La perquisizione si conclude con 93 arresti e 82 feriti, di cui tre prognosi riservate.
Degli 82 feriti, 63 vengono condotti in ospedale, e i rimanenti 19 vengono portati direttamente nella caserma di Bolzaneto.
Tutti le persone ospitate all’interno della scuola vengono tratte in arresto con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e saccheggio e detenzione di bottiglie molotov.
Da subito e nei giorni successivi, alti funzionari di polizia e il ministro degli Interni dichiarano che:
– le pattuglie poi entrate nelle scuole furono aggredite dal lancio di oggetti e da una sassaiola;
– le ferite e le contusioni riportate dai manifestanti arrestati erano pregresse;
– all’atto dell’irruzione l’agente Nucera era stato colpito da una coltellata da parte di un non identificato aggressore;
– all’interno della scuola Diaz erano state sequestrate “armi, oggetti da offesa ed altro materiale che ricollegavano il gruppo dei giovani in questione ai disordini e alle violenze scatenate dai Black Block”, ed in particolare erano state ritrovate due bottiglie molotov.
Riguardo al lancio di oggetti e alla sassaiola: da subito le affermazioni dei funzionari di polizia, tra cui Francesco Gratteri, non trovano riscontro nelle dichiarazioni rilasciate da Di Bernardini (che dirigeva la Squadra Mobile di Roma) durante gli interrogatori effettuati dal PM Enrico Zucca nei giorni successivi.
Nemmeno i poliziotti e i funzionari che hanno descritto la sassaiola nelle loro relazioni, ne sanno qualcosa: ai magistrati si sono limitati a dire che l’avevano scritto perché qualcuno, non si sa chi, glielo aveva detto. Spartaco Mortola, il numero uno della Digos di Genova, ha negato l’evidenza dei filmati girati dalla scuola Pascoli (l’edificio antistante alla scuola Diaz/Pertini) al momento dell’irruzione.
In una nota inviata al capo della Polizia il 5 agosto 2001 Mortola ha dichiarato che “poiché l’immagine è concentrata soprattutto sul portone d’ingresso ed a causa dell’oscurità, non si nota apparentemente il lancio di oggetti contundenti, dai piani superiori all’indirizzo delle forze dell’ordine, anche se lo scrivente conferma, anche in questa sede, che il lancio di oggetti ci fu”.
Per quanto riguarda le ferite riportate dai manifestanti, dai certificati medici di ricovero risulta che durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz/Pertini sono state ferite 82 persone, tre delle quali in modo molto grave.
Il 4 settembre 2001 Vincenzo Canterini, comandante del VII nucleo sperimentale antisommossa del I Reparto Mobile di Roma, ha dichiarato al comitato parlamentare d’indagine che nella scuola Diaz/Pertini “vi sono state persone che, entrando, hanno visto lanciarsi contro delle sedie e quindi hanno reagito”.
Uno degli uomini di Canterini, invece, descrive pestaggi immotivati, compiuti in assenza di reazione.
Nella relazione di servizio consegnata al questore Colucci il 22 luglio 2001, il vice sovrintendente della Polizia di Stato Vincenzo Compagnone ha dichiarato che nella scuola “notavo operatori ed altri accanirsi e picchiare come belve dei ragazzi, uno di questi era a terra in una pozza di sangue e non dava segni di vita”.
Per quanto riguarda la presunta aggressione subita dall’agente Nucera, la versione dei fatti sostenuta dalle forze di polizia, e il racconto dello stesso Nucera, sono stati smentiti dai Carabinieri del RIS (Reparto Investigazioni Scientifiche) di Parma in due perizie in cui è dichiarato che le lacerazioni su giubbotto e corpetto sono incompatibili con l’aggressione denunciata.
Per quanto riguarda le armi e gli oggetti da difesa: il bottino recuperato dalle forze dell’ordine era fatto di coltellini svizzeri, macchine fotografiche, libri, fazzoletti di carta, assorbenti interni, maschere antigas e un piccone; successivamente si venne a sapere che il piccone era stato raccolto dal cantiere aperto presente all’interno della scuola.
Per quanto riguarda le bottiglie molotov: nel verbale di perquisizione corredato da tredici firme di alti funzionari della polizia di Stato, si descrive il ritrovamento di due bottiglie molotov, ma le indagini successive hanno rivelato una verità differente.
Il Vicequestore aggiunto Pasquale Guaglione, infatti, ha dichiarato ai PM genovesi Enrico Zucca e Francesco Pinto che quelle bottiglie sono state in realtà ritrovate da lui in un cespuglio sul lungomare di Corso Italia nel pomeriggio del giorno precedente.
Il 12 maggio 2003 il GIP Anna Ivaldi dispone l’archiviazione delle indagini contro i manifestanti per il reato di resistenza, con un’ordinanza di archiviazione in cui si riporta che
“non può affermarsi, neppure con un minimo grado di certezza, che coloro che si trovavano nella Diaz e che vennero poi arrestati abbiano lanciato oggetti sulle forze di polizia … Deve poi escludersi essi abbiano posto in essere atti di resistenza nei confronti del personale di polizia, una volta che questo riuscì ad accedere all’interno della Diaz”.
“Un completo accantonamento dei principi-cardine dello Stato di diritto”: così la Corte di Cassazione definì il trattamento riservato dagli agenti di Polizia agli oltre 300 manifestanti portati alla caserma di Genova Bolzaneto, durante il vertice del G8 del luglio 2001.
La caserma fungeva da centro per l’identificazione dei fermati che poi sarebbero stati trasferiti in diverse carceri italiane, ma dalle inchieste è emerso che per tre giorni si trasformò in un luogo di vessazioni e abusi che secondo le vittime sconfinarono nella tortura.“A Bolzaneto furono commessi atti che sono qualificabili come tortura”. Questa la chiara sentenza emessa oggi dalla Corte europea dei diritti umani, alla quale avevano fatto ricorso un gruppo di vittime, contro l’Italia per il trattamento subito dalle persone arrestate e portate al centro temporaneo di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001.
Il personale delle forze dell’ordine fu accusato di violenze fisiche e psicologiche e di mancato rispetto dei diritti fondamentali, quali quello a essere assistiti da un legale o di informare qualcuno del proprio stato di detenzione; gli arrestati riferirono inoltre di essere stati costretti a stare ore in piedi, con le mani alzate, senza avere la possibilità di recarsi al bagno, cambiare posizione o ricevere cure mediche.
La struttura di detenzione temporanea (con ambulatorio e matricola) messa in piedi nella caserma di Bolzaneto, tra il 12 e il 22 luglio, prese in carico 222 persone, che poi sono state smistate in diversi carceri del nord Italia.
Lo Stato italiano ha violato il loro diritto a non essere sottoposti a maltrattamenti e tortura e si denuncia l’inefficacia dell’inchiesta penale sui fatti di Bolzaneto.
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