Più di 37 milioni di elettori sono chiamati a votare questa domenica in Spagna per le elezioni politiche anticipate nel Paese iberico.
Già 2,47 milioni di votanti sono ricorsi alla modalità del voto per corrispondenza, stando ai dati ufficiali riferiti alle due del pomeriggio di sabato; circa il 94,2% del totale di coloro che potevano ricorrere a tale possibilità.
Si tratta di una cifra record da quando, nel 2008, è stato introdotto questo strumento, segno di una partecipazione elettorale già elevata prima ancora che aprano le urne.
Stando agli ultimi sondaggi pubblicati (e pubblicabili) di questo lunedì, la forza che dovrebbe uscire vincitrice è il Partido Popular, con il 34% di votanti contro il 28% ai socialisti del PSOE.
In un sostanziale “testa a testa” l’estrema destra di Vox e la coalizione della ‘sinistra radicale’ Sumar, entrambe al 13%.
La sommatoria dei voti delle altre formazioni – alcune delle quali con un peso importante a livello regionale, in particolare nei Paesi Baschi, in Catalogna ed in Galizia – raggiunge l’11%.
Stando a queste proiezioni – se ci fosse un accordo tra i popolari ed i neo-falangisti, riproducendo su scala nazionale ciò cui, a cominciare dall’anno scorso, abbiamo assistito su scala regionale in differenti località, tra cui tre regioni – si vedrebbe un quadro inedito per la storia democratica del Regno dopo la transizione dal franchismo a fine anni Settanta.
Sempre stando ai sondaggi, nessuna delle due formazioni che hanno dominato lo scenario politico nazionale post-franchista riuscirebbero a raggiungere quella maggioranza che permetterebbe di governare in solitaria.
È chiaro che “gli indecisi” e la percentuale di errore di questo tipo di inchieste di opinione, rendono le previsioni aleatorie.
Proviamo comunque a ragionare per scenari.
Il più improbabile, ma che non può essere scartato a priori, è quello simile al 2019, con un governo che avrebbe come asse principale PSOE e Sumar, con un investitura di Pedro Sánchez che dovrebbe però contare sull’appoggio della sinistra “indipendentista” galiziana del BNG, degli attori regionali baschi – sia il PNV che EH Bildu – oltre che della sinistra repubblicana catalana, ERC.
Una maggioranza, stando alle proiezioni di voto, da prendere con le pinze, visto che dovrebbe essere assicurata con un margine più ampio oltre ai 176 seggi necessari, e questo richiederebbe il sostegno della sinistra indipendentista catalana della CUP e dall’altra formazione indipendentista Junts.
Secondo i calcoli fatti dal quotidiano El País la possibilità che si realizzi un errore di previsione tale da permettere questo scenario sono circa di uno a sei.
Un secondo scenario di sostanziale “testa a testa” porterebbe ad un impasse in cui PP e VOX vincono con un margine più risicato di quello dei sondaggi, essendo perciò impossibilitati a governare, non raggiungendo i 176 voti necessari, e non riuscendo neanche a convincere – come è verosimile – il PNV o la Coalición Canaria a far parte della propria coalizione.
D’altro canto, per un governo del PSOE e di Sumar, in una situazione risicata sarebbero fondamentali i voti della CUP e di JUNTS che diverrebbero “aghi della bilancia” con tutto ciò che questo significa rispetto alla questione catalana e al lascito repressivo successivo al Procés.
Il terzo scenario è un governo di PP e di Vox con rapporti di forza diversi a seconda dei rispettivi risultati elettorali, con due polarità: da un lato un “voto utile” al PP in grado di riassorbire il voto “di protesta” per i neo-falangisti, in direzione di una più oliata macchina politica governativa; dall’altro la possibile “esondazione” dei neo-falangisti, capaci di cannibalizzare il consenso che a destra era riservato alla tradizionale forza conservatrice.
Altamente improbabile, ma non impossibile, una maggioranza assoluta per la formazione dei popolari con un governo “monocolore”.
Lo scenario più probabile, in caso di un margine di errore nullo o quasi da parte dei sondaggi, è una maggioranza “di misura” del PP e di VOX, con 177 deputati rispetto ai 176 necessari, in un contesto in cui il livello di “centralizzazione” delle decisioni politiche nazionali di entrambi i partiti non permetterebbero defezioni.
