Seguendo il consiglio dell’esperto economista saudita, la preparazione è semplice e il caso Saudita lo dimostra. Dopo
una sanatoria durata sei mesi, il 4 novembre scorso il governo
dell’Arabia Saudita ha dichiarato un giro di vite contro i migranti
irregolari presenti nel paese, annunciando la deportazione di tutti
coloro che non avessero nel frattempo sanato la propria posizione.
L’effetto immediato di questo nuovo corso del governo saudita delle
migrazioni è stato una serie di raid e scontri che hanno portato alla
brutale uccisione di alcuni uomini provenienti dall’Etiopia e dal Sudan.
Sono stati proprio i migranti Etiopi a dare avvio alla rivolta contro
le politiche repressive e le deportazioni del governo che hanno portato
all’omicidio di un loro connazionale, scontrandosi con la polizia e la
polizia locale a Manfouha, quartiere povero di Riyadh. Nei giorni
successivi, le proteste si sono diffuse ad altre città, fino alle coste
del Mar Rosso. In questa situazione di estrema insicurezza, sembra che
23mila Etiopi, incluse donne e bambini, si siano consegnati alla
polizia. Le autorità hanno dichiarato che coloro che non possono
documentare il loro ingresso regolare nel paese saranno detenuti in
attesa di deportazione. Ecco il segreto di questa politica di lotta alla
disoccupazione, una ricetta che sembra non risentire dei confini
nazionali, che segue logiche globali. Deportare i migranti che sono
stati utili fino a qualche istante prima per essere sfruttati e sono ora
necessari alla concretizzazione della proposta di ridurre la
disoccupazione.
Sembra che l’Arabia saudita non abbia
risolto la questione già emersa con gli scioperi degli anni ‘50 dei
lavoratori impiegati nell’industria estrattiva, che avevano messo il
governo in allerta nei confronti dei pericoli di una forza lavoro locale
organizzata e concentrata in un settore economico vitale. In
quell’occasione il governo optò per una politica di importazione del
lavoro. Un lavoratore straniero, con un permesso di lavoro a breve
termine che può essere facilmente deportato, sembrava l’ideale. Ora però
lo straniero ha lo stesso problema che presentavano precedentemente i
locali, si rivolta, ha smesso di essere estraneo anni fa, ora è lì e non
se ne vuole andare per cui lotta contro le deportazioni di massa che lo
vedono coinvolto, perché sarà anche entrato illegalmente, ma per anni è stato usato costantemente.
Ora a quali lavoratori si rivolgerà il governo saudita? Tutti i
lavoratori sembrano rivoltarsi allo sfruttamento in nome di un profitto
mai visto. Prima o poi smettono di starci.
Così le politiche del lavoro del
governo saudita hanno istituzionalizzato con brutalità quella divisione
dei lavoratori necessaria a indebolire il conflitto, creando
lavoratori «eletti», privilegiati, da un lato e lavoratori migranti, di
serie b, dall’altro. Queste divisioni, esistenti anche in Italia e in
Europa ma mai apertamente dichiarate, sono la base su cui la
precarizzazione si giustifica e si estende. Ciò facendo credere e dando
corpo al fatto che ci sia sempre qualcuno «messo peggio». Ma è un gioco
al ribasso che nuoce a tutti i lavoratori, migranti e non. Il risultato
al momento è che 20mila scuole sono senza addetti alle pulizie, altre
senza i conducenti degli autobus, mancano gli spazzini, il 40% delle
piccole imprese di costruzione ha smesso di lavorare, senza contare la
serrata obbligata di decine di attività commerciali. Il risultato, in
altre parole, è che l’economia Saudita nel perseguire l’obiettivo di
incrementare l’occupazione dei lavoratori locali si sta anche
dimostrando completamente fondata sul lavoro migrante dei quasi dieci milioni di lavoratori che lì vivono da anni.
Spostandosi di qualche centinaio di chilometri, possiamo poi vedere quanto sta accadendo nel vicino Qatar,
dove già da ora sono presenti segni di rivolta da parte dei lavoratori
migranti venuti per costruire gli stadi che ospiteranno i Mondiali del
2022, su cui Amnesty ha già redatto un documento che ha dato vita a
diverse campagne contro lo sfruttamento del lavoro migrante. Ci vogliono grandi eventi per cogliere altri grandi eventi?
Lo sfruttamento del lavoro migrante non è certo apparso da qualche
mese. Chi regge le grandi industrie? Chi si occupa di servizi di cura?
Chi lavora nel settore edile? Il lavoro migrante è un evento ben più
mondiale di quanto possa esserlo una torneo di calcio e il suo
sfruttamento deve preoccupare tutti, eletti e non.
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