11/11/2013
Denaro e armi sauditi all'Esercito dell'Islam
La guerra personale dell'Arabia Saudita al presidente siriano Assad prosegue: Riyadh sta preparando l'invio di milioni di dollari in armi e addestramento a migliaia di miliziani siriani riunitisi nel nuovo gruppo "Esercito dell'Islam". Il movimento, ribattezzato JAI (Jaysh al-Islam), è nato a settembre dall'unione di 43 gruppi di opposizione a Damasco. Secondo quanto riportato dal The Guardian, il JAI sarà addestrato con il sostegno pakistano e i dollari sauditi: il numero di guerriglieri coinvolti potrebbe andare da 5mila a 50mila. Un numero elevatissimo che ha fatto sorgere dei dubbi sul reale potenziale del nuovo gruppo.
Il capo dell'intelligence saudita, il principe Bandar Bin Sultan, avrebbe chiesto agli Stati Uniti di non impedire più l'invio di missili anti-carro e anti-aereo ai ribelli; in cambio sta facendo pressioni sull'Esercito dell'Islam perché riconosca il ruolo e l'autorità statunitense, del Consiglio Militare Supremo e della Coalizione Nazionale Siriana. Tutti alleati stretti di Usa e Occidente, che negli ultimi mesi hanno perso credibilità e potere a causa delle divisioni interne, della crescita dei gruppi islamisti di opposizione e della loro ferrea opposizione al dialogo con il governo di Assad.
La nuova formazione, il JAI, guidata dal salafita Zahran Alloush, è infatti formata da gruppi jihadisti, tra cui affiliati di Al Qaeda e il Fronte al Nusra: una prospettiva che dovrebbe mettere in guardia la comunità internazionale impegnata nel quasi impossibile tentativo di far sedere al tavolo di Ginevra 2 Assad e opposizioni. Se l'alternativa all'attuale regime è un governo islamista, diviso al suo interno e fortemente sostenuto dai Paesi del Golfo, il futuro della Siria non appare così roseo: si tratta di gruppi relativamente piccoli, politicamente non maturi, guidati dal solo obiettivo di fare della Siria un altro Paese governato dalla Sharia. Alte sono le probabilità che un simile ammasso di piccole formazioni diventi il burattino nelle mani dei Paesi del Golfo: i ribelli islamisti hanno denaro e armi in abbondanza, ma mancano di strategie e capacità politiche, del tutto dipendenti dagli aiuti esterni. Tanto meno roseo appare il destino dell'intera regione che si ritroverebbe governata quasi esclusivamente da governi islamisti, legati a doppio filo agli interessi statunitensi e a quelli delle petromonarchie del Golfo.
L'invio di armi e denaro per l'addestramento di ribelli islamisti è il nuovo messaggio inviato da Riyadh a Washington: l'Arabia Saudita considera l'attuale politica della diplomazia statunitense inutile, se non addirittura dannosa, in particolare verso la Siria e il nemico Iran. Un mese fa Riyadh aveva rifiutato il seggio di membro temporaneo al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, come forma di - non troppo - velata protesta contro i tentennamenti americani di fronte al programma nucleare di Teheran e al regime di Damasco.
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