Le numerose mobilitazioni che hanno interessato la Campania negli ultimi mesi e soprattutto le province di Napoli e Caserta, hanno generato una molteplicità di “affluenti” che sono confluiti ieri pomeriggio nel gigantesco fiume in piena che ha invaso le strade napoletane.
Terra di Morte è da anni attraversata da fiumi carsici di lotta, protesta, presa di coscienza critica, focolai di resistenza che hanno consentito una permanente critica delle politiche di gestione del ciclo dei rifiuti (RSU ma anche di quelli tossico-nocivi, industriali). Un patrimonio di esperienze e saperi che oggi sono messi a disposizione dei numeri giganteschi di cittadini che si stanno muovendo, organizzando in comitati sempre più numerosi, in territori difficili, tartassati dagli sversamenti illeciti, ma anche da quelli apparentemente “legali”, dalla presenza asfissiante dei sistemi criminali e dalla repressione dello Stato. Il lungo processo di accumulo di forze, energie, controinformazione e saperi critici che ha mobilitato anche pezzi importanti della società e dei subalterni negli ultimi decenni, oggi diventa patrimonio collettivo. Quel patrimonio collettivo a cui i vari “affluenti in piena” oggi si abbeverano, per arricchirli ulteriormente ed utilizzarli per costruire un nuovo senso comune aspramente critico verso politici, sistemi criminali e varie articolazioni dei poteri pubblici.
Dopo numerose tappe intermedie ed assemblee partecipatissime tenutesi sui vari territori negli ultimi mesi e settimane, per consentire una reale e democratica partecipazione dei più alla costruzione di un percorso unitario di lotta e rivendicazioni, ieri il fiume in piena si è riversato su Napoli componendo un corte della lunghezza di oltre un chilometro. Centomila persone. Forse più. Forse meno. Non è il dato numerico il solo ad importare. La composizione interna al “fiume” era variegata, ma forse proprio la sua eterogeneità ne è anche la forza. Magari è ancora presto per parlare di “movimento”, ma in Campania si è messo in moto un processo di ricomposizione dal basso delle lotte poderoso per numeri, estensione ed anche per qualità delle rivendicazioni.
La grande rabbia ed anche la disperazione di base che anima tanti aderenti alle manifestazioni degli ultimi mesi, ai comitati locali e alle realtà in movimento, a tratti ha i connotati della dimensione pre-politica, ma sembra muoversi su sane posizioni di indipendenza dagli apparati del potere e dalle rappresentanze politiche istituzionali.
Dentro il fiume in piena assume un ruolo sempre più centrale la Chiesa cattolica, nelle sue varie articolazioni: dagli apparati burocratici delle massime gerarchie fino ai “quadri intermedi” ed ai parroci di paese, con la massa di fedeli/cittadini che si muovono sui temi della difesa della salute, della vita, dell’ambiente, con un certo livello di determinazione e coscienza assolutamente apprezzabili. Data l’importanza della componente cattolica (fortemente organizzata) che si muove sui nostri territori, sarà necessario confrontarsi con essa con schiettezza e puntualità, soprattutto laddove – nei momenti clou delle rappresentazioni delle proprie rivendicazioni ai poteri istituzionali – le strutture ecclesiastiche, del tutto legittimamente, proveranno a far confluire il fiume nell’alveo della vertenza istituzionalizzata. Non è un caso che don Patriciello ieri sera, dal palco, pur muovendo critiche condivisibili alle istituzioni, paragona lo Stato al buon “padre” che deve proteggere e curare i propri figli. Al di là della vena apertamente eticizzante, che qualche brivido pur fa correre sulla schiena, è difficile immaginare che un popolo vessato, avvelenato, inquinato, terrorizzato dalle forze criminali e represso da quelle “legali” quando ha alzato la testa, possa ancora nutrire fiducia nelle istituzioni. E di fatti, proprio quando il parroco di Caivano ha fatto cenno all’incontro avuto con Napolitano, sono partiti dalla piazza migliaia di fischi e cori contro il Presidente della Repubblica, accusato anche con l’epiteto di “assassino” (è fino troppo chiara il riferimento alla sua qualifica di Ministro degli Interni nel 1997, allorquando Schiavone raccontava in Commissione parlamentare la sua verità, che coinvolgeva gli apparati di Stato ed imprenditori nel biocidio campano, resoconti segregati e che non furono mai posti al centro di un serio dibattito parlamentare e governativo che si ponesse in una prospettiva risolutrice di tale disastro).
Il fiume in piena è stato ricco di striscioni, cori, canti, silenzi in onore delle vittime del biocidio. Un fiume che ha percorso le strade del capoluogo campano nonostante la pioggia battente durata ore. Dai genitori che hanno perso i propri figli in tenera età per cancro o leucemia, fino ai medici per l’ambiente, dai comitati NO inceneritore fino a quelli contro il gassificatore di Capua e contro le centrali a biomasse dell’alto casertano, fino ai sindacati impegnati sul fronte della coniugazione del lavoro con le tematiche ambientali.
Sia dal palco che durante il corteo è stata rivendicata la prospettiva unitaria di lotta delle varie comunità impegnata a difesa dei territori e contro le grandi opere inutili e le speculazioni: NoTav, NoMuos, NoTriv (che hanno inviato una delegazione al corteo). Di fatti, proprio il movimento NoTAV, in un comunicato ufficiale di qualche giorno fa, aveva simbolicamente “staccato” un assegno di 26 miliardi di euro – quelli che, nelle prospettive più rosee, dovrebbero servire per costruire una inutile Tav/Tac a benefici degli oligopoli coinvolti nell’affare – in favore delle popolazioni della Campania e dei terremotati de L’Aquila, a testimoniare di come la spesa pubblica debba essere orientata a beneficio degli interessi generali e non dei profitti dei pochi.
