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29/11/2013

Lo Zimbabwe di Mugabe

Mentre si avvicina il centesimo giorno del settimo mandato da presidente di Robert Mugabe, due rapporti usciti a meno di una settimana di distanza uno dall'altro, pubblicati da Amnesty International e da Human Rights Watch, sottolineano che lo Zimbabwe ha ancora molta strada da fare in termini di rispetto dei diritti umani e di infrastrutture idriche e sanitarie.

Anche se la situazione politica ed economica negli ultimi anni è migliorata, le violazioni dei diritti umani, soprattutto nei confronti dei giornalisti, degli attivisti e degli oppositori politici, non si sono mai fermate. L'applicazione della nuova Costituzione, entrata in vigore a maggio, che prevede la tutela dei diritti economici, sociali, culturali, civili e politici, è ostacolata dalla corruzione, dalla cattiva amministrazione e dalla mancanza di volontà che hanno segnato la vita politica dello Zimbabwe sin dalla sua definitiva indipendenza dal Regno Unito nel 1980.

Il governo di coalizione che ha guidato il Paese tra il 2009 e il 2013, composto dall'Unione Nazionale Africana Zimbabwe - Fronte Patriottico (Zanu-Pf) di Mugabe e dal Movimento per il Cambiamento Democratico (Mdc) del suo avversario Morgan Tsvangirai, ha consentito al Paese di non sprofondare nel vortice della violenza seguito alle contestate elezioni del 2008. Ma non è riuscito ad attuare le riforme istituzionali necessarie a garantire trasparenza e democrazia né a prendere le distanze dagli errori del passato e a migliorare le condizioni per il 70 per cento della popolazione che vive sotto la soglia di povertà.

I dati di Transparency International dimostrano che negli ultimi anni la corruzione è persino cresciuta e il Paese è passato dalla 24esima posizione tra gli Stati più corrotti al mondo nel 2008 alla tredicesima nel 2012. A ottobre, inoltre, la Zimbabwe's Revenue Authority (Zimra) ha stimato che lo scorso anno il paese ha perso due miliardi di dollari a causa della corruzione.

Secondo Amnesty International, il nuovo governo deve stabilire un'agenda dei diritti umani da seguire tra il 2013 e il 2018, per garantire alla popolazione la libertà di espressione, di associazione e di riunione, per cancellare il clima di impunità che aleggia nel paese e per rendere giustizia alle vittime.

Nel suo rapporto "Human Rights Agenda for the New Government - 2013 to 2018", l'organizzazione denuncia che ancora oggi gli attivisti e gli oppositori politici vivono in un clima di sospetto e di repressione. Molti di loro sono arrestati arbitrariamente e detenuti per periodi più o meno prolungati senza accuse e contro la legge, come è successo a Okay Machisa, direttore della Zimbabwe Human Rights Association, che a gennaio ha passato due settimane in carcere. Le forze dell'ordine, inoltre, continuano a usare la forza per reprimere ogni voce critica: il 19 settembre, per esempio, la polizia ha attaccato un corteo pacifico organizzato dal movimento Women of Zimbabwe Arise, diretto al Parlamento per presentare una petizione.

Gli abitanti dello Zimbabwe, d'altra parte, hanno ancora molto da conquistare anche dal punto di vista delle infrastrutture. Milioni di persone solo nella capitale, infatti, non hanno accesso all'acqua potabile né ai servizi sanitari, come sottolinea il rapporto di Human Rights Watch "Trubled Water". Le tubature di Harare sono vecchie e malandate e non sono in grado di soddisfare le necessità di una popolazione che in due decenni è passata da 600mila a quattro milioni di persone. Molte abitazioni, quindi, sono prive di acqua corrente e le famiglie fanno affidamento sui pozzi, molti dei quali sono contaminati. I liquami spesso fuoriescono dai tubi rotti e si riversano nelle strade, dove giocano i bambini. La mancanza di latrine, poi, aumenta i rischi per la salute, soprattutto delle donne. Queste condizioni, avverte Hrw, potrebbero favorire la diffusione di malattie nei sobborghi densamente popolati della città, a cinque anni dall'epidemia di colera che fece quattromila morti nel Paese.

L'89enne Mugabe, al potere da 33 anni, reinsediatosi il 22 agosto dopo aver vinto le elezioni con oltre il 60 per cento dei voti, non sembra intenzionato a dare una svolta alle politiche disastrose che hanno portato il Paese a classificarsi al decimo posto nell'indice degli Stati falliti 2013, redatto dal centro di ricerca Fund for Peace in collaborazione con Foreign Policy. La pena di morte continua a essere consentita nel Paese e il nuovo esecutivo non ha previsto alcuna misura a favore delle 700mila persone che nel 2005 furono costrette ad abbandonare le loro case nell'ambito della cosiddetta Operazione Murambatsvina, lanciata dal governo per demolire le baracche illegali nelle aree urbane. Trascorsi quasi cento giorni dal suo settimo insediamento, dunque, nessun segnale fa sperare che il prossimo mandato di Mugabe sarà diverso dai precedenti.

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