I popolari sono un partito in cui i notabili locali hanno un potere effettivo nelle scelte locali, ma non in quelle nazionali, mentre tra i neo-falangisti le decisioni derivano soprattutto dal centro.
Non è esclusa la rimonta del fronte progressista, grazie ad una performance positiva nel secondo dibattito televisivo decisivo, con la “complicità” dei due leader (Sanchez e Díaz) contro Abascal, e con Feijóo assente per scelta, dopo aver incassato un risultato positivo nel primo confronto televisivo con Sanchez.
Come ha detto il leader socialista nel comizio conclusivo, incitando al rush finale, di fronte ai suoi sostenitori a Getafe: «fino all’ultima pedalata, fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo voto».
Uno dei temi più scottanti per il PP, usati abbondantemente da Sumar a fine campagna elettorale, è l’imbarazzante amicizia del leader popolare con il narcotrafficante galiziano Marcial Dorado, immortalata in uno scatto d’epoca, L’ultima giustificazione del probabile capo dell’esecutivo è stata che ai tempi della foto Dorado «era un contrabbandiere, non un narcotrafficante».
Non proprio un’uscita felice.
Sumar ha concluso la campagna elettorale a Madrid con un comizio della Díaz, con l’attrice Marisa Paredes a presentare l’evento, cercando di smontare la rappresentazione di una facile vittoria della destra e di convincere gli indecisi.
Sul palco si sono alternate le varie anime della coalizione della sinistra radicale, che raggruppa una quindicina di formazioni, tra l’altro: la segretaria generale di Podemos Ione Belarra, succeduta a Paolo Iglesias; quella di Más Madrid all’assemblea regionale, Mónica García; la dirigente di Catalunya en Comú, nonché ex-sindaca di Barcellona Ada Colau; e la numero due di Izquierda Unida, Sira Rego.
Sumar ha rivendicato il ruolo di autrice della “bancarotta del PP” (tutta da verificare), e vero fattore mobilitante della campagna.
Podemos, che dopo la batosta delle amministrative a maggio è entrato in Sumar, con una posizione piuttosto marginale, ha tenuto ha ribadire la sua distanza dal PSOE e ha rivendicato il suo ruolo nella formazione del governo uscente.
A relativo merito di Podemos va ribadito che nel serrato processo di contrattazione che ha portato alla genesi dell’ultimo esecutivo, ha cercato di tenere il punto politico su alcuni temi pertinenti, sulle garanzie sociali e l’estensione dei diritti individuali, che hanno caratterizzato positivamente l’operato del governo uscente.
L’atteggiamento della Díaz, a parte i suoi meriti come vice di Sanchez e Ministra del Lavoro, è sembrato essere sin da subito più subordinato e collaborativo nei confronti dei socialisti, nonostante alcuni temi importanti esposti nel programma.
Le elezioni di anticipate, annunciate a fine maggio, hanno approfondito questa caratteristica che potremmo chiamare un po’ “codista”.
Le urne ci diranno quale sarà il futuro della Spagna in uno scenario comunque polarizzato, ma con una sostanziale collocazione euro-atlantica ed una adesione all’Unione Europea che non verrà comunque né criticata, né tanto meno messa in discussione.
Se vince il fronte reazionario ci troveremo di fronte ad un Paese governato dai conservatori e dall’estrema destra, seguendo il solco di un neo-liberismo autoritario e “tradizionalista” dai toni fortemente razzisti e sciovinisti, dove le istanze di autodeterminazione vengano annichilite da uno “spagnolismo di ritorno”, e che serva da bastione per l’estrema destra latino-americana.
Questo scenario potrebbe “per reazione” riattivare un processo di mobilitazione in grado di rompere la sostanziale passivizzazione realizzatasi negli anni del governo “più a sinistra d’Europa”.
Se vince il ‘fronte progressista’ si tratterebbe di una sostanziale continuità con ciò che è stato fatto fino ad ora, ma in un contesto di tendenza alla guerra generata da una crisi sistemica, a cui le politiche “riformiste” della social-democrazia iberica (moderata o radicale che sia) stenta a dare risposte adeguate, in un vuoto di proposte e prospettive che coinvolge il cosiddetto “socialismo europeo”.
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