La piattaforma unitaria del 16 novembre, letta dal palco, all’interno di un più ampio orizzonte di modello alternativo di sviluppo, chiede nuove procedure di democrazia partecipata e controllo diffuso; bonifiche vere e controllate in ogni segmento decisionale ed operativo, con l’espulsione netta dai bandi di gara di chi ha inquinato; mappatura dei siti inquinati; valorizzazione e tutela dei prodotti agricoli di qualità (oggetto di strumentali campagne denigratorie e terroristiche); la cristallizzazione del sacrosanto principio del “chi ha inquinato deve pagare”, con riferimento anche ai segmenti imprenditoriali coinvolti nel biocidio; proposte di modifiche normative e l’introduzione del reato di ecocidio e la previsione di una deroga agli stringenti parametri di bilancio europei per gli investimenti pubblici da riversare sulle bonifiche; la netta contrarietà alle leggi speciali ed alle strutture commissariali che sono stati l’humus perfetto in cui hanno prosperato collusioni, clientelarismo, corruzione, criminalità; un netto no anche alla militarizzazione del territorio (che invece sembra essere la risposta principale elaborata dalle istituzioni) che non ha mai risolto alcun problema allorquando è stata disposta; una nuova sanità pubblica ove viga il principio di precauzione e dove vengano dispiegate strategie di prevenzione, osservazione ed accesso gratuito ai protocolli di prevenzione sanitaria per i tumori; un nuovo ed alternativo piano di gestione dei rifiuti, che preveda il rifiuto della loro combustione – in ogni sua forma – e si basi sulle quattro “R”: riduzione, raccolta differenziata porta a porta, riuso e riciclo; si chiede inoltre il ritiro immediato del bando di gara per l’inceneritore di Giugliano e degli altri impianti a combustione di rifiuti, compresa la progressiva chiusura di quello di Acerra; protocolli e procedure per controllare e porre fine ai traffici illeciti dei rifiuti e quindi ai roghi tossici; una riconversione ecologica della Campania che sappia coniugare salute e diritti, lavoro e sviluppo del territorio: «Fermare il biocidio vuol dire necessariamente rivendicare anche welfare, casa, diritti essenziali; vuol dire investire su un’istruzione pubblica e una ricerca capaci di formare coscienze e competenze in grado di promuovere un diverso modello di sviluppo per la nostra Regione».
Insomma, una bozza di un vero e proprio programma politico – nel senso più nobile del termine – che risponde anche a tutti coloro che accusano da sempre i movimenti ambientalisti di essere “monotematici”, dalla limitata prospettiva “Nimby” e, soprattutto, esperti del “No” senza alcuna proposta concreta da avanzare.
Come ogni fiume in piena, anche quello di ieri rischia di rientrare nell’alveo e ridursi a fiumiciattolo. È compito di tutti gli “affluenti”, invece, ingrossarlo costantemente, agitarlo, farlo avanzare su posizioni sempre più avanzate e nette di critica dello stato presente delle cose. In tale prospettiva, sarà opportuno cominciare a chiarire una questione di fondo, che altrimenti rischierà di incancrenirsi e produrre contrasti, fraintendimenti, potenziali momenti di rottura: il fiume in piena avrà ragione di esistere solo se accetterà la sua dimensione intrinsecamente politica: nella misura in cui gli eventi contemporanei stanno germinando processi di soggettivazione generalizzata, quella presa di coscienza che matura nella contrapposizione al presente ed alle sue forme del dominio, produce prassi di riappropriazione di spazi, luoghi simbolici, momenti decisionali, in definitiva: agire politico. Quanto prima sarà assunto, tale dato, come punto di partenza comune, tanto prima si eviteranno facili ed improduttive scorciatoie verso il populismo più becero e la confusione, assolutamente deleteria, tra politica e partiti/istituzioni. La mancata distinzione tra queste due sfere, il ritenere che il primo polo non viva senza il secondo non fa altro che conferire ulteriore delega: strutturale proprio nella misura in cui non si prende coscienza che dal basso possono ingenerarsi dei contropoteri che abbiano la forza di imporre le proprie decisioni ed i propri momenti costituenti a ciò che di costituito già c’è.
Per il 30 novembre è stata indetta una assemblea pubblica cittadina a Napoli, in Piazza del Plebiscito, proprio per alimentare un momento allargato di confronto ed analisi sulla gigantesca manifestazione di ieri, ma anche sulla programmazione dell’agire prossimo futuro del fiume e sulla proposta che è stata lanciata da più parti di una grande manifestazione nazionale a Roma su questi temi.
Un movimento che voglia concretamente incrinare i sistemi di potere e cambiare lo stato di cose presenti, ha necessità anche di ottenere vittorie, momentanee o definitive: vittorie che servano sul piano della prassi per spostare più innanzi l’orizzonte operativo del movimento e sul piano simbolico per dimostrare che la lotta paga ed ottiene risultati. Il ritiro immediato del bando di gara per l’inceneritore di Giugliano – opzione prevista dall’ordinamento nonché dallo stesso bando – è il primo risultato concreto da ottenere. Se le istituzioni cominceranno a cedere su un punto, allora l’assedio produrrà tutti i suoi più ampi e generalizzati frutti.
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