20/11/2013
Sdegno e satira
L'indignazione riempie il cuore, la satira fa sentire intelligenti (non c'è neanche da inventarla, ce la passano già preconfezionata), internet ci mette a disposizione tutte le informazioni togliendoci nello stesso momento il padroneggiamento della cultura, la riproduzione del sapere e delle relazioni sociali si interrompe... "una risata vi seppellirà", si sperava una volta. Non è così. Da sempre il sovrano assoluto paga di persona un giullare che lo costringa a ridere anche di se stesso, lasciandolo accuratamente lì dov'è.
Nella "crisi di civiltà" in cui ci stiamo immergendo saltano molte connessioni tra eventi, loro comprensione, capacità di reazione individuale e collettiva. La prima prende spesso la forma solitaria (lo sfogo su Facebook, per dirne una); la seconda fa fatica a superare il primo stadio della ribellione (la fase in cui prevale "la rabbia", ovvero - né più, né meno - la "benzina" di un movimento di rivolta). Due impotenze che si rispecchiano a vicenda, complementari, spesso compresenti negli stessi soggetti. Salta soprattutto la possibilità per i singoli, o per i piccoli gruppi, di comprendere le dimensioni generali dei fenomeni, di individuare i meccanismi che li governano (sempre più spesso ridotti alla "volontà cattiva" di qualche oscuro gruppo, o alla "fame di profitto", quasi fosse un brutto male che affligge alcune anime perverse); quindi anche la possibilità di incepparli o - dio non voglia - rivoluzionarli.
In queste situazioni diventano importantissimi quei contributi, anche individuali, che colgono l'inversione tra figura e sfondo, ovvero che guardano la luna invece del dito (oggetto-feticcio per ogni "cretino"). Pubblichiamo con questo spirito un altro pezzo di bravura di Fabio Crognale, affidato inevitabilmente a Facebook (nuovo oceano virtuale in cui buttare le nostre patetiche bottigliette con messaggio incorporato). Lampi di intelligenza che illuminano per un istante gli angoli più scabrosi del reale, perché parlano di noi e della nostra insufficienza. E che tendiamo inevitabilmente a saltare con lo sguardo, ci imbarazzano troppo....
Confidiamo che i nostri lettori sapranno coglierne le innumerevoli sfumature.
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Un giorno, temo, qualcuno ci chiederà conto di tutto questo. La catarsi si manifesterà, presumo, nelle sembianze di un quindicenne brufoloso, che sfilandosi dal naso i Google Glass ci chiederà, piantandoci in faccia due iridi sfondate da troppi pixel in alta risoluzione, dov’eravamo, esattamente, mentre il mondo andava lentamente a puttane.
E allora, con pazienza, dovremo fargli capire che in un determinato periodo storico, in Italia, c’erano due soli modi per affrontare la realtà, per rapportarsi allo stato delle cose senza rischiare la pazzia o la depressione: la satira e l’indignazione. Facce speculari della stessa medaglia, gli spiegheremo con calma, cercando di descrivere nel dettaglio una nazione in cui comici e conduttori televisivi prendevano di comune accordo la stecca sul nostro dissenso. Stenterà a capirlo, ma gli dipingeremo un mondo in cui la coscienza politica era inversamente proporzionale al numero di trasmissioni di approfondimento in prima serata: gli parleremo delle infinite edizioni di Report, Piazza Pulita, Anno Zero, Otto e Mezzo, Ballarò, La Gabbia, in sostanza gli spiegheremo come ci hanno nutrito, giorno dopo giorno, con grandi cucchiaiate di sdegno, facendoci ingollare una quantità infinita di notizie e scandali che, alla lunga, ci avevano fatto diventare bulimici, e del senso di sollievo che provavamo soltanto al momento di vomitare indietro la nostra rabbia nell’unico modo che ci era rimasto, grazie all’apposito post pubblicato d’istinto sul social network di turno, il nostro limitatissimo, esclusivo concetto di libertà d’espressione. Gli spiegheremo che in questo modo ci sentivamo cittadini informati, gente a cui non la si dava a bere così facilmente, che affrontava un'epoca di crisi permanente con spirito critico, sagacia e, perché no, con una certa, matura dose di autoironia che – lo capimmo troppo tardi – era la reazione tipica, l’unica via di sfogo della nostra rassegnazione.
