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13/03/2025

Più dazi per tutti

Che guerra sia! Commerciale, ma non meno problematica di quella guerreggiata. Non scorrerà il sangue, ma di certo molti dovranno stringere la cinghia. E anche di parecchio.

L’Unione Europea ha reagito all’imposizione di dazi da parte statunitense, per ora su acciaio e alluminio, per un totale di 25 miliardi dollari. E naturalmente l’Unione Europea ha dovuto annunciare misure analoghe su un paniere di merci equivalente in valore.

A partire dal 1° aprile, la UE ripristinerà i dazi per 8 miliardi su prodotti iconici americani come le motociclette Harley-Davidson, il bourbon e i jeans. E, da metà aprile, stabilirà ulteriori contromisure per 18 miliardi di euro di nuovi dazi statunitensi, previa approvazione degli Stati membri.

Ma Trump ha poi annunciato l’introduzione di ulteriori dazi a partire da aprile in risposta a politiche dei partner commerciali considerate ostacoli per il commercio statunitense, tra cui l’imposta sul valore aggiunto (Iva) europea. Le nuove misure colpiranno settori specifici, tra cui l’industria automobilistica, che già se la sta passando molto male (tanto da far ripensare al limite del 2035 per l’eliminazione dei motori endotermici sulle nuove immatricolazioni).

Contemporaneamente, nel corso della stessa giornata, gli Usa hanno prima annunciato e poi ritirato la minaccia di raddoppiare (dal 25 al 50%) i dazi su acciaio e alluminio provenienti dal Canada. Lo Stato dell’Ontario (anche il Canada è una federazione, come gli Usa) ha a sua volta annullato gli aumenti tariffari sull’energia elettrica esportata verso gli Stati Uniti.

Ma non è stata affatto imboccata la via della “pace”, perché Trump ha minacciato un ulteriore aumento dei dazi sulle automobili dal 2 aprile, di dimensioni tali che questa industria potrebbe «chiudere definitivamente» la produzione in Canada.

I dazi su acciaio e alluminio colpiscono anche Canada e Messico, ma è chiaro che i raporti tra le due sponde dell’Atlantico non sono già più quelli di prima. E parliamo di una relazione commerciale da 1,7 trilioni di dollari che è stata fondamentale per la relativa “prosperità” dell’Occidente nel dopoguerra.

Ma gli Stati Uniti sono un paese da decenni avviato sulla strada delle deindustrializzazione, la cui origine non va cercata nelle “politiche doganali ingiuste” dei partner, come amano dire gli imbecilli del “Maga” (Make America great again) che ora dominano a Washington, ma alla delocalizzazione selvaggia delle multinazionali Usa, attirate come mosche dal miele di salari più basi nei paesi in via di sviluppo.

La Commissione ha per il momento lasciato aperta la porta a un accordo con Trump, affermando che “rimane pronta a lavorare con l’amministrazione statunitense per trovare una soluzione negoziata” e aggiungendo che le sue misure “possono essere revocate in qualsiasi momento se tale soluzione venisse trovata”.

Ma è abbastanza chiaro che le eventuali “concessioni” di Bruxelles dovranno essere molto importanti, tali comunque da arrecare danni consistenti all’economia continentale, fra l’altro irresponsabilmente destabilizzata dalle cosiddette “sanzioni” contro Mosca e Pechino, che hanno danneggiato soltanto il Vecchio Continente.

Lunedì, il commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič, aveva dichiarato che la UE è pronta “a proteggere le sue imprese, lavoratori e consumatori”. Perché “Non possiamo più contare sugli Stati Uniti  è una nuova realtà. Quindi dobbiamo essere duri nel reagire, è l’unica medicina”.

Il principale esportatore di acciaio verso gli Usa è naturalmente la Germania, seguita da Romania, Olanda, Italia, Austria ed altri paesi con quote minori. Ma il Canada da solo esporta acciaio verso gli Usa per quasi il 50% in più di tutta la UE, ed anche il Brasile supera questa quota, anche se di poco.

Il terremoto è dunque tutto all’interno delle relazioni tra “alleati” occidentali. Il resto del mondo, anche se viene comunque interessato dalle “mattane” trumpiane, viaggia cercando alternative più tranquille. Il mondo dei Brics+, anche per questo, va crescendo di numero, consistenza, autonomia, garantendo se non altro rapporti meno squilibrati e più orientati al reciproco vantaggio.

La crisi dell’Occidente neoliberista – e/o “ordoliberista”, visto che la UE è costruita ad immagine, somiglianza e interessi della Germania – si va invece introvertendo all’interno. È piuttosto chiaro che la “guerra dei dazi reciproci”, tra i tanti effetti, avrà quello di interrompere o almeno rendere molto difficoltoso il flusso delle merci (e delle componenti) lungo le storiche catene del valore che hanno legato le due sponde dell’Atlantico.

C’è naturalmente da augurarsi – e lavorare consapevolmente – affinché le difficoltà economiche generino movimenti sociali di grandi dimensioni e una “visione del mondo” che superi definitivamente il piccolo mondo antico dominato dagli “States”.

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