I media italiani preferiscono dedicare tempo ed energie al solito
teatrino della politica interna, come la grazia non chiesta da Silvio
Berlusconi e non concessa dal capo dello stato Giorgio Napolitano.
Piuttosto in questi giorni dovrebbero spiegare agli italiani
l'eccezionale significato dell'accordo sul programma nucleare dell'Iran
raggiunto a Ginevra nella notte tra sabato e domenica. Eccezionale dal
punto di vista diplomatico e strategico.
L'intesa firmata in
Svizzera, attraverso la legittimazione del diritto di Tehran di produrre
energia atomica e all'arricchimento dell'uranio (anche se in
percentuale minima), rappresenta il riconoscimento anche da parte degli
Stati Uniti e dell'Europa del peso che l'Iran ha nel Vicino Oriente.
L'Iran, un paese sempre più influente che per decenni, e in particolare
negli ultimi 10 anni, era stato tenuto in isolamento, ai margini della
diplomazia internazionale, ora parla, faccia a faccia, con gli Stati
Uniti.
L'"Asse del Male" siede allo stesso tavolo del "Grande
Satana". E' stata sepolta l'era di Reagan e di Bush padre e figlio,
assieme allo spirito più militante della rivoluzione di Ruhollah
Khomeini. La massima autorità dell'Iran, l'ayatollah Khamenei, ha
abbracciato la linea diplomatica del presidente Hassan Rowhani non solo perché, come si sostiene, le sanzioni internazionali strangolano l'Iran
ma anche perché ha compreso che il riconoscimento dell'Occidente offre
all'Iran la possibilità di svolgere quel ruolo che ritiene di avere in
ragione della sua storia e della sua attuale potenza.
Ed è questo che spaventa Israele e l'Arabia saudita che più di altri hanno remato contro l'accordo raggiunto in Svizzera.
Tehran avrà diritto di parola, con la benedizione occidentale, in
tutte le crisi mediorientali. I riflessi di ciò si vedranno in diversi
scenari, a cominciare da quello siriano. Non è un caso che qualche ora
dopo la firma dell'accordo a Ginevra sia giunto anche l'annuncio che la
conferenza internazionale sulla Siria si terrà il prossimo 22 gennaio. E
se a quell'incontro (già troppe volte rinviato) parteciperà l'Arabia
saudita, allora ci sarà anche l'Iran che Riyadh e l'opposizione
anti-Assad invece vorrebbero tenere a distanza dal tavolo delle
trattative per la soluzione della guerra civile siriana.
E' questa realtà, che gli Usa non potevano più permettersi di
emarginare ed ostacolare, che Barack Obama ha voluto e dovuto accettare e
poi spiegare, senza successo, al premier israeliano Benyamin Netanyahu,
riassicurandolo dell'impegno congiunto «americano e israeliano» affinché l'Iran non si doti di ordigni atomici. «Il primo ministro
(Netanyahu) ha chiarito all'uomo più forte del mondo (Obama) che se
vuole restare l'uomo più forte del mondo, e così anche la sua Nazione,
allora deve fare un cambiamento, uno 'switch', nella politica degli
Stati Uniti», ha fatto sapere il deputato del Likud e stretto
collaboratore di Netanyahu, Tzahi Hanegbi, confermando indirettamente
che il governo israeliano più che al nucleare iraniano guarda con
preoccupazione ai riflessi politici della "svolta" dell'amministrazione.
D'altra parte proprio alcuni dei santoni della sicurezza gettano
acqua sul fuoco delle polemiche e spiegano che l'accordo di Ginevra fa
in parte anche gli interessi di Tel Aviv. Mentre Netanyahu, i suoi
ministri e la stampa vicina al governo si affannano a descrivere scenari
apocalittici - ieri il quotidiano Israel ha-Yom ha pubblicato
la fotografia di Neville Chamberlain, lo statista britannico che nel
1938 sostenne a Monaco una intesa con Adolf Hitler - Amos Yadlin, ex
capo dell'intelligence militare e direttore dell'Istituto per gli Studi
sulla Sicurezza Nazionale (Issn), ha spiegato che a Ginevra è stato
siglato solo un accordo preliminare. «Importa cosa accadrà in futuro
non quanto è stato firmato l'altro giorno», ha detto Yadlin esortando
Israele a non interpretare in modo totalmente negativo l'intesa con
l'Iran. «Questo accordo ad interim non è disastroso e allo stesso tempo
non offre motivi per festeggiare», ha laconicamente commentato Emily
Landau sempre dell'Issn.
Nei prossimi giorni un team israeliano guidato dal consigliere per
la sicurezza nazionale Yossi Cohen si recherà a Washington per
discutere con gli Stati Uniti di ciò che avverrà tra sei mesi con
l'Iran. Tutto si sposta in avanti di almeno 180 giorni, anche l'attacco
che Israele da anni minaccia di scatenare contro le centrali atomiche
iraniane. Nei prossimi sei mesi «non c'è alcuna probabilità» che Israele
lanci un attacco, ha detto l'ex comandante dell'aviazione israeliana,
generale Eitan Ben Eliahu. E questa situazione si protrarrà «anche
oltre», ha previsto, almeno fino a quando fosse evidente che l'Iran «ha
compiuto un dietro-front... allora diventerebbe elevata la probabilità di
un'azione» solitaria israeliana o anche congiunta.
Intanto Israele non cessa la preparazione in vista di quella
possibile guerra. Ha preso il via domenica nella base aerea di Uvda, nel
Neghev, "Blue Flag", la più grande esercitazione multinazionale di
aerei da combattimento mai ospitata da Israele, con la partecipazione di
Stati Uniti, Grecia e anche dell'Italia nonostante i costi molto
elevati dei "giochi di guerra" (la Polonia per questo motivo ha dovuto
rinunciare). All'esercitazione partecipano un sessantina di aerei da
combattimento fra cui F-15, F-16, Tornado, Amx e B-52.
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