Un articolo che giustamente affonda la lama nelle pratiche immonde dei sindacati "complici" nei confronti dei precari, ma che nel titolo - sfortunatamente - omette di delimitare con precisione i confini di un fenomeno quasi "tangentaro", e quindi che rischia di alimentare un qualunquismo "antisindacale" che alla fine torna utile solo alle imprese.
Fare informazione sul lavoro precario è difficile, lo sappiamo. E sappiamo anche che Salvatore Cannavò è un giornalista onesto, che si mette davvero al fianco dei lavoratori e prova a illustrarne le ragioni. Sappiamo anche che i titoli vengono spesso fatti da redattori appositi, da persone insomma diverse dal giornalista che scrive l'articolo; e quindi non stiamo affatto "rimproverando" l'ottimo Cannavò.
Sottolineiamo un rischio, quasi "genetico" in un giornale come "Il Fatto", intriso di "astratto furore anti-casta", di diffondere un senso comune "geneticamente inabile" a far orientare le persone nel mondo reale. NON siamo "tutti uguali" nelle nostre pratiche quotidiane. NON siamo "i politici" perché anche noi facciamo politica. NON siamo "la casta sindacale" perché facciamo sindacato, di base e conflittuale, spesso a nostro rischio e pericolo di licenziamento.
Altrimenti, come accade spesso, questo qualunquismo "anti-castale" si rivolgerà giustamente anche contro chi lo diffonde. Contro "la casta dei giornalisti", che nemmeno loro - lo sappiamo per esperienza diretta - sono "tutti uguali". Tantomeno sul piano contrattuale, delle tutele, dei benefit e delle pensioni.
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I sindacati guadagnano sulle spalle dei precari
Salvatore Cannavò
Quando in un contratto a guadagnarci sono soprattutto i sindacati le cose non funzionano come dovrebbero. Soprattutto se la prima firma di quel contratto è quella di Guglielmo Epifani (nel 2008, insieme a Bonanni e Angeletti). Eppure, leggendo tra le pieghe del “Contratto collettivo delle agenzie di somministrazione di lavoro”, le vecchie agenzie interinali, si scopre che viene previsto un trasferimento di denaro ai sindacati come “sostegno al sistema di rappresentanza sindacale unitaria".
Stiamo parlando di circa 2 milioni di euro l’anno corrisposti, ormai, dal 2002.
POTENZA DI UN SETTORE complicato come il lavoro super-precario, quello della somministrazione, dove non c’è un rapporto a due, dipendente-datore di lavoro, ma a tre: lavoratore, agenzia di somministrazione, impresa utilizzatrice. L’agenzia svolge una funzione di mediazione assumendo direttamente il dipendente e poi “prestandolo” all’impresa che ne fa richiesta generalmente per un contratto a tempo determinato. Stiamo parlando di oltre mezzo milione di persone (dati 2011 di Assolavoro, l’associazione datoriale delle Agenzie) per circa la metà collocate nell’industria manifatturiera (52%) e per il resto suddivise tra Servizi alle imprese e informatica (17%), Commercio (11%), Pubblica amministrazione, sanità e istruzione (9%) e tanti altri settori.
Il sistema è stato introdotto nel 1997 dall’allora ministro Treu e riformato dal centrodestra con la “legge Biagi” nel 2003. Anche questo comparto viene regolato da un Contratto collettivo nazionale siglato, per le agenzie, da Assolavoro e, per il sindacato, dal Nidil-Cgil, Felsa-Cisl, Uil-Temp. Trattandosi di un comparto fortemente spezzettato, con lavoratori che non prestano servizio presso il proprio specifico datore di lavoro (le agenzie) ma presso imprese disseminate sul territorio, non ci sono delegati sindacali di azienda o di fabbrica, ma direttamente nominati dal sindacato. Per questo tipo di attività sindacale, già nel contratto del 2002, si stabilì che le organizzazioni firmatarie beneficiavano di un contributo pari a un’ora ogni 1700 lavorate, dal valore di 7,75 euro l’ora. Nel 2008 quel valore è stato innalzato a 10 euro l’ora.
Facciamo due conti: nel 2011 sono state lavorate 316 milioni di ore. Facendo il dovuto rapporto se ne ricavano 1,8 milioni di euro trasferiti ai sindacati. Nel nuovo contratto del settembre 2013, si è migliorato ancora: il compenso verrà corrisposto per un’ora ogni 1500 lavorate. Un aumento del 13% che si somma al 30% precedente. Le ore complessive del 2012 sono diminuite a 302 milioni, ma l’importo suddiviso tra i tre sindacati è salito a 2 milioni. Cosa fanno i sindacati con quei soldi?
“Secondo una delibera del nostro comitato direttivo – spiega al Fatto , Claudio Treves, segretario generale del Nidil Cgil – il 70% è destinato a finanziare i nostri progetti territoriali”. Guardando il bilancio del sindacato di categoria, il più grande dei tre, non sembra sia così. Nel 2012 le entrate per “contributi sindacali” ammontano a 719.505 euro, mentre alla voce “contributi a strutture” troviamo la somma di 301.842 euro. In realtà i fondi per “progetti territoriali” sono ancora di meno, 212.500 pari al 29,5% di quanto incassato. Il resto dei costi del sindacato è assorbito da spese per attività, spese generali e, soprattutto, spese per il personale e le collaborazioni: 760.122 euro.
Complessivamente, il bilancio è in perdita per 286.274 euro. Il Nidil parla di massima trasparenza dei fondi, ma non è chiaro se tutti i lavoratori conoscano il meccanismo. Per quanto riguarda gli stessi lavoratori i vantaggi della rappresentanza sono contestati. Il sindacato rivendica di aver finora “migliorato le regole circa la parità di trattamento sindacale, i controlli, gli strumenti di sostegno al reddito (maternità, disoccupazione), etc”.
Un ex sindacalista che ha seguito il settore, però, ci fa notare come nel sistema di retribuzione dei lavoratori somministrati si nasconda un particolare che penalizza proprio questi ultimi.
LA LEGGE, INFATTI, PREVEDE per gli interinali “un trattamento non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice”. Questo principio fino al 2008 era ribadito con l’applicazione agli interinali dello stesso divisore contrattuale (il coefficiente che misura la paga oraria) che si applica ai contratti di categoria nella quale vengono inviati in missione. Nel contratto del 2008, invece, è stato introdotto un divisore contrattuale specifico per i lavoratori in somministrazione. Quando questo equivale a quello degli altri contratti (mediamente è così) non c’è problema. Ma quando il lavoratore si trova a fare i conti con divisori che nelle singole categorie rendono le paghe orarie più alte di quella di cui egli può beneficiare, il lavoratore viene svantaggiato. Accade così nel Commercio, nei Trasporti, nella Pubblica amministrazione, nell’Istruzione o nella Sanità, e in altri ancora. La differenza di salario per il lavoratore è minima, pochi centesimi.
“Nessun lavoratore – spiega ancora l’ex sindacalista – intenterebbe una vertenza per pochi spiccioli con la prospettiva di perdere il lavoro”. Quei pochi centesimi moltiplicati per le decine di milioni di ore lavorate, però, possono portare a risparmi per le Agenzie nell’ordine di 10 o 20 milioni di euro l’anno. Nulla di illegale. Solo una delle tante contraddizioni che agitano il sindacato. Non a caso, in Cgil si è aperta una discussione sull’utilità o meno di un sindacato come il Nidil.
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