L'esercito governativo durante l'assedio di Qudsaya, roccaforte dei ribelli (Foto: SANA) |
Una decisione che cancella mesi di rifiuti: la Coalizione, federazione di molti dei gruppi di opposizione al regime di Damasco, riconosciuta lo scorso anno unico rappresentante legittimo del popolo siriano dalla comunità internazionale, ha boicottato per mesi la conferenza di pace, ponendo come precondizione indispensabile la cacciata di Assad dal potere (e da ultimo l'assenza di Teheran al tavolo del negoziato): sì al dialogo, ma senza il presidente.
Mosca e Washington, costrette pochi giorni fa ad annunciare la sospensione della conferenza, che avrebbe dovuto tenersi alla fine di novembre, hanno continuato a fare pressioni sulle opposizioni perché accettassero il compromesso di una transizione politica gestita dalla diplomazia. E ieri la Coalizione ha ceduto, probabilmente spinta al sì non dalle insistenze occidentali quanto piuttosto dalla perdita di credibilità all'esterno e dalla perdita di autorità all'interno: sono sempre più numerosi i gruppi di opposizione islamisti, vicini ad Al Qaeda e finanziati dai Paesi del Golfo, che hanno assunto il controllo di aree e villaggi siriani, a scapito dell'Esercito Libero Siriano e della Coalizione, sempre più marginalizzata.
Non solo: agli occhi della comunità internazionale la figura del presidente Assad ha assunto contorni ben diversi da quelli con cui era dipinto all'inizio della guerra civile. Assad ha accettato di presentare all'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche una lista dettagliata delle armi in possesso del regime e di smantellare entro un anno l'intero arsenale sotto la supervisione Onu. Concessioni importanti che hanno fatto perdere terreno alle opposizioni: mentre il presidente mostrava tutta la sua buona volontà, le opposizioni dicevano di no ad ogni possibilità di dialogo.
Da qui la decisione di fare un passo indietro e tornare sotto l'ala statunitense che garantisce legittimità politica, denaro e armamenti: oggi la Coalizione ha detto sì al dialogo per la formazione di un governo di transizione. Ad alcune condizioni, però: la garanzia che alle agenzie umanitarie sia permesso l'ingresso nelle zone di battaglia e il rilascio dei prigionieri politici detenuti nelle carceri del regime.
Per il resto, sarà Ginevra a decidere: "Tutto ciò che speriamo è che il dialogo porti alla partenza di Bashar al-Assad", ha detto Adib Shishakly, membro della Coalizione. Dichiarazioni che aprono la strada alla ripresa del negoziato: Ginevra 2 potrebbe ancora tenersi entro la fine dell'anno, mentre la Coalizione continuerà a riunirsi per redigere una lista di potenziali ministri, sotto la guida del premier ad interim delle opposizioni, Ahmad Toumeh, "eletto" a settembre.
Ieri intanto, poche ore prima dell'annuncio, il governo di Damasco ha deciso di allentare l'assedio - iniziato il mese scorso - contro Qudsaya, città roccaforte dei ribelli alle porte della capitale, per permettere l'ingresso di cibo e medicinali.
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