Il principale quotidiano genovese, Il Secolo XIX, questa
mattina ha aperto la sua edizione con un titolone ad effetto: «A Genova
comanda la piazza». Si parla di scene mai viste, di una contestazione
del sindaco Marco Doria costretto ad abbandonare la sala consigliare,
rappresentanti del PD scortati dai vigili urbani. Insomma la
furia dei lavoratori degli autotrasporti con il loro sciopero selvaggio e
senza regole scompagina la routine istituzionale e le buone maniere di
una città in pieno declino, un declino di cui le sue classi
dirigenti sembrano non accorgersi. Il quotidiano genovese con il suo
stupore e condanna incarna una sorta di riflesso condizionato nei
confronti delle cosiddette “classi pericolose”. Quelle che subiscono
passivamente ogni giorno l'apparente teatrino della politica e i ben più
sostanziali rapporti socioeconomici asimmetrici. Quelle classi che a
lungo non si vedono e che proprio in considerazione dell'asimmetria dei
rapporti di forza sedimentati nelle istituzioni, nella cultura, nella
società, quando devono esprimere il loro punto di vista, dettato dalla
sopravvivenza, irrimediabilmente in contrasto con i poteri dominanti, lo
fanno a modo loro, senza badare alle maniere e, soprattutto, con la
determinazione che gli impone il loro ruolo estraneo e subalterno. Le
istituzioni coercitive vigenti non lasciano alle classi pericolose il
dialogo e il confronto, ma obbligano allo scontro. Non esistono
relazioni industriali, ma solo rapporti di forza, dicono i francesi.
Ma torniamo ai fatti. La giunta Doria, quella che fece
parte della cosiddetta primavera arancione dei sindaci, da tempo ha
optato di far fronte ai problemi di bilancio e di debito con la
privatizzazione di tutte le società partecipate del comune.
Nessun sindaco targato Pd aveva mai fatto tanto. Si privatizzerebbero
così azienda dei trasporti, quella della nettezza urbana, quella dei
servizi alla manutenzione, le farmacie, ecc.. Fin da subito si è
manifestata una decisa opposizione dal basso costituita dai lavoratori
coinvolti da un lato e dall'altro il Forum dei beni comuni, un organismo
di cittadinanza attiva composto da 22 tra comitati e associazioni, tra
le quali Attac, Forum per una finanza pubblica, Comitati no-tav e
no-gronda, ecc.. Questa duplice spinta sindacale e sociale da principio
ha condannato in maniera convinta le politiche di rigore dettate da
criteri di bilancio fatte proprie dall'amministrazione. Da tempo i
comitati e le associazioni hanno tentato di costruire un ponte verso i
lavoratori e verso la società per le ovvie ricadute che tali
provvedimenti avrebbero avuto sulla città, sulla sua evoluzione.
Trasporti, rifiuti, sanità, manutenzioni, tutti temi strategici per la
vivibilità di qualsiasi aggregazione umana contemporanea. Non solo. Per
quanto riguarda i trasporti in passato c'è stato un precedente di
privatizzazione parziale fallito, con il conseguente ritorno al
pubblico dell'intera azienda dei trasporti. Perseverare è diabolico.
Soprattutto per dei servizi che per produrre profitti non solo
dovrebbero essere privatizzati, ma anche scorporati per rendere
appetibili al privato unicamente quei segmenti di largo uso. E poi
lasciare a languire i servizi in perdita, quelli di nicchia, quelli
periferici, insomma quelli di maggior interesse sociale. Per non parlare
di come privatizzare implichi abdicare al governo della politica nella
sfera dei trasporti, dell'inquinamento, in definitiva a un'idea della
città.
Così si è giunti alla giornata di ieri. Ai blocchi, allo
sciopero selvaggio riuscito al 100%, all'assedio fino a sera della sala
del Consiglio comunale. Per oggi gli autoferrotranvieri hanno
deciso durante l'occupazione il secondo giorno consecutivo di sciopero
totale. Cortei. L'esito dello scontro non è scontato. Quello che è certo
è che il protagonismo sociale, la mobilitazione radicale e dal basso
sono l'unica strada possibile per realizzare il cambiamento. La politica, anche quella con le migliori intenzioni, non può che andare a rimorchio.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento