Decine di morti, quasi ogni giorno, eppure Paolo Scaroni, l'amministratore delegato dell'Eni guarda con ottimismo al futuro della Libia.
«La costruzione delle istituzioni libiche ha un percorso più lento di
quello che avevamo sperato ma sono relativamente ottimista», non a breve
termine, «tra un mese o tre mesi» ma «a medio termine», ha detto
Scaroni a margine del vertice italo-russo. Il cane a sei zampe, si sa,
guarda alla Libia con occhi (e interessi) ben diversi da quelli della
popolazione che quotidianamente deve fare i conti con le «eroiche
milizie della rivoluzione anti-Gheddafi» e che oggi dettano legge nelle
strade del Paese.
Ieri a Bengasi, la «capitale» dell'est della Libia, accogliendo l'appello alla «disobbedienza civile»
lanciato dai consiglieri comunali, gli uffici amministrativi e le
scuole sono rimasti chiusi, insieme a banche e negozi. A testimoniare la
richiesta di sicurezza della popolazione che chiede il ritiro delle
milizie armate dopo i sanguinosi combattimenti del giorno prima, con 14
morti e decine di feriti, tra l'esercito «regolare» e i jihadisti del
gruppo salafita Ansar al-Sharia. È il gruppo qaedista accusato
dell'attacco del settembre 2012 al consolato Usa in cui morirono quattro
americani, tra cui l'ambasciatore Chris Stevens.
L'Esercito è stato dispiegato nei quartieri più sensibili. Ma nessuno
si fa illusioni, le milizie sono forti e godono di appoggi ovunque,
grazie anche agli enormi interessi che genera la produzione del
petrolio. Ed inoltre chi spinge per la separazione di Bengasi da
Tripoli e per l'«indipendenza» della Cirenaica punta proprio sul caos
per velocizzare la frantumazione della Libia. Il governo di Ali Zeidan
prova a riprendere il controllo del Paese e intende integrare le milizie
nell'esercito regolare. Il tentativo ha dato finora scarsi risultati.
Nove
giorni fa miliziani di Misurata avevano ucciso decine di abitanti nella
stessa capitale Tripoli durante una manifestazione che chiedeva il
ritiro dei gruppi armati dalla città. E la violenza genera continue
emergenze sociali. Sarebbero più di 65 mila i rifugiati interni, in fuga
dagli attacchi o portati via dalle milizie. Il mese scorso Amnesty International ha denunciato che intere comunità, come gli abitanti di Tawargha o la tribù dei Mashashya di Sirte e Bani Walid,
sono soggette a rappresaglie, discriminazioni, torture ed esecuzioni
sommarie dalle milizie; tra gli abitanti di Tawargha ci sarebbero 1.300
scomparsi nel nulla. In molti casi i rapiti sono accusati di aver
sostenuto Gheddafi.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento