di Carlo Musilli
Il destino di Alitalia è appeso a un filo, ma Natale e Capodanno si
avvicinano. E' tempo di prenotazioni. Per arginare la prevedibile
emorragia di biglietti, il management della società ha varato un
investimento pubblicitario non da poco: “Continuate a volare in ottima
compagnia”, è il messaggio che campeggia sulle pagine della stampa.
Il gioco di parole è apprezzabile, ma il risultato ha un che
d'ironico: la cosiddetta "ottima compagnia" è la stessa che i
contribuenti italiani hanno salvato nel 2008 con quattro miliardi di
soldi pubblici; la stessa che da allora è stata nuovamente massacrata
dai "capitani coraggiosi" di berlusconiana memoria (Intesa, Colaninno e
Benetton), tanto da richiedere oggi un nuovo intervento dello Stato,
seppure in via indiretta, attraverso Poste Italiane; la stessa che, di
sopravvivere facendo volare gli aerei, proprio non ne vuole sapere.
Insomma, più che "continuare", la maggior parte dei frequentatori
d'aeroporti dovrebbe "cominciare" a viaggiare Alitalia.
In questi
giorni però il dubbio è un altro: per quanto tempo ancora potremo
scegliere di volare con l'ex compagnia di bandiera? La risposta non è
scontata. Il primo giorno della verità è giovedì prossimo, 14 novembre,
quando scadrà il termine per l'adesione all'aumento di capitale da 300
milioni. La società presieduta da Roberto Colaninno - che ha già
annunciato le dimissioni al termine dell'operazione - cerca di calmare
le acque ricordando che l'aumento "è già stato versato per 130 milioni
ed è garantito da Poste Italiane e dalle due principale banche del
Paese: Intesa Sanpaolo e Unicredit".
Il problema è che Air
France-Klm, socia al 25% di Alitalia, non ha intenzione di partecipare
all'aumento. Lo ha scritto ieri sera il quotidiano Le Figaro,
precisando che la quota dei francesi si diluirà al 10%. Sarebbe un colpo
di scena non poi così inatteso, visto che finora Air France-Klm ha
cercato invano d'imporre ai vertici dell'azienda una cura da cavallo:
tagli al personale, ridimensionamento delle tratte a lungo raggio e
ridiscussione del ruolo di Fiumicino. Secondo Il Messaggero, la lunga
trattativa con la compagnia franco-olandese si sarebbe risolta con un
accordo per il taglio di 4mila dipendenti. L'agenzia Bloomberg sostiene
invece che gli esuberi potrebbero scendere a 2mila, e sarebbero il
corollario al nuovo piano industriale che l'ad Gabriele Del Torchio
presenterà al prossimo Cda, in agenda per domani.
Il pacchetto
dovrebbe comprendere risparmi per 250 milioni di euro, incentivi
all’esodo e una riduzione drastica dei contratti a tempo determinato.
Una terapia traumatica difficilmente evitabile, perché Alitalia è una
cloaca capace di divorare un milione al giorno, e senza una rivoluzione
profonda brucerebbe in pochi mesi il capitale fresco garantito
dall'aumento, né potrebbe trattare alla pari con alcun partner
internazionale.
Tutto
questo sembra non bastare ad Air France-Klm. Eppure fin qui, oltre alla
ricapitalizzazione, i francesi avrebbero voluto acquistare la quota di
maggioranza della compagnia italiana per quello che vale oggi, ovvero
molto poco. Puntavano soprattutto a non accollarsi i debiti da un
miliardo macinati dai "Capitani coraggiosi". Il problema è che i
principali creditori di Alitalia sono le banche italiane (su tutte
proprio Unicredit e Intesa), che non hanno alcuna intenzione di
rinunciare ai propri investimenti.
Non sorprende quindi il gran
rifiuto degli azionisti, fra i quali, lo ricordiamo, figura già Intesa, e
fra poco dovrebbe comparire anche l'altra grande banca creditrice,
Unicredit, per effetto della partecipazione al consorzio di garanzia.
"Rimango positivo sia sulla soluzione di breve, cioè l'aumento di
capitale, sia sul fatto che una soluzione di medio termine possa essere
trovata", ha detto ieri il Ceo di Unicredit, Federico Ghizzoni,
aggiungendo di non avere su Air France "indicazioni né positive né
negative. Se rimarranno bene, altrimenti Alitalia e il Governo saranno
liberi di guardare altre soluzioni. Il nostro impegno è supportare
l'azienda perché trovi a medio termine un'alleanza".
Sul successo
dell'operazione l'Esecutivo italiano si gioca una buona fetta di
credibilità, avendo orchestrato l'ingresso di Poste. Ma proprio su
questo punto aleggia un altro fantasma: Bruxelles. Dopo le proteste
della British Airways, infatti, l'Ue sarà chiamata ad esaminare il piano
di salvataggio per stabilire se l'ingresso di Poste nel capitale della
compagnia si configuri come aiuto di stato (che sarebbe illegale).
Se
il verdetto europeo sarà negativo, l'intera architettura finanziaria
all'amatriciana rischierà l'implosione. In caso di promozione, invece,
il Governo avrà ottenuto il risultato di guadagnare tempo, nella
speranza estrema che il piano di Del Torchio riesca a incrinare
l'intransigenza dei francesi o, in un futuro non troppo lontano, a
invogliare qualche altro possibile (e per ora molto improbabile)
partner. In una prospettiva di medio-lungo periodo, qualsiasi cura
temporanea per una società moribonda come Alitalia non sembra poter
avere altri obiettivi. L'unica strada è convincere i francesi o chi per
loro a "volare in ottima compagnia".
Fonte
Chissà perché anche la stampa "alternativa" proprio non ce la fa ad uscire da certi schemi mentali quando scrive di determinate questioni. Volenti o nolenti una soluzione capitalistica accettabile in grado riportare a galla Alitalia in queste condizioni di mercato non esiste.
Se l'interesse principale fosse quello di tutelare un asset strategico e chi ancora ci lavora, l'unica soluzione sarebbe quella della nazionalizzazione con successiva rottura degli accordi di spartizione delle tratte aeree tra i vari operatori internazionali.
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