi).
Ma al di là della pomposa verbosità del comunicato, le profonde differenze tra le due istituzioni persistono. Le politiche europee contro Russia e Cina non piacciono né sono condivise nel subcontinente americano. Mentre per l'America Latina la Cina è il prestatore di ultima istanza e gli investimenti cinesi, russi e iraniani sono un'importante fonte di sviluppo, per l'UE l'interesse è opposto. Il rifiuto europeo di proseguire con gli accordi con la Cina per aderire alla Nuova Via della Seta e l'embargo e l'interruzione delle relazioni commerciali con la Russia, le difficoltà che incontra in Africa – anche grazie alla penetrazione cinese e russa – costringono quindi la UE a cercare una possibile via d'uscita per riorientare il fabbisogno energetico a livelli compatibili con le esigenze e le finanze del Vecchio Continente.
La CELAC non ha nulla da guadagnare da un'intensificazione dell'alleanza politica e commerciale con l'UE, poiché il Mercosur ha già dimostrato la sua inadeguatezza alle pretese coloniali della Spagna.
Soprattutto, la CELAC non deve commettere l'errore di confondere un'interlocuzione con un riferimento. L'UE non è, né può diventare, un riferimento per un Nuovo Ordine Internazionale basato su una governance condivisa tra tutti i Paesi. L'UE è parte integrante dell'Occidente collettivo, riconosce la leadership di Washington sul mondo e ha costruito la sua linea politica sull'obbedienza assoluta agli Stati Uniti.
Il crollo degli accordi economici e commerciali con la Cina, l'abbattimento delle barriere legali che limitano la sua penetrazione, comprese le partecipazioni in aziende europee, e la rottura totale e definitiva per motivi politici e commerciali, diplomatici e culturali con la Russia e l'Iran, trasformano l'UE in un'appendice territoriale degli Stati Uniti, garante dei loro interessi in Europa e nel Mediterraneo.
Un esempio di come Bruxelles intenda trattare con l'America Latina è stato reso evidente dalla questione delle isole Falkland. Per la prima volta, sottolineano gli osservatori interessati, l'UE appoggia le rivendicazioni dell'Argentina sulle Falkland. Bene, certo, ma si deve sottolineare che è la prima volta che c'è un incontro tra l'America Latina e l'UE dopo l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione. Non per niente, fino a tre anni fa, l'UE chiamava "Falkland" le Malvinas.
Inoltre, per chiarire la strumentalità di una posizione che non avrà alcun riflesso concreto nella disputa, il vero obiettivo di Bruxelles nei confronti di Buenos Aires emerge con la richiesta dell'UE all'Argentina di ritirare la domanda di adesione ai BRICS, perché "non sarebbe un buon segnale". È chiaro, quindi, come l'interesse dell'UE sia quello di opporsi alla crescita di organizzazioni che propongono un diverso ordine mondiale, nel tentativo di tenere fermo un modello guidato dagli anglosassoni ormai definitivamente in crisi.
Per l'America Latina appare superfluo parlare di multilateralismo con un'organizzazione internazionale impegnata nell'unipolarismo. E per chi esulta, va ricordato che confondere uno scambio di opinioni con un percorso condiviso è un errore politico da matita rossa.
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