L’8 Dicembre ci sono le primarie. Qualche mese fa ho scritto un pezzo per spiegare perché non avrei partecipato in nessuna maniera alle primarie del centrosinistra. Questa volta si tratta di primarie tutte interne al Partito Democratico, non ho quindi nessun motivo per partecipare al “congresso” di un Partito di cui non faccio parte.
È più interessante provare a trarre delle conclusioni “storiche” da quello che è successo nell’ultimo anno sul tema “primarie”.
Un anno fa scrivevo che le primarie sono un ottimo mezzo per dare una verniciata di partecipazione popolare a delle decisioni politiche che di democratico non hanno nulla. Di fatto, le primarie che hanno incoronato nell’ordine Prodi, Veltroni e Bersani sono state delle ratifiche di scelte già prese dai gruppi dirigenti del centrosinistra o del PD. Una ratifica popolare immediatamente buttata nel cestino quando i gruppi dirigenti hanno deciso di licenziare Prodi, Veltroni e Bersani. La vittoria annunciata di Renzi s’inserisce in questo schema: Cuperlo e Civati a questo punto possono contendersi qualche voto sui gradini più bassi del podio.
La seconda considerazione è che con le primarie il PD ha trovato un mezzo straordinario per sterilizzare ogni dissenso contro la deriva centrista. Bertinotti e Vendola, una volta ratificato il loro ruolo di minoranza pittoresca, non hanno potuto fare altro che accettare le decisioni di Prodi e Bersani. Addirittura Vendola riuscendo nel capolavoro di non andare al governo e rimanere nell’angolo durante la costruzione della Grande Coalizione. Mentre in tutta Europa accade il processo inverso, con pezzi di socialdemocrazia che vanno a costruire alternative di sistema insieme ai comunisti, in Italia le primarie assicurano che a ogni appuntamento importante ci sia un capo bandiera che illuda di poter cambiare il PD. Oggi, si tratta di Pippo Civati.
In terzis, le primarie prolungano il mito della frammentazione del PD e nascondo la reale compattezza. Il luogo comune vuole che i Democratici siano incapaci di trovare l’unità su qualsiasi questione e che i feroci scontri verbali in occasione delle primarie rischino di far saltare l’intero partito. In realtà, aldilà della retorica, Renzi, Cuperlo e Civati sono compattamente a favore delle politiche di austerità e pur promettendo che non ci saranno più grandi alleanze nel futuro, nessuno mette in discussione il governo Letta.
Quarto punto: le parlamentarie. Parlando con alcuni membri del PD nell’estate 2012 mi veniva detto che all’epoca, regnante Monti, era vero che il PD faceva schifo ma a causa dei gruppi parlamentari scelti da Veltroni. Tralasciando che lo stesso Veltroni era stato eletto a furor di primarie, i gruppi parlamentari scelti attraverso le primarie hanno dato il peggio di sé appena insediati con il balletto sull’elezione del Presidente della Repubblica. Dopo mesi è ancora un mistero (di Pulcinella) chi siano i 101 “traditori” ad aver impallinato Prodi. Ma è bene ricordare che la buffonata partì fin dal momento in cui i gruppi parlamentari decisero di sostenere insieme al PdL Franco Marini, salvo poi mangiarselo nello scrutinio segreto.
Infine, quella che nella liturgia comunista si chiama “doverosa autocritica”, o più comunemente “ho fatto una stronzata”. Un anno fa scrivevo che l’istituto delle primarie poteva comunque avere senso nel caso si trattasse di scegliere il candidato per una carica monocratica. Non posso negarlo: una giustificazione per la partecipazione di Rifondazione alle primarie del centrosinistra lombardo. In quell’occasione sostenemmo il professor Di Stefano, un ottimo candidato, competente e capace di parlare anche ai cattolici. E che è stato schiacciato in maniera inesorabile dai meccanismi delle primarie.
Ambrosoli si è confermato come un candidato deciso dai dirigenti del centrosinistra che non riuscivano a trovare una quadra su altri papabili, un candidato profondamente elitario legittimato solo da una consultazione primaria in cui il grado di consapevolezza degli elettori era pari a zero. Nonostante il 30% raggiunto da Di Stefano, appena finite le primarie Ambrosoli ha occupato tutti gli spazi possibili, ha personalizzato la competizione e ha fatto carta straccia dei programmi comuni. L’attività odierna della Lista Ambrosoli e della cosiddetta opposizione di centrosinistra in Lombardia risulta non pervenuta.
Il risultato finale della lista Etico Con Di Stefano, in maniera imbarazzante sotto l’1%, dimostra che la scorciatoia delle primarie la possono percorrere i democristiani come Ambrosoli e Renzi. Che invece punta ad altro, ha tutto da perdere dalla partecipazione a questo carrozzone. Prima lo capiamo meglio è.
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