Una nota della Casa Bianca ha annunciato un nuovo pacchetto di armi per Taiwan, del valore di 345 milioni di dollari. Varie fonti interne avevano fatto trapelare nelle ultime settimane questa intenzione, ed è arrivato infine l’annuncio ufficiale da Washington.
I fondi saranno usati per implementare anche servizi militari e percorsi di addestramento, mentre non è stata fornita alcuna lista degli armamenti che verranno inviati. Secondo dichiarazioni riportate in anonimato, oltre a munizioni per armi leggere, vi sono attrezzature di intelligence, sorveglianza e ricognizione.
Sembrano quindi confermarsi altre quattro voci che volevano un imminente trasferimento sull’isola di droni MQ-9A Reaper disarmati, anche se rimaneva incerto. Ad ogni modo, da questi strumenti sarebbero state rimosse alcune delle attrezzature avanzate che la US Air Force non vuole condividere.
È più o meno la stessa logica che sarà usata per gli M1A1 Abrams che saranno spediti in Ucraina, probabilmente a partire da settembre: le più avanzate tecnologie saranno tolte dai mezzi.
In questo caso c’è anche la paura che finiscano in mano russa, ma nella previsione di un inasprimento dello scenario internazionale, a Washington devono avere gli stessi timori riguardo questi droni che sarebbero usati per la sorveglianza del Dragone.
Non sembra fuori luogo mettere in collegamento lo scenario ucraino con quello taiwanese. Infatti, anche se non è la prima volta che ingenti sostegni militari vengono concessi a Taipei, la novità è che è la prima occasione in cui si è ricorsi all’utilizzo della Presidential Drawdown Authority (PDA), attraverso la quale nel bilancio 2023 si era stanziato fino a 1 miliardo per l’arcipelago a sud della Cina.
La PDA è uno strumento della politica estera statunitense per situazioni di crisi, e permette spedizioni accelerate di materiale militare direttamente dalle scorte del Pentagono.
È un percorso già usato 43 volte dagli USA per l’Ucraina... sin dall’agosto 2021, “in risposta alla preparazione della Russia all’invasione su larga scala dell’Ucraina del 24 febbraio 2022”, si può leggere – in traduzione – direttamente sul sito del Dipartimento di Stato di Washington.
Ovviamente non significa che mancano sei mesi all’apertura di un fronte del Pacifico di questa “terza guerra mondiale a pezzi” che l’imperialismo euroatlantico conduce per mantenere il proprio privilegio e la propria egemonia.
Ma segnala un ulteriore passo sulla via dell’escalation da parte occidentale, tanto più se gli Stati Uniti hanno già stanziato soldi per altri due invii di armi come questo solo per quest’anno.
Tensioni di cui l’inasprimento è stato condannato dalle autorità di Pechino. Liu Pengyu, portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, ha affermato che “gli Stati Uniti devono smettere di vendere armi a Taiwan, smettere di creare nuovi fattori che potrebbero portare a tensioni nello Stretto di Taiwan e smettere di rappresentare rischi per la pace e la stabilità nello Stretto”.
Secondo il Taiwan Relations Act, gli USA si impegnano a sostenere Taipei e le sue capacità di autodifesa, ma non a intervenire in caso di conflitto, mentre continuano a ribadire il loro sostegno alla politica di «Una sola Cina». E come con l’Ucraina continuano a rendere l’isola una polveriera, come al solito ben lontana dal mettere in pericolo i lidi americani.
Pechino, però, oltre che sulla sua politica di distensione e di collaborazione internazionale, può contare sulla crisi materiale ed egemonica dell’Occidente, e sull’inevitabile emergere del multipolarismo. Washington continuerà a fomentare conflitti in giro per il mondo, ma è difficile che continuerà a trovare paesi e opinioni pubbliche supine come in passato.
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