Gli ultimi dati ISTAT su inflazione e prezzi sono stati elaborati dall’Unione nazionale dei consumatori, e i risultati sono un atto d’accusa verso il mercato che continua a impoverirci. Rispetto al giugno 2022, il costo dei prodotti è aumentato in media dell’11,2%, con picchi per cibi e bevande.
L’inflazione ha rallentato, in particolare per la flessione dei prezzi dei beni energetici non regolamentati, anche se il dato preliminare per lo scorso mese segna comunque un +6,4% su base annua. L’impatto è ancora forte sui nostri risparmi, ma si tratta comunque di un 4% in meno nel primo semestre 2023.
Nello stesso periodo, tuttavia, non tutti i prezzi hanno seguito la stessa dinamica, e ciò vale soprattutto per i beni alimentari di consumo quotidiano: olio, riso, zucchero che ha toccato il record del +46,6%. Il «carrello della spesa» nei primi sei mesi del 2023 è passato da un aumento su base annua del 12,6% a uno del 10,7%.
Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale dei consumatori, ha sottolineato che in media ogni famiglia spende 1.389 euro in più all’anno, e a subire maggiormente gli aumenti sono i nuclei più numerosi. Dona e altre associazioni come l’Adiconsum puntano il dito contro gli speculatori che si sono approfittati prima del Covid, poi della guerra in Ucraina e dell’alluvione in Romagna.
L’impatto di questa situazione non si fa sentire solo sulle nostre tasche, ma anche sulla nostra salute. È la Coldiretti a dirci che in Italia si sono spesi quasi 4 miliardi in più per mangiare, ma sono diminuite le quantità acquistate, mentre oltre 3 milioni di persone sono dovute ricorrere alle mense o ai pacchi alimentari.
A fine giugno Roberto Rustichelli, al vertice dell’Antitrust, ha presentato in Senato la relazione sull’attività svolta nel corso del 2022, e si è soffermato anch’egli sull’inflazione. Essa “colpisce i bisognosi più dei ricchi, riduce il valore dei risparmi e pesa particolarmente sui lavoratori a reddito fisso”.
Le sue parole sono state un vero macigno: “per il 20% delle famiglie meno abbienti l’inflazione effettiva arriva a essere quasi il doppio di quella delle famiglie più ricche”. Oltre la metà dei nuclei del paese ha visto erodersi in maniera sostanziale i propri risparmi.
Non si è scordato poi di dire quel che già la Banca d’Italia aveva evidenziato, ovvero che all’aumento dei tassi di prestito non se ne è avuto uno simmetrico dei tassi riconosciuti ai depositanti. Persino la Lagarde ha invitato a risolvere tale distorsione.
Il ministro Urso, in un’intervista a Il Messaggero, ha detto che “il governo vuole tutelare le fasce più deboli della popolazione“. Eppure, una delle misure che ha rivendicato andare in questa direzione è stata il taglio al cuneo fiscale, già ampiamente dimostrato essere più un regalo alle aziende che altro.
Il governo non dice e non fa davvero nulla per porre un freno alla speculazione sui prezzi, mentre i profitti che salgano sono la componente principale all’origine del gonfiarsi dell’inflazione. I costi li pagano i settori popolari, mentre la ministra del Lavoro, Marina Calderone, ha già chiuso le porte al salario minimo.
Serve sviluppare una reale opposizione sociale e politica, che sostenga nelle piazze un salario minimo ad almeno 10 euro l'ora. Indicizzato al costo della vita, come nella proposta presentata da Unione Popolare e non come in quella opportunistica delle finte opposizioni parlamentari.
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