Ma questo ancora non lo sapevamo, all’epoca ridevamo di gusto per l’ennesimo post di Spinoza, non c’era notizia – non c’era esternazione di Berlusconi, scandalo rifiuti, intercettazione mafiosa, processo per corruzione che fosse esente dalla nostra sagacia. Producevamo e condividevamo una quantità infinita di battute, guardavamo crescere il numero di like e retweet e pensavamo: cazzo, allora non siamo soli, c’è gente come noi, connessa da qualche parte dietro un monitor, che apprezza, capisce e s’indigna, c’è gente che non ha perso la speranza e l’ironia, ci sono persone che capiscono e contestano e – la più grande illusione di tutte – ancora sognano un cambiamento. Non capivamo, come avremmo potuto, che assecondavamo la pulsione tipica dell’alcolizzato, di chi riempie il bicchiere degli altri perché odia il pensiero di sbronzarsi da solo. Che lo sdegno era la nostra dipendenza, e la satira la nostra droga. Ridere o incazzarsi, che altro ci rimaneva? In fondo lo sapevamo: oltre l’ennesima battuta, dietro il gusto per l’aforisma, in seguito alla più precisa delle analisi politiche il giorno dopo, immancabilmente, non succedeva mai un cazzo.
Prima che il quindicenne torni a inforcare i Google Glass, per godersi la nuova frontiera del porno in POV, gli spiegheremo questo: che eravamo succubi della nostra indignazione, e conniventi con il ridicolo. Non capirà, non gliene faremo un colpa. Non lo abbiamo capito nemmeno noi.
Fonte
Cadono i coglioni a leggere sta roba peché è schifosamente vera.
Internet è intasato di sdegno e rabbia verso ciò che succede, di condivisioni di stati su Facebook, di hashtag su Twitter dietro ogni puttanata della casta ecc, poi quando incontri uno tra i milioni degli sdegnati del web e gli domandi "Come va?" la risposta non è mai un "Una merda! Dovremmo organizzarci per cambiare sto cesso di vita!" ma il consueto, laconico "Tutto bene, tu?" intonato con voce spesso stridula che termina in una risata tanto finta quanto isterica.
Il problema di questo mondo, prima di qualsiasi crisi sta nell'incapacità della gente di parlare, nei muri che sì tirano su appena uno ti mette la realtà dei fatti sotto gli occhi, in una individualismo nichilista in base a cui si spera di star meglio semplicemente perché ci si augura che la merda raggiunga tutti tranne se stessi.
E ora? Anche ora ci si sente come in due.
Da una parte l'uomo inserito che attraversa ossequiosamente
lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall'altra il gabbiano senza più neanche l'intenzione del volo perché ormai il sogno si è rattrappito.
Due miserie in un corpo solo.
Gaber aveva lanciato l'allarme già nel '91, ancora oggi nessuno l'ha capito, tutti troppo impegnati a fare i rivoluzionari da tastiera o a rincorrere i propri guai a testa bassa. Una merda appunto.
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Ieri, purtroppo, ne abbiamo avuto l'ennesima brutta conferma!
RispondiEliminaMa sono comunque anni che va avanti questa storia. Ricordi quando ti raccontavo il classico dialogo che per anni ho avuto con ex compagni di classe delle scuole superiori...
"Ciao Bri, come butta? Guersa, travaggiu?"
"Mah... lavoro in una catena di montaggio senza alcuna possibilità di crescita professionale. Dopo 5 anni di contratto da apprendista a 600 euro al mese ho avuto l'agognato scatto e adesso ne guadagno mille, facendo un sacco di straordinari. L'unico progetto che ho per il futuro è andare a convivere con l'esaurimento nervoso" (sottile "ironia" alla Carlo Verdone, che, casualmente, mai nessuno ha capito...)
Dopo un attimo di imbarazzante silenzio... ecco comparire nella faccia del mio interlocutore il classico ebete sorrisino (comprensione? rassegnazione? presa per il culo?), seguito dall' inflazionato slogan che annuncia la morte celebrale:
"Beh, dai... Buono!"
Come dicevamo appunto sabato il primo auspicio è che sta crisi porti col culo a terra anche tutti i soggetti (e son tanti) che fino ad oggi sono vissuti senza essersi guadagnati niente e sti cazzi di tutto il resto!
EliminaOltre che una soddisfazione personale è un passo ineludibile anche nell'ottica di veder nascere una massa critica in grado di mettere in dubbio il sistema odierno. Su quest'ultimo punto conto poco, non a caso, a far certi discorsi siamo sempre in due, gli altri quando va bene ti dicono di farti un periodo all'estero oppure si perdono nei cazzi - di poco conto - propri.