Le iniziative di solidarietà con il popolo palestinese si susseguono in queste settimane anche in Catalunya, a cominciare dalla manifestazione che il 21 ottobre ha attraversato le strade di Barcellona e che ha riportato alla superficie il dibattito contro la guerra, negli utimi anni sommerso dalla propaganda targata NATO sull’Ucraina.
Ben 70.000 persone sono scese in piazza a fianco della comunità palestinese, al cui appello ha risposto un vastissimo arcipelago di collettivi e partiti, uniti dallo slogan «fermiamo il genocidio in Palestina».
Tra le rivendicazioni dei manifestanti, la fine della complicità delle istituzioni spagnole e catalane con Israele: se è vero che la Generalitat considera lo stato ebraico come una zona strategica per le imprese, è altrettanto vero che il commercio d’armi tra Israele e la Spagna è a dir poco fiorente.
Secondo i ricercatori del Centre Delàs d’Estudis per la Pau, lo stato spagnolo ha venduto a Israele materiale militare per un totale di 139,5 milioni di euro negli ultimi 20 anni.
Sebbene vendere armi al governo israeliano significhi vendere armi per reprimere la popolazione palestinese, a detta del Centre Delàs è ancora più grave il dato sulle importazioni: nel solo 2017, l’ultimo anno per il quale si dispone di cifre relativamente certe, la Spagna ha comprato armi per 10,2 milioni di euro dallo stato ebraico, secondo i dati del Ministero del Commercio.
Secondo il Ministero della Difesa la cifra relativa allo stesso anno sale invece fino a 29,1 milioni di euro. Nonostante la discrepanza dei dati forniti dai due ministeri, è evidente che la Spagna compra molte più armi di quelle che acquista da Israele, contribuendo così in modo rilevante a finanziare la costosa occupazione dei territori.
Secondo il Centre Delàs è proprio il successo di queste esportazioni che rende economicamente sostenibile l’occupazione militare della Palestina: scrivono i ricercatori che «se produrre un tank costa 10 milioni di euro, forse fabbricarne 10 costa 50 milioni di euro, con un costo unitario che si riduce alla metà se Israele riesce a esportare i 9 tank in eccesso».
Per raggiungere questo obbiettivo Israele pubblicizza i propri prodotti militari con lo slogan provati in combattimento, attraendo così sia i compratori della Unione Europea (come nel caso della Spagna) che quelli di altre aree.
“Provati in combattimento”, cioè provati sulla pelle dei palestinesi dato che, come afferma ancora il Centre Delàs, «da anni la striscia di Gaza si è convertita in un laboratorio di prova per il materiale militare israeliano. Così viene detto apertamente dalle autorità israeliane e così viene pubblicizzato senza giri di parole dalle industrie che vendono questi prodotti».
“Israele assassina, l’Europa patrocina” è uno degli slogan che si sono ascoltati in piazza durante lo sciopero degli studenti del 26 ottobre, che ha mobilitato centinaia di giovani a Barcellona, Girona, Tarragona, València, Alacant e altri centri minori dei Països Catalans.
Il 29 ottobre nuove iniziative si sono svolte a València e a Barcellona, segno che il racconto dei vari governi e dei principali mezzi d’informazione non è riuscito a silenziare l’indignazione suscitata dall’operato di Israele.
A València la manifestazione (già la quarta dal 7 ottobre) è stata convocata dal BDS País Valencià e dalla comunità palestinese: in un comunicato l’organizzazione afferma che tutto ciò che accade oggi «è la conseguenza di 75 anni di colonialismo, razzismo, pulizia etnica e apartheid sionista israeliana» in un momento in cui «il dislivello tra le due parti è abissale».
Contemporaneamente si è svolto un presidio (circa 1.200 persone) nella centralissima piazza Sant Jaume di Barcellona per denuciare gli attacchi che sta subendo Gaza e chiedere un immediato cessate il fuoco. Iniziative simili si sono svolte nella stessa giornata anche a Palma e Maó (nelle Isole Baleari).
La sensibilità delle piazze però non rispecchia quella delle istituzioni: la camera dell’autonomia catalana (il cosiddetto Parlamento) ha approvato il 26 ottobre una dichiarazione (con i voti del Partit dels Socialistes de Catalunya, del Partit Popular, di Ciutadans e di Junts per Catalunya) nella quale si sostiene il diritto di Israele a difendersi, senza peraltro criticarne l’operato militare.
Esquerra Republicana de Catalunya, Catalunya en Comú e la Candidatura d’Unitat Popular hanno protestato invano, votando contro e abbandonando l’aula nel momento in cui è stata letta la dichiarazione. La CUP ha inoltre promosso una campagna di sensibilizzazione in ogni comune del paese.
La mozione di solidarietà proposta nei consigli comunali afferma tra l’altro che, pur rammaricandosi di tutte le morti, «per mettere fine a questa spirale di violenza bisogna individuare nello stato coloniale di Israele, fautore dell’apartheid, il fuoco iniziale di ogni violenza e di ogni oppressione. Questo non è un conflitto tra uguali, bensí un conflitto tra una potenza coloniale e militare e un popolo che ha il diritto di proteggersi davanti agli attacchi sistematici che subisce dal 1948».
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