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06/11/2013

V per Vendetta è bello e tutto quanto, ma alla lunga rompe i coglioni.

C’era una volta un signore di nome Guy Fawkes, il 5 novembre del 1605 provò a far saltare in aria il Parlamento Inglese insieme al Re d’Inghilterra perché gli stava sulle balle che il Re non fosse cattolico e che dividesse il potere con della marmaglia che non aveva ricevuto nessuna investitura da Iddio Onnipotente o quantomeno dal Papa.

In pratica, il peggiore reazionario che fosse possibile trovare in giro nel 1600. Poi la sua figura è passata attraverso la penna di vari scrittori di romanzi popolari che ne hanno fatta una specie di Robin Hood che invece di rubare i ricchi li faceva saltare in aria.

Da questa tradizione di Fawkes in veste rivoluzionaria, Alan Moore ha tratto V per Vendetta. Nel fumetto V è un anarchico che indossa la maschera di Fawkes ed esegue una serie di attacchi per destabilizzare il governo fascista che guida la Gran Bretagna.

Ma il graphic novel (che fa molto più figo di “romanzo a fumetti”) di Moore è uscito tra l’82 e l’85, per far diventare la maschera di Guy Fawkes un simbolo globale di protesta e ribellione s’è dovuto attendere l’adattamento cinematografico dei fratelli Wachowsky, anno 2005.

La maschera oggi è un simbolo per ogni occasione, è sfoggiata alle manifestazioni degli operai, a quelle degli studenti e a quelle degli ambientalisti. Ce la si ritrova sia nelle placide manifestazioni indette dai costituzionalisti che in quelle che animosamente si propongono di infrangere zone rosse fino agli assalti diretti alle forze di polizie in assetti antisommossa. È usata sia dagli ambienti di sinistra sia dal qualunquismo grillino.

La domanda è: come fa questa maschera a essere così trasversale?

La risposta ottimista dice che nell’epoca in cui cadono le vecchie identità novecentesche, la moltitudine in rivolta confluisce tutta sotto la maschera in un’unica richiesta globale.

Una risposta più realista è che il film, a differenza del fumetto, offre un simbolo a buon mercato e sparge una notevole dose d’illusioni su come far trionfare la protesta sociale.

La maschera del film è un simbolo indossabile da chiunque, non serve farsi carico di una tradizione ideologica per usarla, non bisogna fare i conti con i gulag o con le bombe piazzate per l’ideale, non ci sono noiosi volumoni da studiare, non ci sono grandi dilemmi morali da risolvere. Nel fumetto, invece, V non è un anarchico all’acqua di rose, è perfettamente disposto a usare la violenza terroristica come insegnato da Bakunin. Il grande conflitto tra V ed Evey nel fumetto è proprio sull’accettazione che non basta volere ribellarsi, ma bisogna anche essere disposti a usare la violenza. Nel film invece gli attacchi di V sembrano essere senza vittime e anche quando ci sono, la violenza è mostrata in maniera anestetizzata. Inoltre, nel fumetto l’azione di V è contro un governo esplicitamente fascista (neanche troppo velatamente metafora del governo Thatcher) in nome della libertà anarchica, mentre nel film agisce contro un generico “potere totalitario” (che assume sia caratteristiche fasciste sia socialiste) in nome di una generica “libertà”.

L’altra grande differenza tra il film e il fumetto è il risultato della rivolta. Nell’opera originale di Moore l’insurrezione è un salto nel vuoto, dalle macerie potrà sorgere tanto l’anarchia consapevole sognata da V quanto il caos dove chi vince schiaccia i più deboli. Un salto nel vuoto che per Moore vale la pena di provare, ma solo essendo pienamente consapevoli del prezzo da pagare.

Il finale del film non potrebbe essere più diverso. Quando Evey completa il piano di V per far saltare in aria Downing Street, tutta Londra insorge pacificamente indossando la maschera di Guy Fawkes. Di fronte alle masse pacificamente determinate l’esercito non spara un colpo e si unisce alla protesta. L’obiettivo è raggiunto senza dover fare praticamente nulla se non un paio di atti dimostrativi, senza dover mettere in conto l’uso della violenza, senza dover affrontare la repressione.

A questo punto non è difficile capire la popolarità di cui gode oggi la maschera di Guy Fawkes, sono gli stessi motivi per cui oggi si scende in piazza illudendosi di poter ignorare qualsiasi questione storica e teorica, di poter creare proteste in cui tutti agiscono insieme contro un potere talmente distante da avere solo simboli e non rapporti materiali con la realtà. E, soprattutto, l’illusione di poter ignorare qualsiasi questione organizzativa, di poter risolvere tutto quanto attraverso azioni dimostrative che, quando risveglieranno abbastanza persone, porteranno la gente a vincere automaticamente la rivoluzione.

Certo, meglio scendere in piazza così che non farlo per niente, ma, alla lunga, rompe i coglioni.

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