Il risultato delle elezioni europee ci restituisce un quadro di sostanziale stabilità dentro quello che negli anni abbiamo definito come il polo imperialista europeo anche se, inevitabilmente vista la sua natura, sta spostando il suo baricentro verso destra.
Una stabilità alla quale la borghesia europea non intende rinunciare in vista dell’acutizzarsi della competizione globale con i paesi emergenti. Il problema, semmai, è l’avventurismo delle classi dirigenti europee oggi messe a disposizione dal mercato politico.
Democristiani e socialdemocratici (i primi più che i secondi) rimangono infatti i gruppi parlamentari principali del Parlamento europeo e dunque il punto di equilibrio inevitabile su cui sarà costituita la nuova Commissione europea.
La crescita della destra in Germania e Francia, e il consolidamento di quella italiana, ha molto a che fare con il forte disagio economico-sociale in quei due paesi. In parte sembra aver pesato anche il clima di guerra e le fughe in avanti sul piano bellicista di Scholz e Macron.
L'ex Germania dell’Est ha votato in massa per la destra di AfD – contrastata solo dal buon risultato elettorale del nuovo partito di sinistra di Sara Wagenkcnecht (che ha preso il 13% proprio nei lander dell’est) che ha letteralmente – e giustamente – affondato la Linke travolta dalle sue ambiguità sulla guerra.
In Germania, Scholz ha incassato la peggiore sconfitta dei socialdemocratici e anche dei suoi alleati di governo (Verdi e Liberali) ma, al contrario di Macron, ha scelto la strada del finto tonto e intende proseguire il suo mandato di cancelliere.
La Francia profonda ha votato per il partito della Le Pen. Mentre la sinistra di France Insoumise ancora una volta prende voti nelle banlieu e tra i giovani.
Ma il vero capolavoro di avventurismo politico non lo ha fatto la destra ma il “liberale” Macron, il quale ha convocato su due piedi le elezioni anticipate a fine giugno con il rischio concreto di consegnare il governo al partito della Le Pen e ai suoi alleati di destra.
Siamo decisamente in presenza di quell’avventurismo delle classi dirigenti indicato da Gramsci, cosa che abbiamo già visto all’opera sul terreno della guerra contro la Russia.
La sinistra (socialisti, Melenchon, Verdi e altri) per le elezioni di fine giugno ha chiamato alla costituzione del Fronte Popolare contro la Le Pen e i suoi alleati, mentre sono già state convocate manifestazioni di piazza, sia sindacali che politiche, contro il rischio di un governo di destra.
Va sottolineato il fatto che sia la Francia che la Germania, alle prese con una fortissima crisi sociale e recessione economica, abbiano affidato all’economia di guerra le possibilità della ripresa economica. Un segnale inquietante.
Va segnalato poi l’importante risultato del Kke, il Partito Comunista di Grecia, che ha ottenuto il 9,2%, e quello del Partito Comunista Portoghese che con la coalizione storica CDU ha preso il 4,1 eleggendo un europarlamentare: “un risultato raggiunto in un contesto di prolungata campagna anticomunista, di pregiudizi animati e di sminuire la candidatura della CDU, presentata come la forza che non avrebbe eletto” scrivono in una nota i comunisti portoghesi.
In Europa l’astensionismo ha ormai assunto dimensioni di massa nei paesi euromediterranei e nei paesi dell’Est, mentre ancora non dilaga nei paesi centrali (Francia, Germania, Belgio).
Le elezioni in Italia
In Italia l’astensionismo ha superato ormai il 50%. Sulla base di questo dato, che nessuno si prende la briga di analizzare seriamente, il partito di Giorgia Meloni è cresciuto in percentuale ma ha perso quasi 700mila voti rispetto alle politiche del 2022. Non sono bruscolini.
La scoppola più pesante l’ha presa il M5S che ha perso quasi 2 milioni di voti, mantenendo però il 10%, un dato di cui sia il PD che gli altri dovranno tenere conto. Secondo l’Istituto Cattaneo i voti del M5S non sono stati assorbiti, se non in misura limitata, dal PD. Sono invece rifluiti in larga parte verso l’astensione.
Il PD della Schlein è andato bene perché ha funzionato il compromesso tra il partito degli amministratori (i “cacicchi” che però portano i voti) e quello più attento al sociale sul quale la Schlein ha inteso caratterizzare il nuovo corso. Il PD guadagna un po’ di voti e riduce significativamente le distanze dalla Meloni.
Secondo l’Istituto Cattaneo in questa elezione si nota “una quota superiore a quelle normalmente registrate in passato di flussi incrociati e di apporti provenienti da diversi affluenti. Con maggiore regolarità, troviamo flussi da FI e Lega verso Fratelli d’Italia, così come da M5S e AVS verso il PD. Entrambi i partiti maggiori, inoltre, ma soprattutto FdI, prendono dall’area del mai nato Terzo polo di Renzi e Calenda, logorato dalle sue divisioni interne”.
La vera sorpresa è stato il risultato di Alleanza Verdi Sinistra. Un risultato spiegabile con alcune candidature azzeccate come quelle di Ilaria Salis e Mimmo Lucano, ma che ha anche intercettato una parte del voto astensionista “di movimento” e in uscita del M5S.
Un esempio di questo è stato Potere al Popolo che ha dato indicazione di voto per Ilaria Salis, ma anche aree antagoniste e astensioniste come quella di Infoaut che avevano dato indicazione questa volta di votare per la Salis.
Rifondazione Comunista ha visto fallire con la lista Pace Terra Dignità l’ennesima operazione elettorale, ma dalle dichiarazioni del suo segretario sembra voler utilizzare proprio Santoro come veicolo per interloquire e integrarsi nel prossimo futuro nel campo largo del centro-sinistra. Da sola non era più credibile, con la copertura di Santoro ritiene di poter avere qualche chance.
Occorre infine prendere atto che i settori popolari – proletari, periferie, lavoratori e lavoratrici a basso reddito etc. – a votare non ci vanno più e che l’opportunismo del M5S ha ormai disinnescato, disperso e disilluso anche quello che era stato il “voto per vendetta” degli anni scorsi.
Vota la metà delle persone che avrebbero diritto a farlo e ogni elezione ormai è un passaggio a se. Tolti quelli che l’Istituto Cattaneo definisce gli elettori stabili dei grandi partiti, quello che rimane è fluttuante dentro i rispettivi bacini di centro-destra e centro-sinistra.
Ma le caratteristiche di classe di chi va ancora a votare sono ormai ben definite e definibili: ceti medi (alti e bassi) e borghesia.
In qualche modo stiamo assistendo alla fine de facto del suffragio universale, un obiettivo auspicato in questi anni dai liberali agitando lo spauracchio del populismo.
Su questo sono utili i due grafici sul nesso tra condizione sociale e voto elettorale elaborati dal Cise-Luiss.
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