Il presidente filo-francese del Niger, Mohamed Bazoum, è stato deposto da un colpo di stato militare proprio alla vigilia del vertice Russia-Africa in corso a Piter dal 27 al 28 luglio.
Con titolo entusiastico, ColonelCassad scrive che in Niger, uno dei resti dell’impero coloniale francese in Africa nordoccidentale, «è stato attuato con successo un rivolgimento militare»; a quanto pare, parte degli elementi alla testa del “pronunciamento”, sarebbe legata alla giunta militare del Mali, apertamente filo-russa.
L’annuncio ufficiale è stato diramato dal colonnello Amadou Abdramane che, a nome di esercito e forze di sicurezza, ha dichiarato che i militari risponderanno a qualunque interferenza straniera.
Come da copione, condanne sono arrivate da USA, CEDEAO, UE, e in particolare proprio dalla Francia, “in ansia” per l’eventuale perdita di controllo sulle miniere di uranio del paese, importanti per il proprio programma nucleare.
ColonelCassad scrive che, in caso di successo del tentativo di rivolgimento, c’è da aspettarsi l’arrivo in Niger di uomini della “Wagner”, e così il paese «sarà finalmente libero» dalla presenza francese.
La concorrenza che si sta facendo sempre più serrata attorno all’economia africana, conta sull’ulteriore indebolimento delle posizioni USA nel continente, i cui scambi commerciali sono dimezzati negli ultimi 15 anni (da circa 120 miliardi di dollari a 60) e anche della crisi del progetto Francafrique, con l‘uscita francese da paesi quali Repubblica Centroafricana, Mali, Burkina Faso.
Oggi, insieme all’enorme crescita dell’influenza cinese (si parla di un giro economico di 300 miliardi di dollari), anche Mosca sta rafforzando le proprie posizioni africane, viaggiando sui 20 miliardi di dollari di commercio, soprattutto nel settore alimentare, dei fertilizzanti e delle armi.
Oggi, osserva Malek Dudakov, molti paesi africani sono minacciati dall’indebitamento, a causa dell’aumento dei tassi USA e Pechino ne approfitta, aggirando il FMI e mettendo a disposizione prestiti in yuan. Così che, nel giro di 10-15 anni, «l’intera Africa potrebbe passare al commercio in yuan, diventando un pioniere sulla via della dedollarizzazione dell’economia mondiale».
Per il momento, Mosca sta accumulando punti nella concorrenza africana con l’Occidente. Una concorrenza che guarda alla ricchezza del continente: 30% delle riserve mondiali di minerali diversi, 8% di riserve di gas e 12% di petrolio, 40% di oro e circa il 90% di cromo e platino. Vi si concentrano inoltre le maggiori riserve di manganese, bauxite, cobalto, zirconio, diamanti, uranio, titanio, nichel e tungsteno.
E l’Africa costituisce una rotta commerciale strategicamente importante tra Europa e Asia, con lo stretto di Bab al-Mandeb (seconda area nautica più trafficata del pianeta), Canale di Suez, Capo di Buona Speranza, isole e arcipelaghi.
L’Africa, scrive la russa Vzgljad, è oggi un enorme spazio di contrapposizione tra le grandi potenze.
Sul piano strettamente militare, dal 2008 gli USA operano sul continente con un unico comando – AFRICOM – la cui maggiore base nella regione è quella di Camp Lemonnier, a Gibuti, un paese che, oltre a quelle yankee, ospita basi francesi, cinesi, giapponesi, italiane, saudite e che costituisce un decisivo avamposto per il controllo di Bab al-Mandeb.
Washington ha basi militari anche in Burkina Faso, Camerun, Kenya, Niger, Seychelles, Somalia, Ciad, oltre a depositi e punti logistici in altri 19 paesi africani. I presidi britannici sono “limitati” a un centro d’addestramento e sperimentazione tecnica in Kenya.
Diverso il caso francese, che tenta in ogni modo di recuperare un qualche controllo sulle estese ex colonie: Parigi prende parte costantemente a “operazioni antiterrorismo” (Barkhan, Serval), coordina le missioni militari e civili UE, pur con sempre meno risultati, così che numerosi paesi dell’Africa centroccidentale guardano sempre più alla Russia, come dimostrano i casi di Mali e Repubblica Centrafricana.
Ma è la Cina a costituire oggi il partner commerciale chiave per i paesi africani, con un fatturato commerciale che nel 2021 è stato di 254 miliardi di dollari (il doppio rispetto a un decennio prima) e investimenti per circa 50 miliardi di dollari.
Pechino conduce regolarmente vertici con i paesi africani e conclude accordi multimiliardari; realizza progetti culturali, umanitari, infrastrutturali, sanitari, alimentari e costruisce una propria presenza militare.
Per l’appunto, la prima base cinese in Africa è apparsa proprio a Gibuti, ma, di norma, le aree di operatività coincidono con le aree di interesse commerciale cinese, in cui agiscono compagnie militari private, come la “DeWe Security Service Group”.
In rapida crescita la presenza di Pechino sul mercato africano delle armi, in cui occupa un buon 20%, in estensione.
Per parte sua, la Russia basa la propria interazione coi paesi africani principalmente sulla cooperazione tecnico-militare; ha accordi con oltre trenta paesi, curando una rete di centri tecnici attraverso Rosoboroneksport, l’ente per l’export militare, il cui direttore, Aleksandr Mikheev, dice che a partire dal 2000 il volume degli scambi con l’Africa è cresciuto di molte volte.
43 paesi sono oggi partner di Rosoboroneksport, in particolare per elicotteri, sistemi missilistici e artiglierie, corazzati e blindati, armi leggere, veicoli, sistemi di difesa aerea.
Sul piano militare, sembra infine risolta, positivamente per Mosca, la questione della base navale (ufficialmente: Punkt material’no-tekhničeskogo obespečenija, MTO – Centro logistico) in Sudan, sul mar Rosso.
Comunque, la presenza russa si sta espandendo principalmente in tre direzioni: prima, con l’export di fertilizzanti, grano, metallurgia e armi; seconda, gli investimenti nei settori geologico, petrolifero, di gas, uranio, bauxite, diamanti, ferro e altri minerali.
La terza è quella delle società high-tech, tecnico-finanziarie e mediche. E mentre in Russia frequentano università e Istituti circa 35.000 studenti africani, centri culturali russi operano in Sudan, Mali, Egitto, Algeria.
«Abbiamo tre principali concorrenti nel continente», dice il direttore dell’Istituto per Asia e Africa dell’Università di Mosca, Aleksej Maslov; si tratta di «USA, Cina e UE. La RPC, ad esempio, investe nei porti e nelle infrastrutture portuali africane. È impossibile oggi superare Cina e USA; dobbiamo però rafforzare la nostra presenza nel continente. Dobbiamo promuovere un’agenda postcoloniale come alternativa ai nostri concorrenti e inserirci nei mercati della regione soprattutto con le medie imprese».
Nonostante che Mosca e Pechino, afferma Maslov, «non siano in competizione tra loro, è però possibile la concorrenza economica sui mercati del continente».
Insomma, come ha dichiarato a Jeune Afrique Abdoul Aziz Boubakari, ex segretario esecutivo del Consiglio nazionale del lavoro nigeriano a proposito del colpo di stato in Niger, «I mercati sono aperti, nessuna azienda ha chiuso, a Niamey è tutto come al solito». Gli affari vanno avanti.
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