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24/07/2023

Meloni, il governo della repressione di lavoratori e poveri

Nei roventi giorni dell’estate che scorre le vicende politiche e sociali del nostro paese continuano ad assumere tinte sempre più fosche ed il governo italiano non perde occasione per mostrare in modo sempre più ostentato la propria natura reazionaria e autoritaria.
 
Alla fine della scorsa settimana, il 13 e 14 luglio, doveva avere luogo lo sciopero congiunto dei lavoratori di Trenitalia e Italo. Allo stesso tempo, il 15 luglio doveva avere luogo quello dei lavoratori del trasporto aereo, in particolare per i dipendenti di ITA.

“Doveva avere” ma non “ha avuto”, o almeno non nelle forme definite e annunciate. Il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini, infatti, tra una sparata e l’altra sul fantomatico ponte sullo stretto ha deciso di precettare i lavoratori del settore ferroviario firmando un’ordinanza che comandava la fine dello sciopero alle ore 15:00 del giorno 13 luglio. Un’ordinanza che di fatto ha dimezzato la durata dello sciopero stesso, che inizialmente si avvicinava alla soglia massima delle 24 ore. La deriva sempre più autoritaria e reazionaria di questo governo è ancora più esemplificata dai modi in cui tutto ciò è avvenuto. Infatti, per quanto il governo possa per legge vietare uno sciopero (legge 146 del 1990) quando legato ai servizi pubblici, la comunicazione del divieto dovrebbe avvenire con almeno un anticipo di 48 ore. Così non è stato in questo caso.

La precettazione può anche avvenire a meno di 48 ore dall’inizio dello sciopero, ma solo e soltanto se sono stati effettuati tentativi di conciliazioni tra le parti. In questa circostanza, per quanto gli scioperi fossero già stati indetti da tre settimane l’8 e il 22 giugno, fino a qualche giorno prima vi era stato un totale immobilismo da parte del Governo. Tutto è cambiato però con la convocazione di una riunione da parte del Ministero con le parti coinvolte mercoledì pomeriggio. Una riunione all’ultimo, da cui, visto il poco preavviso, non è uscito nulla di fatto, ma che ha costituito il cavillo formale che ha consentito al Governo di intervenire d’imperio con la riduzione dell’orario dello sciopero con meno di 48 ore di anticipo.

Appare quindi un evidente atto di forza contro i lavoratori quello che è avvenuto mercoledì pomeriggio, un vero e proprio esercizio di potere per sperimentare con metodo autoritario un ridimensionamento del diritto allo sciopero lanciando al mondo sindacale un chiaro messaggio e creando precedenti per gli anni a venire. Del resto, è stato lo stesso ministro Salvini a dichiararsi “orgoglioso” di aver accorciato uno sciopero nascondendosi dietro alla tutela degli utenti pendolari (falsamente, poiché i pendolari vedevano le loro fasce orarie già protette e una serie di treni garantiti per le loro necessità) o, ancor peggio, dietro ad argomenti pretestuosi e ridicoli come il fatto che “ci sono 35°C”, come se gli scioperi si potessero fare solo in determinate condizioni climatiche. Lasciando peraltro intendere in modo sibillino che i disagi, reali e drammatici, dei pendolari, sperimentati quotidianamente, siano legati alle proteste sindacali e agli scioperi quando è ben noto il livello di cronica carenza, sotto-finanziamento e disorganizzazione gestionale del trasporto pubblico locale soggetto da anni a privatizzazioni e/o tagli dei servizi e degli investimenti.

D’altro canto, le ragioni per cui le sigle sindacali del settore si sono mobilitate erano e rimangono sacrosante: “un adeguato piano di assunzioni, una mitigazione dei carichi di lavoro nella programmazione dei turni degli equipaggi, favorendo la conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della vita privata, il rilancio del settore manutenzione, la centralità della rete vendita e assistenza ai passeggeri e investimenti tecnologici, crescita professionale e percorsi formativi per tutto il personale degli uffici”.

D’altro canto, la situazione lavorativa in Italia, non solo nel settore delle ferrovie e del trasporto aereo, resta drammatica e bisognosa quindi non di uno, ma di due, tre, molti scioperi. Il Report dell’OCSE sull’Occupazione 2023 parla chiaro. L’Italia è, tra i grandi paesi sviluppati, quello che ha visto crollare maggiormente i salari reali. Un calo del 7,5% tra l’inizio della pandemia e il 2022. In più, i “salari contrattati” sono anche essi diminuiti in termini reali di oltre il 6% nel 2022, e, vista l’elevata copertura della contrattazione collettiva nel nostro paese, anche questo è un fatto alquanto significativo. Come se non bastasse, per quanto il tasso di disoccupazione sia comunque calato rispetto a quello che si registrava prima della pandemia, il 7,6% registrato al maggio 2023 rimane comunque ampiamente più alto della media OCSE del 4,8%.

Nel frattempo, in questo quadro occupazionale disperato, tra decreti pro-precarizzazione e l’eliminazione del reddito di cittadinanza, a fronte del drammatico aumento dei prezzi e della conseguente diminuzione del potere di acquisto dei lavoratori, viene presentata come misura di contrasto all’impoverimento la Carta “Dedicata a Te”. Un unico contributo di 382,50€ a famiglia. Un bonus, erogato un’unica volta, dal valore alquanto ridotto e oltretutto non cumulabile con qualsiasi altra misura di inclusione sociale. Insomma, i candidati a ricevere questo intervento sono solo quelle famiglie in difficoltà economiche ma che allo stesso tempo non godevano già di altri sussidi. Come se un bonus di 380€ possa risolvere da solo una situazione così complicata. A questo va aggiunto come questa carta sia destinata alle sole famiglie composte da almeno tre elementi ovvero da due genitori e almeno un figlio piccolo a carico, mentre non potranno essere beneficiari genitori single con figli a carico. Una limitazione assurda che tiene fuori dai beneficiari nuclei familiari monoreddito spesso in situazioni di forte bisogno economico, stabilita in pieno ossequio ai vincoli dell’austerità e al dogma del “non ci sono soldi per tutti”. Un’altra beffa, peraltro, risiede nel modo in cui l’importo può effettivamente essere speso: ovvero solo per una lista ben definita di prodotti di prima necessità. Ad esempio, si potranno acquistare caffè e zucchero ma non tisane e sale, in una logica malata in cui è il Governo a dirti come e dove puoi spendere ciò che ti viene dato. Conseguenza lineare di una visione punitiva e colpevolizzante in cui il povero è povero perché non sa come e dove spendere i suoi soldi. Carta che comunque verrà disattivata nel caso non venga effettuato nessun acquisto entro il 15 settembre, perché l’eventuale volontà di iniziare ad utilizzare questo importo più avanti durante la stagione fredda non è a priori concepito.

Insomma, in una situazione economica e sociale disastrosa, il governo, non pago delle misure legislative di precarizzazione del lavoro, mostra i muscoli attaccando i diritti fondamentali dei lavoratori colpendo con arroganza e nel peggiore dei modi il diritto allo sciopero e nel contempo elargisce elemosine selettive spacciandole per lotta alla povertà.

Di fronte a tutto questo e alla faccia di chi vorrebbe silenziare la protesta sociale è sempre più necessaria l’unione di tutte le lotte dell’ampio mondo dei soggetti subalterni che da anni subiscono le conseguenze nefaste di crisi economica, disoccupazione, bassi salari e generale peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita.

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