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12/07/2023

Il premio Nobel Giorgio Parisi promuove una nuova architettura di sicurezza globale

In vacanza in una località altoatesina e ospite in una struttura dove aveva già soggiornato un altro fisico di fama mondiale come Max Planck, il premio Nobel Giorgio Parisi continua a dire la sua sulla guerra in Ucraina. E la sua opinione è di ampio respiro e proiettata al futuro.

Continua a dire la sua perché si è espresso spesso sull’attuale situazione di tensione internazionale, con una visione lucida e radicata nella realtà che ha davanti. Nell’ottobre 2022 aveva già accennato alla necessità di un trattato che proibisse l’uso di ordigni atomici.

Lo scienziato ricordava che il ruolo svolto dalla sua categoria è sempre stato “quello di cercare di fare dei ponti”. Lo ha ribadito anche nel maggio scorso, quando in una lectio magistralis all’Università di Bari ha legato scienza e pace in un percorso che ci porti al disarmo nucleare.

Ma non si era fermato a questa dichiarazione di principio, che spesso si sente anche sulla bocca dei più guerrafondai. Aveva indicato anche un possibile punto di partenza per incamminarsi su questa via: “aprendo un negoziato globale, immaginando una fascia denuclearizzata in Europa e un accordo per il disarmo”.

“Se il discorso rimane solamente sull’Ucraina, è difficile che ci possa essere un accordo”, è quel che aveva già detto a un’intervista a La Repubblica, in occasione dell’anniversario dell’intervento russo.

Il riferimento storico è rimasto sempre la crisi dei missili a Cuba nel 1962.

Ricordiamo come nel 1961, appena dopo la rivoluzione, i servizi statunitensi avevano cercato di rovesciare il governo di Castro con l’invasione della Baia dei Porci. Quando l’URSS installò dunque dei missili sull’isola, lo stallo fu risolto solo guardando al di là dei Caraibi.

Fu trattando su un’architettura di sicurezza condivisa, riguardante diversi quadranti del pianeta (le Antille, Italia e Turchia), che si scongiurò il disastro nucleare. Serve la stessa “saggezza di Kennedy e Krusciov” dice Parisi, e lo ha ribadito anche dall’Alto Adige.

“È difficile capire qual è la probabilità, ma stiamo andando in una direzione assolutamente sbagliata” e finché si parla solo di Ucraina “o vince uno o vince l’altro”. I più strenui difensori del disordine euroatlantista diranno che la Russia va infatti sconfitta, continuando ad alimentare l’escalation.

In molti diranno sicuramente che Parisi è un filo-putiniano, perché la crisi di Cuba è stata citata anche da Lavrov per spiegare le preoccupazioni sulla sicurezza che muovono il Cremlino.

Potrebbe essere persino detto che una nuova governance globale è quella evocata dal patriarca moscovita Kirill in una recente visita di Matteo Maria Zuppi, presidente della CEI.

Sentiremo certamente dire che il paragone con il 1962 è fuori luogo, perché qui ci troviamo di fronte a un’invasione frutto di mire imperiali. Dimentichi che la questione ucraina va avanti come un braccio di ferro con l’Occidente sin dal 2014, col golpe di Euromaidan e lo scoppio della guerra in Donbass.

Sono valutazioni con lo stesso valore di quelle che paragonavano un accordo con Mosca alla Conferenza di Monaco. Ovvero nessuno, dato che in quel vertice le cosiddette «democrazie» smembrarono paesi, regalandone pezzi a Hitler, e invece un accordo sarebbe servito proprio a scongiurare l’annessione di altre zone ucraine, cosa che è poi effettivamente avvenuta.

Insomma, il Nobel descrive solamente le relazioni internazionali così come funzionano. Un trentennio di predominio occidentale, imposto anche con la forza della NATO, hanno fatto passare il messaggio che Washington e Bruxelles hanno diritto a fare quel che vogliono, ma persino think tanks dei nostri paesi tengono posizioni molto più equilibrate.

Ad esempio, un articolo pubblicato lo scorso dicembre sul sito dell’Istituto Analisi Relazioni Internazionali proprio sul tema della guerra in Ucraina e dei missili cubani, parla di una “visione, ormai obsoleta, di una influenza euro-americana”. Stati Uniti e Unione Europea devono comprendere che “è arrivato il momento di trattare questi Stati emergenti come dei loro pari”.

Intanto, Parisi è stato tra gli estensori, insieme ad altri 30 premi Nobel, di un appello presentato in Vaticano a giugno, dal titolo “Mai più la guerra, basta armi nucleari, no alle violenze di qualsiasi natura e all’uso manipolativo di tecnologie e intelligenza artificiale”. Santa Sede che si è mossa più volte verso l’ipotesi di una trattativa.

Che tutti questi soggetti siano filo-putiniani, o siano semplicemente attenti osservatori del mondo che vira verso il multipolarismo?

E non sono disposti a decretare l’estinzione dell’umanità per mantenere il privilegio delle rapaci multinazionali euroatlantiche, ma credano nella possibilità della pace attraverso, appunto, una nuova e condivisa architettura di sicurezza globale?

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