Il 17 e 18 giugno sì è svolto a Bruxelles il vertice fra l’Unione Europea e la Comunità degli Stati dell’America latina e dei Caraibi (CELAC), per la prima volta dopo otto anni.
Un incontro rilevante se si considera il contesto internazionale in cui si svolge con la guerra in Europa ma anche le conseguenze della pandemia, la crisi climatico-ambientale, l’inflazione, la competizione tecnologica e per accaparrarsi materie prime, idrocarburi e “terre rare”.
Non solo un contesto “pesante”, ma anche una presenza molto articolata e significativa di soggetti. La CELAC infatti include oltre trenta paesi latinoamericani e vede nuovi protagonisti di peso come il colombiano Petro e il ritorno del gigante brasiliano, con il rieletto Lula che è stato senz’altro protagonista della due giorni e “portavoce” de facto della compagine latinoamericana.
L’incontro è stato preceduto negli scorsi mesi da una serie di contatti preliminari con i viaggi della Von der Leyen (e prima di lei di Scholz e recentemente di Mattarella tra gli altri) e il viaggio di Lula in Portogallo, Spagna, Italia e Francia.
Le notizie rimbalzate sui media internazionali sono state l’annuncio da parte della UE di un piano di investimenti da 45 miliardi di euro nel continente e la mancata convergenza sul tema della guerra in Ucraina: l’UE avrebbe voluto una dichiarazione comune di condanna alla Russia e un supporto attivo all’Ucraina ma il presidente brasiliano (e non solo) ha ribadito la contrarietà all’invio di armamenti e la necessità di una pace negoziale.
D’altronde il Brasile stesso come molti altri stati latinoamericani ha rifiutato già a gennaio di inviare armi e munizioni al governo di Kiev, come pressantemente richiesto dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea.
Sulla stampa italiana, con la qualità e lo stile che la contraddistinguono, l’incontro ha avuto un eco limitato. Forse era stata data più rilevanza alla dichiarazione di Lula, lo scorso 1° luglio, dopo la visita a Roma, quando aveva espresso la sua insoddisfazione per il cibo offerto nei pranzi ufficiali in Francia e nel nostro paese.
Miserie a parte, emerge un risultato solo parziale e che ha lasciato l’amaro in bocca alla UE e ciò è evidente nelle dichiarazioni pubbliche così come sulla stampa. Ciò che non si vuol dire, nel Vecchio Continente, è il perché e la portata delle difficoltà emerse con la comunità latinoamericana.
La questione infatti non riguarda solo i rapporti commerciali e gli investimenti in America Latina di Cina e Russia. A Bruxelles si sono manifestate due visioni del mondo decisamente oppositive sotto ogni punto di vista, nonché la forza dei processi in atto di là dell’Atlantico.
A casa nostra, dove la UE si è costruita attorno agli interessi del grande capitale continentale, anche a costo di feroci rese dei conti fra borghesie e pezzi di esse (Berlusconi docet), istituzioni di parvenza e sostanza discutibilmente “democratiche” impongono alle popolazioni le ricette dei think thank neoliberisti come unica strada per mantenere il ruolo preminente e il proprio “stile di vita” dentro la competizione globale.
Politiche interne cui si accompagnano i tentativi di ingerenza economica e anche militare negli affari interni dei paesi esteri laddove è possibile (vedi il Sahel e il Nord Africa), l’aumento delle spese militari e il supporto dentro la NATO all’Ucraina e così via.
I rappresentanti europei non nascondono di aver voluto l’incontro ora dopo anni di trascuratezza nei rapporti verso il continente latinoamericano spinti dalla necessità di ridefinire la catena degli approvvigionamenti che la guerra intrapresa indirettamente contro la Russia, la competizione economica con la Cina e in generale la frammentazione del mercato mondiale stanno imponendo all’industria europea.
Non a caso in America Latina si trova un’enorme riserva d’acqua dolce, la metà del litio presente sul pianeta, petrolio e metalli preziosi nonché la Foresta Amazzonica.
La visione e la prospettiva Europea si esprime chiaramente nelle parole della Presidente della Commissione. Cosa crea i rapporti fra paesi? Il mercato (capitalistico). Cosa fa da olio a questi rapporti? I flussi di capitale e le imprese. Che cosa vogliono gli europei dall’America Latina? Il litio, in primo luogo, ma anche altre materie prime, lo sviluppo delle tecnologie per la produzione e l’utilizzo dell’idrogeno e manodopera a basso costo.
Non solo, ma occorre arginare i rapporti commerciali con la Cina e sostenere militarmente e diplomaticamente l’Ucraina (ergo isolare la Russia).
Viziati da una mentalità mercantile e coloniale, tutto ciò è stato esplicitato sicuri del risultato positivo garantito dall’annuncio dei 45 miliardi di investimenti. Non sempre però, e comunque sempre meno spesso, si ha di fronte governi fantoccio e subalterni o dei tagliagole in stile libico.
Le immagini e la musica che risuonano nella sponda sud-occidentale dell’Atlantico hanno altro ritmo e tonalità. Forse il rumore delle armi e una certa “miopia strategica” hanno impedito ai tecnocrati europei di sentirla finora e di osservare con attenzione quanto veniva da quelle parti.
I rappresentanti latinoamericani hanno infatti ribadito uno dopo l’altro la necessità sì dei rapporti economici, ma in un contesto di reciprocità e di trattativa che non può (più) avere nulla a che vedere con la svendita delle proprie risorse e territori.
Ormai l’impegno è volto a respingere il ricatto del debito e le minacce economiche e militari, alla revoca dei blocchi economici e finanziari che strangolano le popolazioni e all’imporre limiti alle imprese multinazionali nello sfruttamento delle risorse naturali e delle popolazioni, alla promozione di relazioni internazionali alternative...
Nessuna sfumatura di subalternità, nessuna pietosa richiesta di clemenza o di finanziamenti, una voce unanime nonostante le differenze esistenti fra i 33 paesi membri della CELAC, che ha un livello di integrazione nettamente inferiore a quello europeo.
L’inconciliabilità di queste due visioni del mondo è palpabile tra le righe della dichiarazione ufficiale che ha richiesto molte mediazioni per essere approvata, così come nell’insoddisfazione più o meno velata della stampa europea, nonostante i sorrisi e le rassicurazioni del sig. Michel.
E non basta. Probabilmente il tentativo europeo di ritagliarsi un proprio spazio indipendente con l’America Latina, non deve essere stato gradito negli Stati Uniti, nonostante l’esito incerto del forum.
Non a caso l’Huffington Post nella sua edizione italiana titola “L’Europa ha fame di materie prime sudamericane. E pur di sottrarle alla Cina si sorbisce la lezioncina di Lula”.
Il titolo ha il pregio di rendere evidente la difficoltà a conciliare gli interessi all’interno del campo occidentale, nonostante la condivisione forzata nel contesto internazionale e le avventure in stile NATO.
Possiamo dire davvero che in pochi decenni il mondo è parecchio cambiato. A quanto pare l’ex “cortile di casa” dello zio Sam non ha alcuna intenzione di liberarsi dalle catene statunitensi per tornare alle dipendenze dei vecchi padroni europei...
Il testo della dichiarazione finale.
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