C'è una voce che torna a spaventare la diplomazia egiziana. Un vecchio
rumor messo a tacere nel 2003 è ora diventato realtà. Israele allunga le
mani sull'Africa e torna alla ribalta formalizzando nuovamente la
richiesta di diventare uno stato osservatore dell'Unione africana (Ua).
Lo stato ebraico mira al bacino del Nilo, ma con lo sguardo protesto
all'Iran.
Egitto in panchina
A luglio il Cairo è stato sospeso dall'Ua che ha accusato i militari di
essere dei golpisti. Da allora la sua posizione nel continente nero si è
indebolita. Le ambasciate egiziane sono state ammonite di fare il
possibile per rafforzare le relazioni con i paesi africani, ma questi
non sembrano farsi abbindolare facilmente.
A fare incrinare i rapporti è stata anche una delle ultime mosse
compiute dal presidente Mohammed Mursi. Prima della sua deposizione,
questo era infatti arrivato ai ferri corti con l'Etiopia. Il casus
belli? L'avvio, a fine maggio, dei lavori per la costruzione di una diga
che devierebbe le acque del Nilo blu, riducendone in misura sostanziale
il flusso verso gli altri nove paesi attraversati dal Nilo, in primis
Egitto e Sudan.
Anche se comuni preoccupazioni legate alle risorse idriche hanno
storicamente tenuto insieme il Cairo e Khartoum, il Sudan si sta sempre
più avvicinando ad Addis Abeba. Questo è accaduto soprattutto dopo la
nascita, nel 2011, del Sud Sudan. Da allora il Cairo non è riuscito a
sostenere Khartoum nelle negoziazioni con il Sud Sudan sulla spartizione
delle acque del Nilo e delle relative ricchezze.
La possibile entrata di Israele nel club degli africani - in agenda per
il 2014 e votata da Etiopia, Nigeria ed Uganda - ha esasperato le
preoccupazioni dell'Egitto che ha mobilitato anche un quartetto di
ministri diretto in Congo, Uganda, Burundi. Una missione con un
messaggio chiaro da diffondere: l'Egitto appartiene al continente
africano.
Qualora Tel Aviv, dando uno schiaffo morale a il Cairo, diventasse un
osservatore dell'Ua, potrebbe influenzarne le decisioni, barcamenandosi
tra la carota dei sussidi e il bastone delle pressioni sui singoli
stati, limitando ulteriormente la libertà d'azione de il Cairo in Africa
attraverso un ribilanciamento del peso geopolitico egiziano nel
continente.
Per cercare di far sentire la sua voce in campo, l'Egitto fa perno sulla
Lega Araba, cercando di arrivare a una posizione comune che rifiuti la
candidatura israeliana. Non è detto però che i membri di questo circolo
siano pronti ad appoggiarlo. Qatar e Marocco hanno vari interessi in
Africa e in alcuni di questi Israele ha già messo lo zampino.
Sbagliato quindi pensare che l'Egitto e i suoi interessi vengano difesi
per procura. Giocando sul tempo, Israele potrebbe riuscire ad aver
maggior margine di manovra per imporre i suoi.
Non solo pietre preziose
L'Africa è da anni un interesse geostrategico per Israele. Oltre alla
questione del commercio e delle risorse naturali, è una pedina
importante nella scacchiera della difesa. Basta pensare alla vendita di
armamenti, alla guerra al fondamentalismo e allo scambio di
intelligence.
In seguito alle rivolte arabe, il quadro si è ulteriormente complicato a
causa della proliferazione di armamenti libici - alcuni dei quali sono
appunto stati usati contro Israele - dell'aumento di tensioni nel Sinai
egiziano e del ritorno della minaccia islamista dal Sahel.
Negli anni '50 e '60, attraverso la cosiddetta 'strategia periferica',
Israele strinse importanti rapporti non solo con Turchia e Iran, ma
anche con Etiopia, Nigeria e - seppure di nascosto - Marocco. Tel Aviv
divenne un importante interlocutore per diversi paesi dell'Africa
subsahariana, attratti dall'esperienza israeliana di sviluppo e di
nation building in Palestina.
Tutto ciò iniziò a cambiare in seguito alle guerre arabo-israeliane del
1967 e 1973, quando a causa delle crescenti pressioni - in primis di
Egitto e Libia - diversi paesi africani interruppero i rapporti
diplomatici con Israele.
La diplomazia israeliana - che prima di allora manteneva buoni rapporti
con l'Organizzazione dell'unità africana (Oua), antenato dell'Ua,
partecipando spesso come osservatore - si trovò quindi tagliata fuori
dall'Africa dopo che Gheddafi impose il taglio dei rapporti con Tel Aviv
come condizione per il suo sostegno economico all'organo
intergovernativo africano.
Contenimento Iran
Israele torna a riaffacciarsi in Africa in seguito alla pace con
l'Egitto del '79, ma soprattutto negli anni '90 dopo i trattati di Oslo.
Ricordando che i palestinesi sono osservatori dell'Ua dallo scorso
maggio, lo stato ebraico torna oggi a chiedere l'adesione all'Unione,
forte dei rapporti diplomatici che intrattiene con più di quaranta dei
cinquantaquattro stati membri dell'Ua e facendo perno sugli stretti
legami politico-militari sviluppati con Etiopia, Nigeria e Kenya.
Non a caso durante l'attentato al centro commerciale Westgate, il governo di Nairobi ha chiesto aiuto a Israele.
Attraverso una maggiore presenza politica ed economica nel continente
africano, Israele mira anche ad arginare l'avanzata dell'Iran. Secondo
numerose fonti d'intelligence, infatti, il Sudan sarebbe diventato il
principale luogo di transito per gli aiuti militari iraniani diretti
verso i gruppi di resistenza palestinese residenti a Gaza.
Dal 2009 a oggi, l'aeronautica israeliana ha compiuto numerose sortite
contro il Sudan. L'ultima risale al 2012 e prese di mira una fabbrica di
armamenti nella capitale Khartoum.
La minaccia però non si limita solo al Sudan, e la penetrazione iraniana
si intravede anche nei crescenti contatti tra l'Iran, Hezbollah e i
diversi gruppi armati presenti attraverso il continente africano, in
primis gli al-Shabab in Somalia e il Boko Haram in Nigeria.
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