di Guido Salerno Aletta
Da anni, la Turchia stupisce le diplomazie di tutto il mondo per la capacità manovriera che dimostra nell'occupare sempre nuovi spazi sullo scacchiere internazionale, per la straordinaria fertilità delle iniziative che mette in campo e per la capacità di legare ogni soluzione che propone alla creazione di nuovi problemi.
Una strategia neo-Ottomana, che si richiama al comportamento dell'Impero di Bisanzio: era troppo piccolo e circondato da popolazioni ostili per poter adottare le politiche di potenza di Roma, e quindi doveva creare condizioni di continua incertezza che rendessero le alleanze sempre molto complesse da gestire ed i rapporti con i nemici sempre in grado di prefigurare possibili terreni di intesa.
Ogni colpo di scena prelude ad un'altra mossa a sorpresa, ma soprattutto è calcolato per provocare le reazioni degli interlocutori.
In questi giorni, la prima notizia ad aver suscitato clamore è stata la consegna da parte della Turchia al Governo ucraino di alcuni militari del Battaglione Azov che si erano arresi alle truppe russe dopo una complessa trattativa diplomatica, che prevedeva che sarebbero stati trattenuti in Turchia fino alla fine delle ostilità: era indubbiamente uno sgarbo fatto a Mosca ed un favore reso a Kiev, di cui non si comprendeva bene il motivo.
Nel frattempo, il tempo stringeva su quattro questioni di grande rilievo: l'adesione della Svezia alla Nato, non ancora perfezionatasi per la solitaria contrarietà espressa da Ankara che si era lamentata della protezione offerta da Stoccolma a presunti terroristi turchi; la scadenza dell'Accordo umanitario che permette l'esportazione del grano ucraino e su cui vigila la Turchia per evitare che ci sia un traffico di armi sulle navi che arrivano nei porti ucraini per imbarcare i cereali; la questione degli armamenti americani forniti alla Turchia, dagli F-35 agli F-16, bloccati da una decisione congressuale a Washington per ritorsione nei confronti dell'acquisto di armamenti russi da parte di Ankara; la presenza di truppe turche nel nord della Siria a protezione dei confini meridionali della Turchia, per evitare la formazione di un vero e proprio Kurdistan che leghi insieme le popolazioni curde che risiedono nel nord dell'Iraq a quelle che vivono nel nord della Siria. La questione siriana è particolarmente spinosa per gli Usa, che hanno subìto lo smacco di una Russia schierata da anni a difesa del regime di Assad, che pure era stato accusato di atti di violenza inaccettabile nei confronti delle proteste della popolazione inerme, facendo uso di gas letali.
Tutto si intreccia. Mosca da tempo teme per la sicurezza del lunghissimo ponte di Kerch che consente il collegamento diretto tra la Russia e la Crimea, già danneggiato pesantemente l'8 ottobre del 2022 per l'esplosione di un vagone ferroviario che trasportava combustibili: sospetta che droni o robot marini possano essere nascosti da navi mercantili che si trovino al largo nel nord del Mar Nero. E così è stato: appena poche ore prima che scadesse il termine dell'Accordo sul grano, che consente alle navi mercantili di avvicinarsi alle coste, nella notte del 17 luglio scorso due piloni del ponte sono stati colpiti.
Il danno materiale al ponte di Kerch non sembra ingente, ma le conseguenze politiche lo sono: l'Accordo sul grano ucraino non sarà rinnovato per il diniego della Russia. Il danno maggiore che ne deriverà, oltre che per le popolazioni africane cui verrà meno la fornitura, sarà per i produttori ucraini e per le multinazionali che sono interessate al gigantesco business che si muove dietro i cereali. Venendo meno queste forniture, saranno i cereali russi a rimpiazzarli, con un aumento dei prezzi.
Se Ankara ci rimette da questo blocco commerciale, visto che incassava i diritti di passaggio sulle navi, di certo aveva fatto una gran bella figura con tutto l'Occidente consegnando a Kiev i militari del Battaglione Azov. Ma al Vertice della Nato tenutosi a Vilnius, cui ha partecipato anche il Presidente americano Joe Biden per sottolinearne il rilievo, mentre tutti si attendevano finalmente la dichiarazione di assenso della Turchia all'ingresso della Svezia, non solo è stato annunciato un rinvio della decisione a dopo l'estate, ma è stata rimessa sul tappeto la questione della adesione della Turchia alla Unione europea: uno scambio di favori, "this for that" come si dice in gergo diplomatico.
Ma il favore più grande, intanto, Ankara lo ha fatto a Mosca: ha dato scacco alla strategia che punta al suo accerchiamento completo a Nord. Ed, in più, ha fatto capire che se la Nato si vuole allargare alla Svezia, e così pure l'Unione Europea alla Ucraina, la Turchia non può stare solo a guardare.
La questione non finisce qui. Ci sono gli interessi in Siria, dove pur tra ruvidezze gli interventi militari di Turchia e Russia si sono coordinati, dividendosi le aree di intervento: ma è qui che, a quanto pare, gli Usa vogliono prendersi una rivincita sul campo, per rendere più pesante dal punto di vista economico e sanguinoso sotto il profilo militare la presenza russa. Il problema è serio: per procedere ad un intervento diretto da parte americana, che sarebbe pericolosissimo per le implicazioni che creerebbe, "serve" comunque un casus belli, un massacro di civili che renda plausibile se non indispensabile il ricorso al Dovere di Proteggere le popolazioni siriane. Inoltre, si rischia di distogliere l'attenzione dall'Ucraina ed il consenso fin qui raggiunto nel conflitto politico dell'Occidente contro la Russia. Ma soprattutto l'Iran, dove è recentemente fallita anche la "rivoluzione dei capelli al vento" che sfruttava il desiderio femminile di libertà dalle costrizioni religiose, si muoverebbe.
Le pesanti pressioni politiche esercitate in passato verso la Turchia hanno sortito effetti opposti, inducendola ad aprire rapporti ed a negoziare con i cosiddetti nemici dell'Occidente: non tanto con la Russia di Putin, quanto con i Talebani in Afganistan passando per i Fratelli Musulmani sostenuti dal Qatar.
Sono queste le alchimie millenarie del potere, che Ankara ha ereditato dall'Impero d'Oriente.
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