di Francesco Dall'Aglio
Mi devo limitare a poche riflessioni sparse e frettolose sull’intervista di Carlson – o sul discorso di Putin, a scelta. È durato due ore, l’ho ascoltato una volta sola e devo rivedermi alcuni passaggi (l’ho commentato “in diretta”, anche se ovviamente non era una diretta, sul mio canale Telegram che è questo).
Non è stato un discorso rivoluzionario o sconvolgente e non sono state rivelati incredibili segreti: diciamo che una serie di fili sono stati annodati in un filo unico.
Bisogna però immediatamente considerare che il pubblico di questa intervista è il pubblico medio statunitense, lato sensu occidentale, che le parole di Putin o non le ha mai sentite o le ha lette in sintesi partigiane a al quale lo stesso Putin è stato presentato come un sanguinario tiranno del tutto irrazionale.
Ora certamente si può non credere a una sola parola dei suoi discorsi di ieri, ma sicuramente l’impressione che si ricava è quella di una persona razionale, determinata e competente, in grado di citare a memoria fatti, date e cifre spaziando dalla storia medievale ai rapporti commerciali tra i membri del BRICS+.
Un contrasto francamente imbarazzante con i farfugliamenti del povero Biden (che anche ieri ha confuso Messico ed Egitto) o le banalità dei leader europei – al di là, ripeto, del credere o meno alle loro rispettive affermazioni.
E questo era il primo punto che interessava a Putin: accreditarsi come un leader razionale col quale si può discutere.
Il secondo punto che gli interessava era contrastare l’aggettivo che sempre viene utilizzato dai media occidentali per descrivere l’invasione dell’Ucraina: “unprovoked”.
Le lunghissime esposizioni di vari momenti storici, sui quali già stanno fiorendo i meme, gli sono servite a presentare le terre occupate come storicamente russe, la nazionalità ucraina come una costruzione artificiale eterodiretta (prima dalla Polonia poi dall’Occidente), e soprattutto l’invasione come ultimo anello di una catena che parte dal 1991 e passa per le espansioni della NATO, la crisi del 1999 in Jugoslavia (la prima incrinatura forte dei rapporti tra Russia e USA), l’appoggio delle agenzie statunitensi al separatismo nel Caucaso, il problema enorme e sempre poco citato della frattura Russia/USA sullo scudo antimissile NATO in Europa centro-orientale negli anni 2000 (formalmente ideato in contrasto all’Iran), e naturalmente le ingerenze statunitensi nella vita politica ucraina da prima del 2013-2014 (non per farmi pubblicità, ma un po’ di queste cose le ho scritte nel libro).
È stata una esposizione sicuramente di parte, che nei concetti generali presenta alcune omissioni e alcune esagerazioni (dire che la Polonia in pratica si è cercata l’invasione tedesca del 1939 è un po’ eccessivo) ma anche parecchie cose quantomeno difendibili, se non “vere”.
È vero che la Polonia ha collaborato con Hitler per prendersi un pezzetto di Cecoslovacchia.
È vero che, aprendo al trattato commerciale con l’Unione Europea, Yanukovich aveva dovuto fare i conti col fatto che avrebbe dovuto anche chiudere la frontiere con la Russia, che in quel momento era il primo partner commerciale dell’Ucraina, ed è per questo che ha preso tempo, non perché fosse un pupazzo manovrato dalla Russia; è vero che lo scudo antimissile NATO è stato un problema gravissimo nei rapporti tra Russia e USA (qui non se ne parla MAI).
La domanda fatta direttamente a Clinton di entrare nella NATO, ovviamente, era un modo per capire le intenzioni USA: visto che ora abbiamo buoni rapporti e la NATO non è contro di noi ma è una forza di pace mondiale, possiamo entrare anche noi?
La risposta di Clinton, che “non era il caso”, ha chiarito questa ambiguità. Non che ce ne fosse bisogno, naturalmente – e non che la Russia avesse davvero intenzione di entrare nella NATO.
Enfasi sulla questione del nazismo, ovviamente. A Carlson che gli dice che Hitler è morto da un pezzo, risponde che però un veterano delle SS è stato applaudito al Parlamento canadese e soprattutto è stato applaudito da Zelensky, e quindi quell’ideologia non è affatto morta e sepolta.
Ovviamente negazione categorica di qualsiasi intenzione di invadere i paesi NATO, che siano i baltici o la Polonia, e insistenza sull’idea dei negoziati con molta enfasi sui risultati che erano stati ottenuti a Istanbul e che, per colpa di Johnson, sono stati rigettati (e questo è un salvagente sia per gli USA che per l’Ucraina stessa. L’accordo c’era, avevamo risolto...).
Altrettanta enfasi sul fatto che il mondo e i rapporti tra gli stati sono cambiati, e che gli USA devono rendersene conto, che l’avanzata della Cina è inarrestabile e non problematica, che l’utilizzo del dollaro come leva dell’espansionismo statunitense è diventato controproducente per gli stessi USA ora che in tanti lo stanno abbandonando, emergere di nuove dinamiche commerciali, eccetera.
Invece niente della propaganda più divisiva (o becera, se preferite): “satanismo”, “gender”, biolab e tutta questa specie di cose. Pochissimi riferimenti ai valori tradizionali, anche se Carlson ha provato a tirarlo in mezzo con domande para-religiose.
Quindi, un leader pacato che vorrebbe risolvere per via diplomatica questa sgradevole faccenda, ovviamente facendo in modo che le richieste russe, che non cambiano, siano accolte.
Ho scritto molto di fretta e me ne scuso, ma appunto sono in partenza. Intanto sarà anche interessante vedere, al di là dell’isteria che vedo diffusa nei nostri media, come sarà accolto questo discorso, e che conseguenze potrà avere.
Non c’è niente di particolarmente nuovo per chi segua costantemente ciò che Putin dice: ma appunto, in occidente è, in linea generale, difficile farlo. E uno invece i propri nemici li deve sempre ascoltare, e con molta attenzione.
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