L’industria dell’intrattenimento a Hollywood e nel resto degli Stati Uniti è virtualmente chiusa a causa dello sciopero indetto dai sindacati degli sceneggiatori (WGA) e degli attori-artisti radiotelevisivi (SAG-AFTRA) per ottenere dai produttori televisivi e cinematografici migliori condizioni contrattuali. La mobilitazione era iniziata grazie ai primi il 2 maggio scorso, mentre gli attori, per la prima volta in sciopero da 43 anni, si sono uniti soltanto nel fine settimana. Per la natura del loro lavoro, la protesta di scrittori e attori sta suscitando particolare interesse tra i media e la popolazione americana, offrendo un modello di resistenza per altre categorie di lavoratori sul piede di guerra in tutti gli Stati Uniti.
Lo sciopero in corso ha ottenuto la solidarietà esplicita di nomi importanti del mondo del cinema d’oltreoceano, da George Clooney a Matt Damon, da John Cusack a Brian Cox. Altri ancora, come Susan Sarandon o Timothy Olyphant, hanno invece preso parte essi stessi alle proteste, organizzate prevalentemente di fronte agli edifici che ospitano alcuni dei principali “studios” a Los Angeles e a New York.
Gli attori e i “perfomer” ultra-famosi e super-pagati sono solo una minima parte dell’industria dello spettacolo USA. La maggior parte di coloro che lavorano in questo settore può contare al contrario su impieghi e guadagni estremamente incerti, spesso nemmeno sufficienti ad arrivare alla quota minima annua di 26.470 dollari che dà diritto all’assicurazione sanitaria offerta dal sindacato.
Le richieste centrali dei lavoratori in sciopero riguardano i compensi derivanti dallo streaming di film e serie TV e dalle trasmissioni successive alla prima messa in onda, il recupero del potere di acquisto degli stipendi erosi dall’inflazione e l’impatto dell’Intelligenza Artificiale. Il sindacato degli sceneggiatori chiede ad esempio un aumento delle retribuzioni pari all’11% entro i prossimi dodici mesi.
L’organizzazione dei produttori televisivi e cinematografici (AMPTP) offre invece soltanto un adeguamento del 5%, che, visti gli attuali livelli di inflazione, corrisponde a una riduzione di fatto degli stipendi. La controproposta ha scatenato particolare indignazione anche in seguito a una dichiarazione pubblica dell’amministratore delegato di Disney Bob Iger, il cui stipendio annuo è di circa 27 milioni di dollari, che ha definito “irrealistiche” le richieste dei lavoratori.
Un’altra proposta-shock avanzata durante le trattative dal cartello dei produttori è la possibilità di ricorrere all’Intelligenza Artificiale scansionando l’immagine di un attore per poi utilizzarla a piacimento e per sempre senza presenza fisica in scena. Il compenso previsto per garantirsi questa “copia digitale” degli attori sarebbe pari allo stipendio di mezza giornata lavorativa.
Non ci sono dubbi che l’unione delle forze tra sceneggiatori e attori-artisti radiotelevisivi ha dato visibilità mediatica e uno slancio considerevole alle rivendicazioni di quanti operano in questo ambito. Le loro controparti temono quindi seriamente il prolungarsi della mobilitazione. Il “CEO” del colosso dei media IAC, Barry Diller, in un’intervista rilasciata nel fine settimana alla CBS ha avvertito che un accordo dovrà essere trovato entro il primo di settembre, in modo da evitare quelli che ha definito “effetti devastanti” per l’industria dell’intrattenimento.
Diller ha spiegato che se lo sciopero dovesse proseguire, ad esempio fino a Natale, si assisterebbe, tra l’altro, alla cancellazione in massa di sottoscrizioni ai servizi streaming e al crollo delle entrate per le società televisive e cinematografiche, col risultato di azzerare i nuovi programmi. Per Diller, l’unica soluzione per mettere fine allo sciopero accontentando i lavoratori sarebbe il taglio del 25% dei compensi degli attori e dei dirigenti più pagati del settore.
La vera strategia dei produttori è però un’altra. Un articolo pubblicato la settimana scorsa dalla testata del settore Deadline, ha rivelato come i vertici delle case di produzione puntino a sfinire i lavoratori in sciopero, prolungando le trattative fino a che l’assenza di lavoro e stipendio li convinca a rinunciare alle proteste. Un dirigente citato in forma anonima da Deadline ha riferito che la AMPTP ritiene che “entro ottobre, dopo cinque mesi di sciopero, la maggior parte degli sceneggiatori si ritroverà senza soldi”. L’obiettivo è perciò di attendere che “gli iscritti al sindacato comincino a perdere i loro appartamenti e le loro case”.
Gli “studios” americani hanno beneficiato enormemente dell’avvento delle nuove tecnologie, come appunto i servizi in streaming, ma i maggiori guadagni non sono stati evidentemente distribuiti nemmeno in maniera parziale ai lavoratori. L’ex presidente del sindacato degli attori (SAG-AFTRA), Richard Mansur, in un’intervista al sito People’s Dispatch ha ricordato come, a partire dai primi anni Ottanta del secolo scorso, si sia verificato un “trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto senza precedenti”.
Questa dinamica è comune a tutti i settori dell’economia capitalista e ha colpito i lavoratori nel suo insieme. Riflessioni di questo genere stanno penetrando anche sulla stampa ufficiale negli Stati Uniti grazie alla popolarità dell’industria dell’intrattenimento. I temi legati alle rivendicazioni e alle problematiche del lavoro trovano dunque un’eco particolare che, dal punto di vista delle corporation, rappresenta un serio pericolo, soprattutto alla luce delle crescenti tensioni sociali già sfociate in questi ultimi anni in numerosi scioperi anche negli USA.
Su queste preoccupazioni fanno leva i vertici dei sindacati che, molto spesso, sono quasi costretti a proclamare mobilitazioni per contenere le pressioni dei lavoratori. Nonostante un apparente atteggiamento di sfida nei confronti delle compagnie, la loro condotta è sempre improntata alla ricerca di un accordo nei tempi più brevi possibili e, soprattutto, al tentativo di tenere isolate le rivendicazioni delle varie categorie di lavoratori.
La collaborazione tra membri della WGA e della SAG-AFTRA sta ora minacciando questa strategia e potrebbe finire per saldarsi ad altre mobilitazioni di settori pronti a entrare in sciopero già nelle prossime settimane. Particolare attenzione suscita il caso del gigante della logistica UPS, con il contratto collettivo quinquennale di circa 330 mila lavoratori negli Stati Uniti in scadenza il prossimo 31 di luglio.
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